Che sia il migliore o il peggiore dei tempi, è il solo tempo che abbiamo.
Art Buchwald
Cos’è il futuro?
Un luogo che immaginiamo tra la speranza e la paura. Un domani dove si confonde la nostalgia del tempo che va via con la più speculativa delle nostre aspettative.
Sappiate che esiste una scienza a riguardo, si chiama futurologia. Essa mira ad esplorare futuri possibili, probabili e preferibili; è un settore di studio che si occupa proprio di formulare previsioni grazie ai dati a disposizione.
Mai come questo anno ci sentiamo in dovere di appellarci a questa scienza: il passaggio al nuovo ha un significato particolare, per via dell’impatto che il Coronavirus ha avuto sulle nostre vite a tutti i livelli, sentimentale, lavorativo, sociale ed economico.
Ripartire non è una parola facile. È la parola d’ordine, con fiducia e fede, soprattutto in relazione al fatto che come sembrerebbe, il vaccino rappresenterà il vero punto di svolta per lasciarci alle spalle la terribile e sofferta esperienza del virus che ha segnato tutto il 2020.
Nella storia la data di nascita della futurologia – o future studies – si attesta nel penultimo anno del diciottesimo secolo, quando l’economista Thomas Robert Malthus mette in stampa il suo ‘Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società’, teoria demografica che predice l’irrealizzabilità di produrre derrate alimentari che prosperano in progressione aritmetica allo stesso ritmo con cui cresce il numero della popolazione e in progressione geometrica.
La futurologia tende a trasformarsi in disciplina scientifica a partire dalla fine degli anni Sessanta, con l’intensificazione di iniziative a livello internazionale: tra queste il Club di Roma, un legame di industriali, accademici ed esponenti politici, sovrinteso dall’italiano Aurelio Peccei, che si riunisce per la prima volta nel 1968 e commissiona al Massachusetts Institute of Technology di Boston uno studio sui tempi e sulle conseguenze dell’esaurimento delle materie prime fondamentali.
Questo primo solido esercizio di futurologia scientifica applica la nuova teoria della complessità e l’uso di calcolatori allo studio delle dinamiche globali. Valutata come un lavoro pionieristico per il futuro ambito dello sviluppo sostenibile, l’analisi, che elabora scenari fino al 2050, si può ritenere anche l’opera capostipite della cosiddetta previsione sociale, o futures studies.
Non si può affermare, comunque, che la futurologia sia una scienza esatta, così come inesatta è la delucidazione di previsione fantascientifica: è stato ampiamente detto che scienza e fantascienza possono al massimo presentare delle possibilità, non certo delle profezie.
Come scrive Yuval Noah Harari nel suo saggio ‘Homo Deus – Breve storia del futuro‘, dopo averci mostrato scenari che riflettono il transumanismo e la religione dei dati: se non vi piacciono alcune di queste possibilità siete invitati a pensare e a comportarvi in modi nuovi, che eviteranno il verificarsi di queste particolari possibilità. In fondo, lo scopo di provare a immaginarsi il futuro è quello di avere la possibilità di traiettoria.
Andando indietro nel tempo, ci è chiaro che l’uomo si è sempre sporto verso il futuro per prevedere gli eventi che potessero determinare la sua sorte, nel bene e nel male, per prepararsi ad affrontarli. La comprensione del futuro è stata commissionata per millenni all’indovino, l’uomo che stabilisce con il futuro un rapporto magico.
L’affermazione non è che la traduzione dell’accertamento dell’importanza che hanno rivestito, in tutte le società, sibille, aùguri, indovini, pizie. Ricordiamo, come l’esempio più significativo dell’importanza della lettura del futuro nelle società umane, la vicenda biblica di Giuseppe, che interpretando il sogno del Faraone delle sette vacche grasse e delle sette magre permette, al Paese più popoloso dell’epoca, di sopravvivere ad una carestia che sarebbe stata catastrofica.
