È stato per il concorso di ammissione alla Scuola di Specializzazione in Archeologia preistorica e protostorica il motivo per cui, per la prima volta ho messo piede a Trieste. Parlo del 6 e del 7 dicembre 2018, di un mese e mezzo fa circa.
Un po’ per gioco, un po’ per caso, ma anche per fare la pace con l’Università italiana e con me stessa, ho provato e alla fine sono entrata, neanche a voti scarsi. Che dire, in attesa che comincino i corsi, ho trovato un lavoro in pizzeria e a Trieste mi ci sono trasferita.
Un nuovo approdo e punto di partenza, una città sconosciuta, terra di confine ma con il mare a spalancare le braccia e ad accogliere chi guarda dalla darsena.
Nonostante sia capoluogo della regione italiana Friuli – Venezia Giulia, la diversità che contraddistingue Trieste dalle altre città è infinitamente affascinante, per storia, cultura, forme artistiche e identità. Per rendere giustizia agli incessanti processi di scambio e contaminazione che caratterizzano l’Urbe dagli albori della sua esistenza dovremmo parlare degli insediamenti protostorici, i Castellieri, i cui abitanti erano di stirpe indeuropea e di probabili origini illiriche, degli immancabili colonizzatori Romani, ai quali bisogna dare merito della bellezza di Aquileia, fondata nel 181 a.C., della dominazione veneziana, della preponderanza dell’Impero austro-ungarico e di una infinità di etnie e gruppi sociali.
A fondamento di tutta questa mescolanza c’è il porto franco, che costituisce dal 1719 la via di comunicazione principale e di scambio tra l’Europa occidentale, centro-meridionale e orientale. Serbi, slavi, croati, armeni, ebrei, ungheresi, italiani, svizzeri, greci hanno reso attualmente Trieste una città fortemente cosmopolita, plurireligiosa e plurilingue; il punto in cui gli elementi mediterranei incontrano e si fondono con quelli della Mitteleuropa.
Uno snodo di elementi diversi che bene convivono e che meravigliosamente si palesano attraverso le architetture, le geometrie stradali, i quartieri, i luoghi di culto: siano essi chiese cattoliche, ortodosse o sinagoghe.
Quando passeggio per le strade di Trieste la sensazione è quella di scrutare un amante volubile, dalle mille facce, di cui non sai mai quale sia quella autentica, semmai ce ne fosse davvero una. E di fatto non c’è. Ovviamente, più ci si addentra nei suoi umori più se ne rimane catturati e invischiati.
La mia anima è a Trieste
scriveva Joyce che arriva a Trieste a soli ventidue anni in compagnia della moglie Nora.
Lì fa l’insegnante malpagato di lingua inglese e letteratura, scrive per Il Piccolo, il giornale della città, è un assiduo frequentatore di osterie e di bordelli, conosce Italo Svevo con cui instaura un sincero e profondo rapporto di amicizia. A Trieste James Joyce ha concepito l’Ulisse, opera letteraria di fama mondiale con molte trasposizioni di personaggi triestini tra i quali i protagonisti: l’ebreo, Italo Svevo e l’irlandese, Joyce stesso.
A Trieste molti hotel, alberghi, bar e caffè letterari portano il nome del rinomato romanziere, e non di rado si possono incontrare per strada o davanti alle biblioteche statue a commemorarlo.
Quando ho scritto a Giorgia, una mia cara amica padovana, dopo i miei pochi giorni di approdo in Venezia Giulia, sapevo che in qualche modo lei avrebbe potuto capire le mie impressioni, le emozioni percepite, e come soltanto a noi piace fare, ne abbiamo parlato. Tra me e Giorgia c’entra molto la letteratura, è il nostro linguaggio, un metro di confronto per le realtà che rispettivamente viviamo.
E, per l’occasione, mi citò questa poesia di Umberto Saba:
Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all’ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un’aria strana, un’aria tormentosa,
l’aria natia.La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.
È un testo che, a parte la sua inesorabile bellezza, trasmette tutto il carattere contraddittorio delle città aperte sui porti e contaminate. Il brulicare della vita è rumore costante di sottofondo e la forza del dinamismo territoriale spesso induce, in chi non è solo di passaggio, refrattarietà e atteggiamento schivo.
Ho sentito familiare Trieste così come tutte le percezioni descritte da Saba in questo testo. Napoli, la mia città, anche se distesa su di un mare meridionale e ad ovest, evidentemente non è poi così distante dal raggio triestino. Avendo bene in mente cosa significhi nascere davanti al mare dico:
Trieste è lo sguardo languido di chi ha braccia tese e aperte,
È La contaminazione e la mescolanza tra i fasci e i fasti dell’Impero
è Un coro di voci, al vento di Bora.
Autore Marilena Scuotto
Marilena Scuotto nasce a Torre del Greco in provincia di Napoli il 30 luglio del 1985. Giornalista pubblicista, archeologa e scrittrice, vive dal 2004 al 2014 sui cantieri archeologici di diversi paesi: Yemen, Oman, Isole Cicladi e Italia. Nel 2009, durante gli studi universitari pisani, entra a far parte della redazione della rivista letteraria Aeolo, scrivendo contemporaneamente per giornali, uffici stampa e testate on-line. L’attivismo politico ha rappresentato per l’autore una imprescindibile costante, che lo porterà alla frattura con il mondo accademico a sei mesi dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca. Da novembre 2015 a marzo 2016 ha lavorato presso l’agenzia di stampa Omninapoli e attualmente scrive e collabora per il quotidiano nazionale online ExPartibus.