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‘L’amore ai tempi di Sh. Rek.’ approda in Cina

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Alessandro Derviso


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Intervista al regista e sceneggiatore Alessandro Derviso, tra scenari internazionali e progetti per il futuro

Il regista partenopeo Alessandro Derviso appare ormai sempre più lanciato nel panorama cinematografico internazionale. Dopo USA, Serbia, Russia, Cina, ora anche Marocco.

‘L’amore ai tempi di Sh.Rek.’, la sua ultima pellicola di 85′, proiettata il 24 settembre in lingua originale con sottotitoli in serbo alla Cineteca Jugoslava di Belgrado, nell’ambito della quarta edizione dell’Italian Serbian Film Festival, realizzato dall’Associazione Culturale Excellence in collaborazione con la Cineteca Jugoslava, per la direzione artistica di Gabriella Carlucci, è stato apprezzatissimo da critica e pubblico.

Preziosissimi i frutti che la partecipazione a questa importante kermesse cinematografica gli ha permesso di cogliere, il più importante dei quali ci sarà svelato per ultimo. Scegliamo un noto locale del centro storico di Napoli per quella che, in verità, è più una simpatica cena tra amici che un’intervista vera e propria, complice il fatto che ci conosciamo da anni.

Alessandro eravamo rimasti alla presentazione della rassegna cinematografica alla Camera dei Deputati di Roma il 16 settembre, parlaci della tua avventura nei Balcani e delle opportunità che ti si stanno aprendo all’estero.

Dal 23 al 28 settembre si è svolto a Belgrado l’Italian Serbian Film Festival dove, oltre alla proiezione dei film in concorso, si organizzano incontri tra esperti del settore e si analizzano la situazione europea in continua trasformazione, il ruolo degli enti pubblici e delle associazioni, ci si confronta sul cinema indipendente italiano, serbo e balcanico, sulle dinamiche delle nuove piattaforme di distribuzione cinematografiche, sulla spinta necessaria delle produzioni indipendenti verso l’internazionalizzazione e sull’opportunità di nuove coproduzioni italo – serbe.

La stessa Belgrado è sede di un progetto cinese importantissimo ‘Silk roads’, attraverso cui il governo cinese in Europa acquista e divulga in Cina il cinema europeo.
Al termine del festival, cui hanno partecipato 5 pellicole italiane, tra cui ‘Il primo Re’ di Matteo Rovere, candidato all’Oscar, i cinesi hanno comprato ‘L’amore ai tempi di Sh. Rek’. Non ti dico la soddisfazione.

Dal 7 novembre sarò a Casablanca ospite del presidente dei produttori arabi, Mohamed Darid, per cercare accordi su delle coproduzioni tra il cinema orientale e quello occidentale. Il mio lavoro negli ultimi anni è stato così apprezzato da essere visto come la chiave per far sposare il cinema africano ed europeo, su cui c’è già un forte sodalizio, con quello cinese.

Un’occasione fantastica, ma anche una grande responsabilità considerando l’immensa fiducia che è stata riposta in me, dato che il presidente rappresenta 25 produzioni arabe, che, al momento, sono le più forti in assoluto a livello mondiale, e che finanziano sia il cinema di Bollywood che quello di Hollywood.

I Balcani sono stati un banco di prova importantissimo per il mio film, è stata la prima proiezione estera fatta con i sottotitoli; ero terrorizzato, dato che, generalmente, la commedia italiana su altri mercati soffre di un pregiudizio, spesso anche fondato, per quanto è diventata banale la nostra comicità, che, salvo poche eccezioni, fa ridere solo alcuni di noi.

Considera poi che, da produzione indipendente, arrivare in Serbia in un clima di preconcetto e riuscire a vedere il film nei Balcani e in Russia, prima ancora di arrivare in Cina, è stato un motivo di grande gioia per me. Sapere di essere stato capace di interessare, incuriosire, divertire con questa commedia persone con una forma mentis diversa dalla nostra significa che, istintivamente, ho percepito un linguaggio universale che poi ho saputo usare nonostante la difficoltà di esprimermi ed arrivare a culture che hanno dei connotati differenti.

Vedere ridere i cinesi mentre guardavano il film sottotitolato nella loro lingua è stato impagabile, una conferma di un percorso iniziato tantissimi anni fa. Ho sempre lavorato cercando di costruirmi un linguaggio cinematografico e visivo universale. In Italia si fatica non poco per emergere e farsi apprezzare, quindi preferisco direzionare le mie energie nel raccontare me stesso, la mia chiave di lettura, che sia giusta o sbagliata saranno poi pubblico e critica a decretarlo.

