Home Cronaca ‘La Sposa’: intervista ad Antonella Prisco

‘La Sposa’: intervista ad Antonella Prisco

4823
Antonella Prisco in 'La Sposa' - foto Maria Vernetti
Antonella Prisco in 'La Sposa' - foto Maria Vernetti


Download PDF

La serie Rai nel racconto della popolare attrice, dagli aneddoti di scena all’analisi socio-antropologica di un terribile retaggio culturale e del riscatto di diritti inalienabili e di emancipazione femminile

Ascolti da record per il debutto di domenica 16 gennaio, in prima serata su Rai 1, dei primi due episodi de ‘La Sposa’, la serie in tre puntate, sei episodi in totale, con protagonista Serena Rossi, coprodotta da Rai Fiction ed Endemol Shine Italy, regia di Giacomo Campiotti, soggetto di Valia Santella, che firma le sceneggiature insieme ad Eleonora Cimpanelli e Antonio Manca.

Nel cast Giorgio Marchesi, Maurizio Donadoni, Antonio Nicolai, Mario Sgueglia, Antonella Prisco, Claudia Marchiori, Matteo Valentini, Giulia D’Aloia, Mariella Lo Sardo, Saverio Malara e Matilde Piana.

Il film è realizzato con il contributo di POR FESR Piemonte 2014 – 2020 – Azione III.3c.1.2 – bando ‘Piemonte Film TV Fund’ e con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.

Un trionfo annunciato, che ha registrato 5.983.000 spettatori, pari al 26.8% di share, aggiudicandosi il titolo di trasmissione più vista della sua fascia e che continua ad entusiasmare i fan di tutto il cast, in queste ore attivissimi sui social, nel testimoniare il proprio apprezzamento ai loro beniamini. Per chi se lo fosse perso, segnaliamo che il film è disponibile su RaiPlay.

Un racconto empatico, toccante, a tratti doloroso, ma anche l’apoteosi di autoaffermazione, riscatto sociale, emancipazione femminile dopo innumerevoli sacrifici, ‘trattative’ matrimoniali stipulate con l’illusione di cambiare, almeno in parte, il proprio misero destino e scelte amare subite in nome della famiglia d’origine.

Ambientato negli anni 60 nel vicentino rurale, è incentrato su tematiche attualissime: emigrazione, valori tradizionali, solidarietà, attaccamento alle radici, resilienza, difficoltà di destreggiarsi in un ambiente ostile in cui dominano pregiudizi, mentalità retrograda e patriarcale, razzismo e disumanità. E su tutto questo l’Amore, nelle sue innumerevoli declinazioni.

Maria Saggese, giovane calabrese interpretata da Serena Rossi, abbandonando ogni velleità romantica con Antonio, trasferitosi in Belgio, sceglie di sacrificare il proprio futuro per garantire alla madre Filomena, al fratello Giuseppe e alla sorella Luisa, quel minimo di decoro che la critica situazione economica in cui versano dopo la morte del padre ha definitivamente minato, accettando di sposare Vittorio Bassi, un rude agricoltore vicentino, che, tramite dei ‘sensali’, si è impegnato a saldare il debito, pagare l’affitto e gli studi di Giuseppe e a organizzare le nozze di Luisa.

Sull’altare, però, scopre che si tratta di un matrimonio per procura: Vittorio, con l’inganno, ha fatto firmare l’atto a suo nipote Italo, per assicurarsi una discendenza ‘sana’, dato che Paolino, il figlio che costui ha avuto dalla moglie scomparsa in circostanze misteriose di cui è ritenuto colpevole dai compaesani, soffre di crisi epilettiche e, traumatizzato dalla perdita della madre, ha smesso di andare a scuola, trovando conforto solo nel contatto con gli animali della stalla.

Nonostante il rifiuto iniziale di Vittorio a quest’unione, Maria riuscirà a farsi apprezzare per dolcezza, tenacia e intelligenza e ad instaurare un profondo legame con il bambino, migliorando le vite di chi la circonda e i rapporti con i contadini della tenuta. L’improvviso arrivo di Antonio, l’antagonista, turberà l’equilibrio faticosamente instaurato.

