La folla è madre di tiranni.
Diogene il cinico
Il contesto della situazione pandemica, che da oramai quasi un biennio il mondo sta vivendo, ha acconsentito l’affioramento di alcune problematiche che, se fino a prima di questo tragico evento erano latenti, con essa sono diventate potenti. Difficile non solo da arginare, ma anche da interpretare.
Si è rovesciato sul mondo uno tsunami di vasta proporzione, un’infinita massa d’acqua dove si è confusa ogni verità. Siamo ancora nel pieno del vortice e della forza che sta trascinando l’intera umanità: abbiamo tutti le nostre ferite, qualcuna mortale. Abbiamo tutti una strana stanchezza che logora il tempo e il suo vivere oggi inquieto.
Ed è in situazioni come queste che avvengono inattesi effetti collaterali, cioè una distorsione del comune senso che permette a molti di mettere in dubbio quegli elementari punti di fondazione della civiltà di cui, mai prima di questo momento, nessuno si era immaginato di dubitare nel recente passato.
Diciamolo francamente: l’avvento inaspettato e incontenibile della pandemia da Coronavirus sembra aver principalmente distorto varie dimensioni dell’esistenza: quella individuale, quella sociale, quella psicologica, quella economica, quella sanitaria e, in particolar modo, quella più strettamente bio-giuridica.
Ha causato un profondo stress del sistema immunitario individuale e collettivo, ma anche e soprattutto del sistema pubblico costituzionale, nonché la sovversione del sistema delle fonti, la compressione della garanzia di intangibili diritti costituzionali e perfino dei diritti umani in quanto tali considerati.
Ed è evidente che non è chiaro se si tratti veramente di Stato di emergenza o, piuttosto, di Stato d’eccezione. In questo equivoco affonda lo Stato di diritto. Eppure, esso è l’insieme di istituzioni, principi e valori che guidano e governano le pratiche, le forme e le finalità dell’attività statale.
In un senso più ristretto, è legato all’approvazione e promulgazione delle norme e alla loro custodia. Essa prescrive che l’azione statale dovrà fondarsi e collocarsi all’interno delle istituzioni, dei principi e dei valori derivati dai diritti e dalle garanzie fondamentali che tutelano la sfera individuale. Oggi più che mai necessaria.
A tal fine, la forma costituzionale distribuisce le attribuzioni e competenze del potere statale tra i vari organi governativi, soggetti a controllo e responsabilità. Insomma, l’obiettivo dello Stato di diritto è garantire un riferimento stabile e prevedibile a partire dal quale le persone potranno scegliere tra linee di condotta alternative per lo sviluppo delle loro attività.
È l’ideale perfetto, la sicurezza dell’alternanza e del dovere, che diviene principio di ogni regola. Ingaggio dei valori sui quali fondare la disciplina della correttezza, del buonsenso e della governabilità. Ciò nonostante, il delirio di un populismo bieco e incontrollato può divenire un’arrogante presa di potere da parte di una sfera anche vasta di persone.
In altre parole, lo Stato di diritto stabilisce le regole del gioco democratico, lo protegge e lo garantisce. Al contrario, la logica populista distorce il gioco democratico: anziché deliberazione e negoziazione, promuove l’antagonismo e rende impossibile la cooperazione; sostituisce l’imparzialità e la prevedibilità delle istituzioni e delle norme con la discrezionalità e l’instabilità proprie del suo forte personalismo; la lotta per l’egemonia aspira a totalizzare lo spazio politico e minaccia il pluralismo che è proprio della democrazia.
Ed è in questi momenti che il rischio della tirannia diviene un’ombra opprimente ed ingombrante. La tirannia rimane il fenomeno politico più antico e duraturo. Vive nella lunga scia di potere, ingiustizie e terrore che, in oltre duemila anni, despoti di ogni ordine e grado si sono lasciati alle spalle.
Sappiamo che Nerone, Francisco Franco e Mubarak sono stati i prototipi del tiranno «giardiniere», che dispone dello Stato e della società come di una personale proprietà, per il proprio piacere e beneficio e a favore esclusivo del proprio clan e dei propri sodali.
Così come per molti, Alessandro Magno, Napoleone e Atatürk sono stati invece tiranni che potremmo definire “riformatori”, animati da un sincero desiderio di migliorare la società, ma altresì accecati dal perseguimento di fortuna e gloria a scapito di ogni legge e democrazia.