Qual è il significato del film e qual è il tuo messaggio?

Nonostante il titolo, il film non parla d’amore, ma di una terapia che utilizza i rapporti di coppia, di cui l’amore è solo uno degli strumenti, per arrivare, attraverso un percorso di consapevolezza, sofferenza, reazione, alla reale scoperta della propria identità.

In generale, così come sostenevano registi meravigliosi tra cui Joel Schumacher, credo che la tematica di una pellicola non sia assolutamente importante; fondamentale, invece, è la modalità del racconto.

Cerco di diventare un cineasta puro, non di cavalcare il fenomeno del momento, di costruire una storia attorno ad una motivazione, di metterla in scena con passione, utilizzando il giusto linguaggio, così da coinvolgere ed intrattenere lo spettatore.

Ho curato la sceneggiatura insieme ai due produttori, Andrea Caccicavillani e Tonino Di Ciocco, che hanno avuto un coraggio non da poco, investendo senza alcun contributo pubblico, affrontando molte difficoltà, ma quando si crede in un progetto non si può fare che questo.

L’ambientazione è stata in Molise, esattamente ad Agnone (IS) e a Campobasso, alla facoltà di Economia dell’Università. È stata scelta questa regione per due motivi, sia perché i produttori sono di origine molisana, sia perché nell’ottica dell’intreccio avevo bisogno di evitare la grande città e optare per spazi aperti.

Si narra di una terapia di coppia che, nell’essere messa in atto è molto palese, di conseguenza, in una metropoli, i partecipanti alla sperimentazione sarebbero stati sotto gli occhi di tutti. Al contrario, avevo bisogno di uno scenario un po’ più riservato in cui far interagire lo psicologo e le tre coppie di volontari.

La terapia in sé ce la siamo inventata di sana pianta, avvalendoci, però, della professionalità di alcuni psicologi. Alla fine siamo anche riusciti a trovare un riscontro scientifico alla nostra teoria e ci siamo accorti che, in qualche maniera, ognuno di noi nella vita l’adotta in modo inconsapevole, perché alla base c’è il confronto che si ottiene rapportandosi con gli altri. Se, ad esempio, con un amico parlo del mio legame sentimentale, lui può darmi un parere che, magari, mi cambia angolo di osservazione o che mi risolve la problematica. Questo è il principio fondante la terapia che poi viene messa in atto in modo originale, stimolante, stuzzicante e divertente.

Abbiamo usato molte comparse del posto, tra cui gli stessi universitari e gli amici di lunga data dei produttori. L’unico attore con cui avevo già lavorato, in ‘Borghi e Demoni’, stessa produzione, era Adolfo Margiotta. Con Salvatore Catanese dovevamo girare un film un paio di anni fa ma il progetto non andò in porto.

Il cast tutto, Adolfo Margiotta, Carola Stagnaro, Diego Florio, Barbara Petti, Ivan Boragine, Titti Nuzzolese, Salvatore Catanese, Giada Prandi, in particolare le tre coppie, ha fatto un lavoro immenso; oltre alla difficoltà comune ad ogni attore, quella di interpretare un personaggio risultando credibile, loro dovevano viaggiare su di un binario ben preciso, che si può capire solo vedendo il film. In realtà, andrebbe visto due volte: la prima per seguire la trama, la seconda per cogliere tutta quella serie di riferimenti che solo a tre quarti della pellicola inizi a sospettare siano celati e, solo andando a ritroso puoi individuare.

Sulla base di questo passaggio, quando hai ormai chiaro l’intento, rivendendolo, e questo è un problema che il regista deve porsi quando lo mette in scena altrimenti il suo messaggio non è incisivo o non arriva affatto, ti accorgi della bravura degli attori che, in entrambe le versioni, devono essere stati doppiamente credibili, raccontando ciò che devono senza svelare prima del tempo quello che deve essere palesato al momento opportuno. Abbiamo provato per molti mesi, cosa che non mi era mai successa prima, aggiungendo man mano dettagli importanti non appena ne sentivamo l’esigenza.