Nel frattempo, le rivendicazioni di parità di genere e di rispetto delle differenze socio – culturali diventeranno sempre più pressanti e il divario tra mondo agricolo ed industrializzato si inasprirà con lotte sociali e sindacali.

Uno dei personaggi chiave nel percorso di crescita e trasformazione di Maria è Nunzia, ruolo affidato ad Antonella Prisco, una sua conterranea, che, come lei si è sposata per procura con il proprietario del bar, già madre alle prese con una nuova gravidanza.

In attesa di assistere alle prossime puntate in programma per il 23 e il 30 gennaio, sempre alle ore 21:30 su Rai 1, ci rivolgiamo proprio ad Antonella, a cui ci lega una bellissima amicizia, attrice di successo non solo nel celebre real drama di Rai 3 ‘Un Posto al Sole’, in cui sta prendendo sempre più spazio, ma anche di ottime pièce teatrali, per avere qualche dettaglio sul suo personaggio e sulla serie.

Commento a caldo dopo la prima messa in onda: ti sei piaciuta?

In realtà, considerando che si è trattato della mia prima esperienza importante dopo UPAS, ero un po’ preoccupata. Mi sono trovata a recitare in un dialetto che non mi appartiene e se sono risultata naturale è solo grazie al coach che ha seguito il cast, indicandoci il tipo di cadenza calabrese al quale dovevamo adeguarci tutti, perché non ci fossero differenze di pronuncia.

Quando giri delle scene poi, non hai la percezione e il peso di quello che sarà il risultato complessivo del lavoro, per cui ero sulle spine, ma, dopo aver visto la puntata, sono felice di constatare che la ‘mia’ Nunzia ne esca bene.

Da una lunga serialità come ‘Un Posto al Sole’, ad una serie di tre puntate come ‘La Sposa’: splendida riconferma in casa Rai ed ulteriore riconoscimento del tuo valore professionale. Che effetto fa?

Il giorno successivo alla messa in onda mi sono svegliata con una sensazione bellissima, un misto di emozione, incredulità, entusiasmo, un po’ come accade da piccoli la mattina di Natale, quando ci si catapulta dal letto per vedere se i giochi che ricordiamo di aver visto sotto l’albero siano stati veramente portati da Babbo Natale e non ci siano invece apparsi in sogno.

Nel riguardare le scene sorrido, non tanto perché sono apparsa in TV in un ruolo diverso da quello di Mariella Altieri in UPAS, quanto perché sono felice di essere in un prodotto valido come ‘La Sposa’. Credo nella trama e nella sua realizzazione, specialmente nel modo in cui la Rai ha puntato l’attenzione sul racconto di una parte complessa e difficile della storia della nostra penisola, senza cadere in banalità e retoriche, senza svilirne la portata, anzi, amplificandone il messaggio.

Ci tengo, inoltre, a ringraziare tutta la macchina organizzativa di ‘Un Posto al Sole’, disponibilissima nei miei confronti, che mi ha appoggiata in pieno, dandomi totale flessibilità lavorativa, nonostante i ritmi serrati che ci coinvolgono.

Nel presentare sui social la ‘tua’ Nunzia, tra gli altri, hai ringraziato il regista, Giacomo Campiotti, che ti ha dato un’opportunità unica, e il casting, nella persona di Teresa Razzauti, che ha saputo guardare oltre e cogliere in te qualcosa che ancora non ti era chiaro. Quanto il primo ti ha aiutato ad analizzarti per ricreare, tra drammaticità e leggerezza, le emozioni da trasferire in modo credibile e in cosa il secondo è stato rivelatorio per portarti ad una nuova consapevolezza di te come donna e come attrice?

La grandezza di Giacomo Campiotti sta nel dare degli spunti agli attori, rispettando il nostro punto di vista, la nostra sensibilità specifica, riuscendo a tirare fuori quello che realmente ognuno di noi ha dentro di sé e, con i suoi strumenti e con la sua maestria, adattarlo alla sua visione in modo coerente ed armonioso.

Dopo avermi visto prima tramite self tape e poi dal vivo, nonostante avesse provinato tante brave colleghe, ha scelto proprio me, dandomi un’opportunità fantastica, permettendomi di mettermi alla prova ed esprimermi appieno. Verso di lui ho un grande debito di riconoscenza.