Meglio non va a noi visto che il sempre citato Nostradamus avrebbe predetto per il nuovo anno grandi catastrofi geologiche, tra un brusco innalzamento del livello del mare a causa dello scioglimento dell’Antartide, inondazioni e il verificarsi di terremoti.
Mentre Baba Vanga, una mistica bulgara da sempre al centro di diverse quanto discusse attenzioni, avrebbe preannunciato
il mondo soffrirà di molti cataclismi e grandi disastri. La coscienza delle persone cambierà. Arriveranno tempi difficili. Le persone saranno divise dalla loro fede.
Dopo queste immani sciagure, per il lontano futuro la veggente ha predetto che la vera esistenza nel cosmo sarà scoperta e all’improvviso sarà chiaro come sia apparsa per la prima volta la vita sulla Terra.
Una cosa sono le profezie, un’altra la futurologia. Quest’ultima investe nelle previsioni con gli studi più importanti sulle grandi tendenze che riguarderanno il nostro pianeta, dall’economia ai conflitti etnici, all’intelligenza artificiale alle malattie.
Oggi, lo scenario preferibile tra questi, prevede un cambiamento epocale e traumatico dalla società, che passerà dall’attuale alla “società dell’autorealizzazione”, in cui le principali mansioni lavorative saranno robotizzate, si transiterà dal lavoro dipendente al lavoro autonomo.
Cosa ci riserva il futuro? Bisogna capire che esso ha urgente bisogno di spazio per la novità, per la creatività.
Le criticità che riceve in eredità dal passato non possono essere convenientemente determinate mediante accomodi concepiti e concretizzati essenzialmente nel passato.
Le soluzioni tecnologiche, ad esempio, possono risolvere alcuni dei problemi creati dall’uomo, ma, immutabilmente, ne creano di altri che non possono essere eliminati. Così per tutto. Gli inconvenienti compaiono come conseguenza delle conoscenze condivise e delle circostanze di un’epoca specifica e che rappresentano, perciò, una parte sostanziale dell’ostacolo.
Non è possibile inventare il futuro, lasciando ad esso la libertà di non trovare nuove soluzioni, conservando, però, i pesi morti del passato. Non possiamo permetterci di isolarlo, soprattutto in questi tempi “sconosciuti”, indeterminati, feroci e indomabili. E non basta proiettare una sua versione più grande e migliore di un presente già inefficiente.
Il futuro non può limitarsi ad un’aspettativa, ad una visione. Servono risposte attuali a problemi anche di ieri che persistono a conservarsi e a dominare.
Sopravvive un presente che, anche se sotterraneamente, riesce a non far attecchire nessuna idea vincente ed utile. È sbagliato pensare che il mondo sia irrimediabilmente in rovina, in questo eterno ritorno del declinismo ove si ascoltano soltanto sirene catastrofiste, la paura è accettare che non vi siano possibilità di cambiare.
Eppure, le posizioni estreme che rasentano un fondamentalismo radicato soprattutto nella cricca degli intellettuali attratti da spiegazioni incontrollabili, riesce ancora a fare molti proseliti che allungano ombre minacciose su ogni evento o fenomeno incontrovertibile. E con la pandemia sono andati a nozze.
C’è un elemento che scaccia le ombre nere: l’utopia. Con essa, al di là di ogni posizione dettata da una mera illusione, abbiamo ancora quella possibilità di restare incontrollati e minacciare ogni logica nefasta, coinvolgendo l’intera umanità in un sogno che, solo apparentemente, potrebbe rivelarsi irrealizzabile.
Alla fine, ogni rivoluzione è un gioco di un bambino che si sente offeso dal capriccio di un adulto.
Cosa ci riserverà il 2021?
Dipende da noi, dalla nostra capacità di adattamento, dallo spirito di collaborazione che mostreremo nel fronteggiare ogni sfida.
Del resto, si sa
l’anno che sta arrivando, tra un anno passerà. Io mi sto preparando. È questa la novità.
Autore Massimo Frenda
Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.