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La solitudine alimentare

solitudine alimentare


Mangiare in solitudine è diventato un aspetto peculiare della vita contemporanea.

L’alimentazione solitaria oggi è un segno della solitudine esistenziale?

Colui che mangia solo è già morto.
Jean Baudrillard

Da una telefonata col preg.mo direttore del giornale che gentilmente ospita codesta rubrica, mentre stavamo condividendo le rispettive valutazioni al cucinare / mangiare da soli, è iniziata la mia riflessione sull’argomento di oggi, giacché peraltro, oltre al precedente, in riferimento ai riti di socializzazione, l’ho sfiorato in un paio di altri articoli,
Il cibo surrogato di amore, dove accennavo alla solitudine, in riferimento ad una condizione emotiva / psicologica associata a un particolare alimento, predilezione intenzionale o inconscia e Identikit del mangiatore. Vediamo cosa e come mangi e saprai chi sei, dove, menzionando ancora il preg.mo direttore, prendevo in esame coloro che non cucinano soli perché, senza l’assaggio dei commensali, viene meno anche il sentimento che si appone nell’attività di preparazione e il relativo senso del tutto: un po’ come pensare e andare in cerca di un dono destinato a nessuno.

So molto bene cosa vuol dire stare da soli, in tutti i sensi, anche mangiare. Alcuni aspetti del mio lavoro mi hanno portato a stare in attesa tantissime ore da solo, concentrato e senza distrazioni.

Ore – il mio limite sono state 52 – le quali non diventano interminabili solo con uno specifico allenamento, del non avere fretta, del non essere impaziente; l’allenamento che fa rallentare la respirazione e fa calmare il cuore, ma, al contempo, l’esercizio deve bilanciare con un po’ di stress per essere sveglio, efficiente, pronto. Pochi lo sanno fare.

La professione richiede precisione, la precisione richiede perseveranza.

Agli inizi, una trentina d’anni fa, mi dicevo:

Sei un professionista. Un esperto dedito al tempismo e alla diligenza. Un virtuoso.

Da anni non mi parlo più, so già!

Per certi periodi alternati della mia vita ho vissuto isolato, per non lasciar tracce di chi ero veramente, preferendo essere un’ombra e tener protetta la vera identità. Nessun dato, nessuna traccia.

Vestito di colori neutri scuri – il grigio è il preferito – guidato auto non appariscenti, anonime e sostato lungamente in posizioni pulite e inosservate. Una delle regole durante l’attività è: mangia e va in bagno quando puoi, non sai mai quando ne avrai di nuovo l’occasione.

Nel caso personale, rimani solo comunque fuori dal servizio, nelle ore di pausa di lavoro, di diletto, il più delle volte si rimane lontani, impossibilitati a far rientro a casa: troppe poche ore di stacco, troppi km da fare. Di questi momenti quello che vorrei analizzare oggi è il mangiare in solitaria.

Trascorsa la giornata con un panino mordi e fuggi al volo, se va bene, la sera per amor proprio si cerca altro e poi, personalmente, mi sembra uno spreco non indagare anche le specialità della zona, ma c’è da gestire l’essere solingo, magari al ristorante.

Devo ammettere che questa e stata conditio sine qua non di partenza per la Guida Investigativa di Ristoranti e Hotel spunto con cui è partita l’idea dell’Investigatore Culinario e relative attività di sito web e social.

Un’agente del controspionaggio? Un investigatore privato, privato della possibilità di essere in compagnia per chissà quale lavoro sotto copertura?

Mah! Il più delle vote sono stato invece scambiato per un critico enogastronomico di qualche guida culinaria famosa.

In genere la si considera un’azione forzata da una situazione involontaria, quasi una colpa, e la questione si apre già alla prenotazione al ristorante col solito: ‘quanti siete?’

Già fosse quello in albergo sarebbe diverso, ma fuori casa ho un altro paio di regole: mai mangiare dove dormi e mai prendere il caffè dove mangi, se non sei già certo che sia abbastanza buono, che vale per entrambe.

Cenare in ristorante da solo è una sorta di iattura per il ristoratore, per un ovvio motivo: il tavolo occupato da uno normalmente è lo stesso per due, se non per tre o quattro coperti. Il più delle volte, poi, vieni visto un po’ come sfigato anche dagli altri commensali in sala, per l’auto-convinzione che la solitudine attiri lo sguardo costernato del prossimo, una specie di ‘effetto riflettore’.

Invece, spiegherò più giù perché, secondo me, è vero il contrario.

E poi, se qualcuno fortunello in compagnia avesse il tempo di notare e dispiacersi della tua pietosa condizione, beh, forse quella compagnia non lo starebbe intrattenendo un granché.