Teresa Razzauti è stata altrettanto impeccabile nel presentarmi una figura così complessa e provata mentre cerca faticosamente di adattarsi ad una comunità respingente, che ha una mentalità gretta ed ignorante, che parla un dialetto non suo e che fa di tutto per farla sentire inadeguata ed inferiore.

Quando ho letto la parte, me ne sono innamorata subito. Ho sentito fuoriuscire da me una voce che, spontaneamente, affermava la propria esistenza e ho capito che coincideva con Nunzia, perché, anche se non lo sapevo ancora, lei era già dentro di me. Senza Teresa non lo avrei scoperto.

L’essere riuscita a diventare un tutt’uno con Nunzia mi ha dato grande soddisfazione; in quel momento mi sono sentita realizzata come attrice, per aver rispettato un’eroina che chiedeva di essere rappresentata pienamente, e come donna, perché affrontare una tematica così delicata mi ha fatto rendere conto di cosa significasse, per l’epoca, immolarsi per i propri affetti, allontanarsi dalla propria terra, darsi ad un uomo che non si conosce, e questa presa di coscienza mi ha cambiata molto.

Per prepararmi a dovere ho letto ed ascoltato tante testimonianze di ragazze che hanno provato sulla loro pelle quest’esperienza così forte e ho pianto a dirotto, restandone sconvolta e turbata.

Mi sono sentita investita della responsabilità di farmi interprete di questi drammi interiori, inscenando il loro vissuto; era un po’ come riscattarle, per far capire al mondo l’entità del sacrificio di cui sono state capaci per amore dei propri cari.

In un certo senso, questo ha cambiato la storia del nostro Paese, perché ha portato poi ai movimenti femministi, in cui hanno iniziato a ribellarsi, manifestando liberamente i propri disagi e rivendicando i propri diritti.

Per non parlare della maternità ‘pretesa’ dal marito – padrone…

Sì, una maternità pretesa dal marito, che, avendola ‘comprata’ esige che la moglie porti a termine il compito che la Natura le ha affidato, quello di procreare, considerandola, appunto, solo come un animale da riproduzione. È agghiacciante sentirne parlare in questi termini, ma lo straordinario personaggio di Vittorio, interpretato dall’ottimo Maurizio Donadoni, è necessario per permetterci di capire la differenza tra allora e adesso.

Oggi ancora ci lamentiamo se l’argomento figli ci viene sollecitato in modo inopportuno o se c’è un’informazione scorretta in merito, perché sappiamo che deve essere una libera scelta, non un’imposizione, ma se abbiamo ora la possibilità di sentirci complete anche senza prole, lo dobbiamo a chi, prima di noi, ha lottato per rivendicare quelli che sono e restano diritti sacrosanti. Dare a tutto questo la dignità che meritava è stato per me un compito importante, che ho affrontato con grande consapevolezza.

Hai espresso riconoscenza anche verso la produzione, per aver deciso di raccontare una parte della storia del nostro Paese di cui poco si è detto, evidenziando, implicitamente, come la Rai continui a fare formazione, oltre che informazione. Oltre alla sacralità dei valori, all’importanza della Libertà e della Cultura e alla lotta ai preconcetti, qual è, per te, il messaggio più profondo che ‘La Sposa’ lancia?

Rispetto per la donna, sopra ogni cosa. Mi appoggio a quanto ha dichiarato Francesco Nardella, di Rai Fiction, nella conferenza stampa di presentazione, ovvero che, attraverso questo percorso, la donna è riuscita a riscattarsi, a fare un passo in più verso l’uomo e, forse, è proprio qui, come diceva lui, che occorre trovare la chiave per la violenza di genere. L’uomo deviato, infatti, nel sentirsi un passo indietro, necessita di un atto di brutalità.

Penso che il messaggio ultimo de ‘La Sposa’ sia anche questo: riflettere sulla condizione della donna, capire da cosa è partita, quali battaglie ha combattuto e quanto rispetto esiga.

La forza di tutti i personaggi della serie risiede nel loro essere al limite tra allegoria e realtà, archetipo e concretezza; che tipo di lavoro psicologico hai dovuto fare per diventare Nunzia?