Le riprese, iniziate ad aprile 2018, in tutto sono durate un mese e mezzo, fine settimana compresi. Il Comune di Agnone ci ha assistito molto, ci ha riservato un’intera e bellissima struttura, un ex carcere medievale adibito ad albergo, con le camere in quelle che un tempo erano le celle, androni enormi, saloni con quadri antichi. Si stava tutti insieme, dalla mattina alla sera, ci siamo talmente affiatati che l’ultimo giorno di riprese, salutandoci, ci siamo commossi, eravamo ormai diventati una famiglia.

Un film volutamente provocatorio il tuo, sbaglio?

Sì, c’è una provocazione di base che fa scattare una domanda; ti chiedi se sei felice, se il tuo partner ti fa star bene davvero. In un certo senso è servito a tutti noi per autoanalizzarci, tanto che, alla fine delle riprese, si sono sciolte sette coppie. Come dirà uno dei protagonisti, è una terapia che si rivolge al singolo perché solo il singolo sano può comporre una coppia sana, quindi si tratta di un’indagine soggettiva.

In generale, il rapporto con gli altri è fondamentale, io ho scelto di raccontarlo attraverso l’interazione con il partner perché attraverso la coppia è più facile far fruire il messaggio, quelle dinamiche empatiche, divertenti ed appetibili che fanno presa su tutti.

Il senso di tutto è racchiuso nella frase finale del film:
“Non arrendetevi mai, mai. Anche quando tutto sembra perduto, chiedetevi sempre cosa volete davvero e cosa vi rende felici. E solo quando avremo raggiunto la consapevolezza di cosa vorremo veramente, avremo la forza di riacquistare la nostra libertà”.

Nei Balcani riuscirai anche a presentare il bellissimo poliziesco ‘Napulione’ del 2014, uscito nelle sale nel febbraio successivo?

Dal 16 al 20 novembre sarò ospite dei cinesi a Belgrado al China-Europe Silk Road Culture Festival, dove presenteremo ‘Napulione’, come sai, un prodotto estremamente partenopeo, divertente, intelligente, alternativo, che mostra un altro lato della città, quello positivo.

A livello di comunicazione con il pubblico, il punto forte del film non è tanto il protagonista in sé, un poliziotto eroe – antieroe, con saldi valori morali, affascinante scugnizzo un po’ ruffiano, innamorato delle tipicità locali, cui presta il volto Danilo Rovani, quanto i delinquenti che appaiono goffi, impacciati, ridicoli e, soprattutto, perdenti.

Tanto è stato il successo di ‘Napulione’ che ne abbiamo messo in cantiere una sorta di sequel, ‘Neapoletan cops’, girato a Napoli interamente in inglese, con distribuzione americana secondo quella che è la visione romantica del capoluogo campano che gli statunitensi amano tanto.

Concludiamo ora con la succulenta anticipazione che mi avevi promesso…

La produzione marocchina che sto per incontrare, e te lo dico in anteprima, ha avallato un progetto a cui tengo tantissimo, ‘Orango meccanico’, un film che probabilmente gireremo nel 2022, ispirato al celebre romanzo di Anthony Burgess ‘Arancia meccanica’ da cui è nato il famosissimo film di Stanley Kubrick.

Una splendida opportunità poter dare il mio punto di vista sull’orango che la società opprime e che è destinato a uscire fuori. Nella mia versione, si prospetta uno scenario post apocalittico dal punto di vista sociale, con la morte della moralità e la polizia che controlla tutto, forse sarà ancora più violento visivamente.

Hanno sposato la mia idea che non era quella di un remake del film in sé, quanto la mia personale visione del concetto di Burgess che, necessariamente, ha preso una direzione diversa. La mia grande difficoltà è tenermi lontano dalla sceneggiatura di Kubrick, uno dei registi più grandi di tutti i tempi, perché il mio film abbia una sua originalità, altrimenti non avrebbe alcun senso confrontarmi con un testo iconico, avrei già perso in partenza. Mi sono rifatto al Manifesto Futurista, a scenari deliranti: sarà sì violentissimo, ma soprattutto fotografico, allucinante, visionario.

Una prima stesura è già pronta, scritta insieme al mio caro Amico Antonio Braucci, co- sceneggiatore dell’opera, ma occorre lavorarci ancora per bene, perché sono consapevole di starmi giocando tutto. So che è un’arma a doppio taglio, perché non è affatto facile confrontarmi con un cult, critici e pubblico colto avranno aspettative altissime, quindi sento molto il peso del compito che ho, ma, allo stesso tempo, è uno sprone in più per lavorare al massimo.

Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.