Esistono, inoltre, pietanze che sono proposte solo per due persone e, quindi, escluse forzatamente dalla tua possibile scelta; e una bottiglia di vino da solo, anche no!

Avete presente quelle piccole a mo’ di biberon? Anche se molto limitate nella scelta d’etichette, in taluni casi ammetto possano essere comode, ma onestamente dovrei fare un bel compromesso; preferisco maître o sommelier che non temono di aprire una buona bottiglia da servire al bicchiere e magari lasciarla aperta sul tavolo.
Eventualmente meglio l’azione del Coravin.

Quando non sei seduto di fronte a qualcuno, sei seduto di fronte al mondo.

In questi chiamiamoli svantaggi, ci sono però delle chiamiamole positività: può essere una sorta di esercizio spirituale, sei maggiormente concentrato su ciò che accade a livello di dinamica di sala, ancora meglio dove la cucina è a vista, e in linea di massima anche relativamente alle pietanze che mangi, le tecniche e le descrizioni. In silenzio, in ascolto dei miei pensieri, i sensi sono un po’ più acutizzati, in modalità nerd culinario.

Pur in mancanza di conversazione, e normalmente non attacco bottone, tendo a non cedere ai richiami dello smartphone, ma come in alcuni film spionistici – gialli – thriller, per puro voyerismo inizio a dilettarmi ad interpretare le persone ai tavoli, cercando di indovinare chi sono dal vestiario, dal comportamento e da cosa e come mangiano, come tengono le posate o il bicchiere, ecc., per farne l’identikit, come descrivevo qualche articolo fa.

Nei gruppi comprendere chi è gregario e chi, invece, non lo è o altre caratteristiche personali. Vedere le varie espressioni ai piatti presentati e all’assaggio e poi guardare le reazioni all’arrivo del conto.
Non ci si annoia.

Da solo, comunque, riesco soprattutto ad osservare meglio me stesso, lo trovo formativo: stare da soli insegna la sopravvivenza. Sono a tu per tu con il mio piatto, faccio i conti con me stesso, e con lo chef.

Meglio soli che mal accompagnati!

Non biasimo chi si sente più libero in quel frangente, magari a gustare piaceri normalmente proibiti o a concedersi una rilassante coccola di piacere solitario, in ogni caso, considero non proprio una fortuna lo stare da soli, anche se dovesse essere allietata dalla cura di un ottimo servizio, sicuramente perché non lo trovo così divertente, senza condivisione e confronto, senza scambio energetico; poi, normalmente, sono ben accompagnato – sono le persone a cui voglio bene che scelgo per mangiare – e così non corro rischi di vane ciarle su argomenti insipidi.

Andy Warhol, mentre creava la serie di litografie Pop Art focalizzate su alcune pietanze, già fantasticava su un ristorante per single. Credo che qualcuno abbia poi realizzato il concept in giro per il mondo.

Riapriamo i lavori della loggia culinaria.
Massi

Sono stato invitato ad una cena in Franciacorta organizzata a ottobre da un’associazione di trattorie storiche italiane e ho ringraziato il cielo di aver trovato disponibile il mio fidato amico fraterno Massi, già citato diverse volte in questa rubrica.

Ma ci tengo a sottolineare che non ho ringraziato per il fatto di non essere rimasto solo, quanto il boost dell’insieme a, per poter condividere, proprio con lui, quest’esperienza culinaria.

Mi dice:

siamo sulla stessa frequenza.

Poi ho chiesto anche a Marco, un amico con cui sto affinando le frequenze gastronomiche esterne – giacché quelle casalinghe sono state abbastanza testate, avendo da qualche anno le rispettive abitazioni in montagna a pochi metri di distanza l’una dall’altra – per cogliere l’occasione di fare un esperimento particolare assieme, giacché, peraltro, è stato in gamba ad affacciarsi recentemente nel mondo culinario, rilevando le quote di una pasticceria storica a Dalmine.

Abbiamo necessità di contatto fisico ed emotivo. Il piacere di condividere e la bellezza di un abbraccio e le risate genuine: come si fai a surrogare certi momenti? Diventano impagabili! Riempitivi di sostanza di cuore e d’intelletto. Evolutivi dell’anima!

Passando all’altra situazione, quella domestica, rilevo che un terzo delle famiglie italiane ormai è unipersonale, una sorta di epidemia di romitaggio.

Non dico l’esempio della festa, quella del vestito buono, del ritrovarsi in piazza, dell’andare alla messa e soprattutto il cibo condiviso con i parenti, che è ancora consuetudine in piccoli paesi agresti, ma nel giro di una generazione siam passati dalle famiglie che si riunivano alla domenica stringendosi a tavola a non essere più parte né di un rito né di gruppo, ma persone singole in quasi tutti i momenti della vita.