Ho dovuto mettermi nei panni di una donna che, suo malgrado, accetta un trattamento da parte del marito che è tutt’altro che corretto. Ho dovuto capire cosa significa abbassare la testa e non avere altra scelta, perché quello è il tuo destino e lo devi subire. Al suo dramma, però, il regista è riuscito a dare una svolta ironica.

Nella scena andata in onda al mercato, Maria, alle prese con il banco della verdura, da calabrese, non capendo bene il dialetto veneto, diviene vittima di razzismo da parte di una donna che, per farla sentire ancora più a disagio nella sua condizione di emigrata dal profondo Sud, la offende, con aria di superiorità, dicendo che è un’approfittatrice e che deve imparare l’italiano, quando, invece, lei stessa si esprime in vernacolo. Dov’è quell’umanità che dovrebbe distinguerci dalle bestie?

Nunzia, come accadrà in altri momenti tragici, cerca immediatamente di farla sorridere, di prenderla bonariamente in giro, di stuzzicarla, per darle la forza di reagire.

Antonella Prisco e Serena Rossi in 'La Sposa' - foto Maria Vernetti
Antonella Prisco e Serena Rossi in ‘La Sposa’ – foto Maria Vernetti

Giacomo mi ha chiesto che mostrassi tutte queste sue sfaccettature, ma evidenziassi anche la leggerezza tipica delle persone che hanno il cuore lacerato, perché estremizzare e scherzare sulla propria condizione serve proprio a ridimensionare, stemperare la pesantezza della situazione.

Donna oltre lo stereotipo dell’angelo del focolare, Nunzia è una guida concreta per Maria, con cui condivide la stessa esperienza del matrimonio per procura. Cosa l’una impara dall’altra in questo giogo di pratica arcaica, che sfocia, però, in un inno alla resilienza?

Sicuramente l’aiuto che offre Nunzia a Maria è quello di mostrarsi sua complice, darle sostegno, solidarietà concreta: una conterranea che parla la sua stessa lingua, che ha la sua stessa impostazione mentale, che ha subito gli stessi soprusi e che le racconta quei retroscena, veri o presunti tali, che gli altri si rifiutano di narrarle, semplicemente perché la ignorano volutamente.

Anche Maria sarà di grande supporto a Nunzia, ma nei prossimi episodi, quindi non posso sbilanciarmi più di tanto, posso solo parafrasare aggiungendo che porterà un raggio di luce anche nella sua esistenza e le darà il coraggio di un’azione che, prima, per lei, sarebbe stata inimmaginabile.

La resilienza è un motivo costante e continuo in questa fiction, perché a ciascun personaggio è chiesta questa prova di ricostruirsi; ognuno di loro viene rotto da una condizione estrema, da un episodio estremamente violento e poi, come per magia, grazie anche all’influsso positivo di Maria nelle loro esistenze, riusciranno a ricomporsi per ripartire.

Un esempio su tutti: nella prima puntata, Paolino, dopo la morte della madre, viene dimenticato dalla famiglia, relegato nella stalla, privato del calore umano di cui ogni bambino dovrebbe essere circondato, si chiude nel suo mutismo e non va più a scuola, finché l’intervento amorevole di Maria, aiutata da Nunzia e Carla, mette sotto gli occhi di tutti una serie di diritti inalienabili per il minore, come quello all’istruzione.

Emigrazione, coscienza civile e politica in una serie in cui co-protagonista è la stessa Madre Natura, da sempre elemento imprescindibile nella vita umana. Quanto l’indugiare sulla terra che inizia ad essere avvelenata in nome del profitto è una denuncia della situazione contemporanea e quanto, invece, è un invito alla riflessione, agli equilibri da rispettare per il pianeta che ci ospita?

La denuncia è fortissima verso il rispetto della terra e della Natura, una tematica su cui la Rai ha puntato molto. Si vuole scuotere la coscienza comune per capire da che parte stare nel momento in cui ci si trova davanti ad un bivio. È un aspetto che la Rai ha individuato con puntualità e precisione e rappresentato al meglio.