Infine, possiamo chiudere con le tirannie “millenariste” quelle di Robespierre, Stalin, Hitler, Mao e degli odierni jihadismi, guidate dall’impulso di imporre un regime utopico fino a raggiungere l’eccesso in uno Stato di polizia attraverso l’omicidio di massa e il genocidio.
Il tiranno peggiore non è l’uomo che governa col terrore. Il peggiore è quello che governa con amore e con la gioia di un’arpa.
Gilbert Keith Chesterton
Il tratto peculiare della tirannia sta nell’alto dinamismo del suo concetto: essa connota l’insicurezza del potere, dovuta al fatto che esso si è stabilito senza alcun titolo, per usurpazione, ovvero a seguito di un’improvvisa modificazione genetica del suo esercizio, per aver oltrepassato i limiti entro i quali poteva ritenersi costituzionale, deragliando, così, dalle finalità, il bene comune, per le quali era stato legalmente affidato.
Si tratta cioè di un eccesso di potere esemplificabile su ogni piano di diritto e non solo dall’abuso di potere e dai reati a questo affini, sussumibili approssimativamente, nell’opinione comune, sotto l’ambito della «corruzione».
Effetto collaterale dell’apprensiva e meschina incertezza che si genera nella tirannide, è una sorta di retrocessione ad uno stato vegetativo ed una chiusura dell’uomo in sé, in una specie di egoismo indotto dal fatto che l’unica cosa a cui poter aspirare sia quella di conservare se stessi poiché tutto il resto è precario ed è in pericolo.
Oggi dobbiamo ancora temere la tirannide?
Nel glossario politico contemporaneo la tirannide, in quanto regime, ha custodito solo alcune delle sue caratteristiche esclusive: il termine viene usato in maniera alquanto commutabile con dittatura, despotismo, totalitarismo.
È poi molto di moda sostenere che il ‘populismo’ porti, immancabilmente, alla tirannide. Il tiranno, invece, ha conservato meglio i propri lineamenti e, infatti, adoperiamo questo lemma per contrassegnare governanti non solo severi e monocratici, come i dittatori, ma anche per evidenziare la loro violenza e bassezza morale.
Credo che i cittadini e i governanti degli Stati europei contemporanei abbiano capito la lezione dei totalitarismi del Novecento ed esperienze di governi di quel tipo siano oggi, per fortuna, ineguagliabili. Dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo del comunismo si era aperta un’era nella quale appariva che democrazia e liberalismo si sarebbero gradualmente ma inarrestabilmente diffusi in tutti i Paesi.
L’evento dell’11 settembre 2001 e tutto ciò che è seguito hanno invece ostentato che uguaglianza e libertà non sono ideali universali o incontrastati.
Vi sono persone che non sanno cosa farsene di tutta la libertà che le odierne società liberali destinano e prediligono la consolazione dell’ordine tradizionale e delle imposizioni dell’autorità religiosa.
Sono anche questi i due nuovi, diversi tipi di potenziale tirannide: quello più soft, che destituisce e lascia vivere i cittadini nel privato della dimensione economica; e quello duro, che impone loro dogmi e comportamenti.
Nella loro assoluta diversità, hanno in comune il voler fare distaccare gli individui dalla dimensione politica, concedendo loro in cambio la floridezza economica o la liberazione dell’anima.
Oggi la tirannia è nella decisione arrogante della maggioranza o nella supponenza melliflua della minoranza; è viva in un codice che conserviamo dentro al nostro cellulare come un passepartout che determina chi è vincitore e chi è vinto. O chi si è arreso, aggregandosi ad un regime e chi, invece, si è ribellato nell’illusione di avere ragione.
Un dubbio che lacera e in ogni dubbio è sottile la linea che divide il pensiero libero da quello assolutista. Nessuno sopravvive nemmeno a se stesso, figuriamoci al tempo e alla storia, ma è anche vero che in qualche modo dobbiamo vivere questo nostro tempo. Il miglior modo sarebbe quello di essere realmente liberi.
Io dico che abbiamo solo una possibilità: illuderci di non appartenere a nessuna razza che scodinzola nel paterno abbraccio del suo padrone, dimentica del collare che si porta appresso da quando è venuta al mondo.
È un tiranno crudele l’illusione. Quella che muove i fili di ogni storia.
Non abbattemmo il tiranno, ma il suo castello dentro di noi.
Erri De Luca
Autore Massimo Frenda
Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.