In Europa, la collaborazione e l’incrocio di varie discipline per le diagnosi dei materiali archeologici è andata man mano intensificandosi. Tutto ciò ovviamente non senza difficoltà.
La messa in disparte di metodi prettamente filologici e tipologici per lo studio delle antichità ha permesso, negli ultimi anni, di allargare lo sguardo e di interiorizzare il concetto di interdisciplinarità che, nella nostra era, coincide sempre più spesso con l’utilizzo e la consultazione di tecniche e discipline chimiche e fisiche.
Lo sviluppo di tali collaborazioni e l’evoluzione della tecnologia sono innegabilmente legati all’industria e alla sua crescita. I finanziamenti e le risorse per l’industria, nel secolo scorso, sono stati inequivocabilmente onerosi rispetto a tutti quelli investiti per le altre attività umane. Di conseguenza, la tecnologia ha, per certi versi, perseguito e sviluppato gli obiettivi dell’industria e quest’ultima ha finanziato la ricerca e il progresso tecnologico.
Lo stesso sviluppo del controllo non distruttivo, in relazione ai reperti archeologici, nasce principalmente dall’esigenza economica e di controllo dei prodotti industriali, soprattutto metallici, ai quali erano richiesti caratteristiche di sicurezza, garanzia di qualità e costi minimi per lo scarto di materiali, riparazioni e riutilizzo. Inevitabile pensare a quanto il sistema economico investa e condizioni la mentalità, il linguaggio e di conseguenza la letteratura e le scienze.
Allo stato attuale, per esempio, non si finanziano progetti artistici e culturali perché non sono ritenuti portatori di profitto economico. Spesso usiamo parametri e criteri di valutazione inadatti per classificare oggetti e discipline che necessiterebbero di un rinnovamento del linguaggio che scaturisca da un nuovo modo di concepire e interpretare l’arte, la storia, l’archeologia.
Parlare di valorizzazione di un monumento storico, di un reperto archeologico, toglie valore a ciò che ha già un valore di per sé. I monumenti, i reperti, sono portatori di un messaggio che dal passato ci arriva codificato. Sta a noi imparare la loro lingua e renderne accessibile il messaggio, consapevoli del fatto che solo tra interlocutori che parlino la stessa lingua esiste vera comunicazione. In questo modo sarà possibile comprenderne il valore, avvicinare le persone alla cultura e probabilmente trarne anche vantaggio economico.
Mi piacerebbe che si parlasse di Archeologia dei processi creativi, che si desse più importanza a ciò che muoveva gli artigiani dell’antichità alla creazione, che si guardasse alle modalità di creazione del manufatto non in termini di cicli produttivi: quasi un rimando alle odierne catene di montaggio. Era il loro tempo, non il nostro. Era la loro visione delle cose sulla quale si è appiattito il nostro linguaggio post-industriale.
Bisognerebbe ribadire e sottolineare quanto siano specifiche e irripetibili le creazioni dell’antichità: ceramiche, tessili, metallurgiche, ecc., il corpo complessivo delle loro tecnologie e con essi i loro sistemi linguistici.
Distanze e difficoltà tra il settore umanistico e quello scientifico ci furono e in alcuni casi persistono. In Italia l’identità classica è motivo di orgoglio e manifestazione di attaccamento alle radici, ma ha reso ciechi gli italiani nel confronto con il futuro.
Tutto in Italia riporta ad un antico e glorioso passato, a cominciare dalle rovine e dai segni che riaffiorano nei centri delle grandi città. Ma di che tipo è l’interazione con quelle rovine e con quei segni? Il latino e il greco antico si impartiscono ai ragazzi molto presto e continuano ad essere materie portanti nelle facoltà umanistiche dei nostri Atenei. Niente in contrario.
Ma quanto ci ostacola questo sciovinismo apparente rispetto ai paesi europei e a quelli fuori dall’Europa, nello sviluppo dell’applicazione di tecniche e metodi scientifici per lo studio e la tutela del patrimonio archeologico? È uno spirito contraddittorio quello che caratterizza l’Italia, uno spirito tradizionalista svuotato di senso di fronte al degrado in cui riversa la grande eredità storico-artistica dell’antichità. Basti pensare a Pompei.
L’Italia ha bisogno di una nuova identità per volgere lo sguardo al futuro, di un’identità che racchiuda e protegga la sua storia, ma che sia soprattutto capace di guardare al di là del suo naso. L’aumento dei finanziamenti economici per la tutela del patrimonio storico-artistico e della ricerca rappresenterebbe, finalmente, un avvenuto cambiamento della mentalità politico-economica di questo paese.
Le scienze, quali la fisica, la chimica, la matematica, la statistica, costituiscono un grande strumento per la ricerca archeologica e l’Istruzione deve riuscire a formare figure professionali che mettano in comunicazione diversi ambiti e che svolgano ruoli di interfaccia tra le varie discipline.
Autore Marilena Scuotto
Marilena Scuotto nasce a Torre del Greco in provincia di Napoli il 30 luglio del 1985. Giornalista pubblicista, archeologa e scrittrice, vive dal 2004 al 2014 sui cantieri archeologici di diversi paesi: Yemen, Oman, Isole Cicladi e Italia. Nel 2009, durante gli studi universitari pisani, entra a far parte della redazione della rivista letteraria Aeolo, scrivendo contemporaneamente per giornali, uffici stampa e testate on-line. L’attivismo politico ha rappresentato per l’autore una imprescindibile costante, che lo porterà alla frattura con il mondo accademico a sei mesi dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca. Da novembre 2015 a marzo 2016 ha lavorato presso l’agenzia di stampa Omninapoli e attualmente scrive e collabora per il quotidiano nazionale online ExPartibus.