La cura, l’amore, il rispetto per l’ambiente lo troviamo anche nel lavoro delle contadine che, attraverso le loro fatiche quotidiane, vivono dei frutti della terra. Nel momento in cui ci si organizza per la gestione dei terreni e delle proprietà agricole, come è accaduto in passato, si prepara la fuga da questi posti; era fondamentale porre l’accento su quanto fossero importanti come risorsa e su quanto sia stato difficile, e forse anche sbagliato, scappare e rinnegarli.

Nelle successive puntate ci sarà un’evoluzione verso poi quello che storicamente sappiamo essere accaduto; basterà seguire i prossimi episodi per capire a cosa mi sto riferendo.

La serie, ambientata negli anni 60, torna sulla ‘Questione meridionale’; a distanza di oltre mezzo secolo, i fenomeni dell’emigrazione e di un’Italia a due velocità non sono sicuramente superati. Da sociologa e da napoletana, quali sono le differenze rispetto a quel periodo e cosa manca per colmare un gap che dura da oltre 160 anni?

Il divario sussiste. Il problema reale del nostro Paese, senza ricorre a luoghi comuni, per me risiede nel fatto che continuiamo a sentirci ‘diversi’ gli uni dagli altri, a livello locale e regionale, prima ancora che nazionale, ‘superiori’, non si sa poi bene in base a che cosa.

Ci identifichiamo molto spesso con il territorio di origine, facciamo differenze fortissime anche confrontandoci con chi vive a pochi chilometri da noi; se veniamo da un grande centro siamo magari pronti a deridere chi abita in un paese sconosciuto ai più.

Mi chiedo: come volevamo sentirci europei se ancora non ci sentiamo italiani, ma campani, piuttosto che siciliani o liguri? Parlare un dialetto invece di un altro: cosa cambia?

Farci condizionare da scelte politiche che, a volte, vengono strumentalizzate solo per fare proselitismo, in un Paese che sulla Carta costituzionale è unito non sarebbe dovuto succedere.

Se rimarremo fissi sulle nostre posizioni, continuando ad avere una mentalità legata ad eventi relativi ad un sistema che non è più in essere, non faremo alcun progresso.

Credo che la matrice di tutto questo divario sia proprio nella nostra stessa storia, che seppur passata, fa parte di noi. Ad esempio, se dalla mia bocca esce un termine che fa riferimento, per sonorità o etimologia, ad una dominazione specifica, qualunque sia, va rispettata come elemento culturale che mi ha formato.

Non siamo certo fermi agli anni 60, si sono succedute una serie di dinamiche, non entro nel merito, ma, da sociologa, ritengo che l’origine vada ricercata in questa storia che ci accomuna tutti e ci descrive.

Se in Italia si decidesse di investire seriamente sulla Cultura, perché tutti abbiamo bisogno della Bellezza, e questo periodo assurdo lo dimostra, potremmo ricavare benefici enormi e non solo economici.

Fiction come questa raccontano, anche al Nord, come una persona del Sud, emigrando, si sia sentita additata, emarginata e fuori luogo. La bontà di Maria, la sua ‘accettazione attiva’ degli eventi, che non è altro che quella resilienza di cui parlavamo prima, la duttilità, la dignità, la capacità di reagire agli eventi, senza permettere che il proprio io si sgretoli, indicano la strada da seguire per attenuare quel divario. Ed è possibile, se si ha a che fare con persone intelligenti, che si mettono in discussione!

L’essere umano apra la propria mente e il proprio cuore, impari a scrollarsi di dosso i preconcetti e si predisponga, con genuino candore, verso l’altro; solo così avremo reciproco arricchimento.

Dove avete girato?

Per esigenze di produzione, le scene della Calabria sono state girate in Puglia, alcuni degli interni ricostruiti negli studi di Cinecittà a Roma, mentre la maggior parte degli esterni a Torino, Vercelli e a Fontanetto Po, un delizioso paese del vercellese, in cui il tempo si è quasi cristallizzato, dove esistono effettivamente il bar di Nunzia, la cabina telefonica e la merceria.

Hai recitato per la prima volta con Serena Rossi, storico volto di UPAS, che però non hai mai incrociato sul set napoletano, dato che aveva già lasciato la soap. Come ti sei trovata?

Serena è veramente una persona magnifica. Ti racconto questo aneddoto così la inquadri. Dopo l’ultima scena, in genere, si fa l’applauso al protagonista, e lei, nel discorso dei saluti, ha speso per me parole splendide, rimarcando che ero stata una piacevole scoperta. In quel frangente non so neanche dirti se l’ho ringraziata, non lo ricordo, ero così emozionata che mi scendevano le lacrime.

Ha un carattere bellissimo, riesce a portare la serenità sul set, a metterti a tuo agio, contribuendo ad instaurare un clima gioioso, così che si lavori al meglio. Che sia poi un’ottima attrice, una talentuosa cantante e un’affascinante donna, questo è sotto gli occhi di tutti, ma ci tenevo che uscissero fuori anche la sua solarità, la sua dolcezza e la sua umanità.

Antonella Prisco e Serena Rossi in 'La Sposa' - foto Maria Vernetti
Antonella Prisco e Serena Rossi in ‘La Sposa’ – foto Maria Vernetti

Riscontri dal pubblico?

Mi stanno scrivendo in molti. I fan di UPAS sono speciali, perché ti seguono in ogni fase della carriera. Erano curiosi di vedermi in questa insolita veste, mi hanno fatto sentire il loro affetto; sono critici ed esigenti, com’è giusto che sia, ma anche super affezionati. Sto cercando di rispondere singolarmente ad ognuno di loro, perché ci tengo ad alimentare questo rapporto così bello e spontaneo.

E di quell’essere speciale che hai al tuo fianco, Nicola, del tutto opposto al marito di Nunzia, che appoggia ogni tua decisione personale e professionale, non ne vogliamo parlare?

Ogni lavoro ha le sue difficoltà, ma nel mio caso specifico, se non avessi a casa una persona che mi sostiene concretamente, e non solo applaudendomi, non sarei in grado di farlo a dovere, soprattutto con un figlio.

Per questa serie, per la prima volta, sono stata lontana dal piccolo Vincenzo per 20 giorni; sapere che posso contare sempre su mio marito, che non va a sostituirmi come genitore, ma a coadiuvarmi, perché è presente in tutto, pronto a colmare l’assenza che il bambino prova, per me è ineguagliabile e mi predispone a quella tranquillità necessaria per dedicarmi al mio mestiere di attrice.

Il suo sostegno è nel suo essere straordinariamente padre, oltre che il mio meraviglioso Nicola.

Crediti

Rai Fiction presenta
Serena Rossi
in
‘La Sposa’

Regia di Giacomo Campiotti
una coproduzione Rai Fiction – Endemol Shine Italy
Serie TV in 3 serate

Cast artistico

Maria – Serena Rossi
Italo – Giorgio Marchesi
Vittorio – Maurizio Donadoni
Antonio – Mario Sgueglia
Paolino – Antonio Nicolai
Carla – Claudia Marchiori
Nunzia – Antonella Prisco
Giuseppe – Matteo Valentini
Luisa – Giulia D’Aloia
Don Fabio – Gualtiero Burzi
Filomena – Mariella Lo Sardo
Carmela – Matilde Piana
Zi’ Michele – Saverio Malara
Giulio – Denis Fasolo
Pietro – Maresciallo dei Carabinieri Stefano Fregni
Bruno – Stefano Guerrieri

Cast tecnico

Regia – Giacomo Campiotti
Soggetto e sceneggiatura – Valia Santella, Eleonora Cimpanelli, Antonio Manca
Headwriter – Valia Santella
Story Editor Endemol Shine Italy – Giulia Martinez
Casting – Teresa Razzauti, Valentina Flint
Costumi – Marina Roberti
Scenografia – Sabrina Balestra
Suono/fonici di presa diretta – Francesco Lorandi, Marco De Carolis, Roberto Remorino
Montaggio musiche originali – Roberto Missiroli, Marco Monardo (A.M.C.)
Direttore della Fotografia direttore di produzione – Stefano Ricciotti
Direttore di Produzione – Roberto Giliberto
Organizzatore Generale – Antonio Stefanucci (A.P.A.I.)
Produttore Esecutivo – Francesco Pincelli
Produttore Rai – Marta Aceto

Film realizzato con il contributo di POR FESR Piemonte 2014 – 2020 – Azione III.3c.1.2 – bando ‘Piemonte Film TV Fund’ e con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.

Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.