Una nuova esperienza umana che vede il singolo in un trauma identitario, ri-primitivo e ri-animalesco, che vive da solo e da solo divora la preda?

Devo ammettere che non cucino quasi mai per me solo, e questa era la prima condivisione incrociata nella telefonata col direttore, richiamata all’inizio del presente scritto, e, nel mio specifico caso, più delle volte nemmeno mi siedo a tavola, ammesso che non siano pietanze particolarmente scomode.

Mmh… ‘pietanze scomode’: magari mi viene un’altra idea per un nuovo articolo. Chissà…
Comunque cucinare e sedersi, per me, è comunicazione di calma e di dedica di tempo e di sentimento. Sarà deformazione culturale dell’essere italiano e di avere avuto possibilità di indagare approfonditamente i motivi reconditi del nutrire e nutrirsi…

Non me ne dolgo, anzi, in certi casi, nei periodi in cui mia moglie è assente, approfitto per mangiare mono-proteico, come sono solito dire, cercando di perdere qualche chilo e allungando i tempi di intervallo tra un pasto e l’altro – normalmente riduco a uno e mezzo – cosa che in compagnia mi è un po’ impossibile.

Fortunatamente non soffro di food craving, laddove è scientificamente provato che in solitudine o isolamento il desiderio è rivolto particolarmente verso cibi ricchi di sale, zuccheri e grassi, in stile compensativo.

Fortunatamente, non incorro nemmeno nei classici – sconsigliabili – errori che la maggior parte fanno quando sono da soli, nemmeno durante il mio periodo studentesco, come mangiare cibi pronti, precotti o surgelati o in scatola/busta/vaschetta per l’effetto di snackification monodose, come calcolare più di una porzione o mangiare in modo distratto e senza pensare, non facendo caso alla quantità e al senso di sazietà.

Non me ne vergogno: non ho mai nemmeno chiamato per farmi recapitare cibo pronto a domicilio, neppure durante le restrizioni del periodo Covid. Di motivi ce ne sono diversi, ma ve li spiegherò, forse, in altra occasione.

Se riesci a mangiare da solo, allora puoi fare quasi qualsiasi cosa.

Quasi sempre rimaniamo governati da convenzionalità e apparenze, da tutto ciò che la società impone, costruendo inconsapevolmente in noi stereotipi dai quali è difficile allontanarsi.

Fa riflettere il fatto che far volontariato da soli sia percepito più altruistico che farlo assieme ad amici.

Fare certe cose da soli, poi, per alcuni vuol dire libertà e indipendenza, per altri significa deprimente supplizio.

Naturalmente, esiste una predisposizione individuale che ci garantisce la nostra unicità; basta conoscersi e non sarebbe corretto snaturarsi, ma prima di ciò è giusto sperimentare.

In certi momenti della mia vita alcune esperienze in solitaria, a parte gli aspetti di tipi di lavoro che mi son capitati che ho descritto inizialmente, ad esempio dei viaggi all’estero, mi hanno lasciato un gran segno positivo, oltre ad avermi mostrato caratteristiche della mia personalità che, altrimenti, non avrei scoperto facilmente.

E poi, non è tanto vero che si rimane così soli: nella mia esperienza triennale londinese, per esempio, parlavo molto italiano, a scapito della lingua locale, e, dopo poco, lì mi son ritrovato pure ‘fidanzato’ con un’italiana.

Banalmente credo sia equilibrato star bene in entrambe le situazioni, soli o in compagnia, e godersi il bello dei due aspetti contrapposti.

La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare.
Toni Servillo nel personaggio di Jep Gambardella nel film ‘La grande bellezza’ di Paolo Sorrentino

Io credo di esserci arrivato almeno con una quindicina di anni d’anticipo, non come espressione egoica, ma come la comprensione del valore di ciò che si fa, anche mangiare, e con chi, ma anche da soli.

L’importante è avere una diversificazione, un’alternanza, fondamentale per il ben vivere, creandosi il presupposto sufficiente per poter decidere spontaneamente la condizione preferita senza troppe costrizioni esterne, per non trasformare la solitudine in abbandono o impotenza, che associamo alla sensazione di non essere amati con il conseguente sgretolamento dell’autostima.

Infine, è doveroso fare il distinguo del solo, per me, tra mangiare e cucinare, che hanno due significati di base differenti: il primo – prendere – è egoriferito per vari versi, il secondo – dare – è perlopiù altruistico.

Infatti, a mio parere, il punto d’incontro riunisce gli opposti: causa – effetto, che si incrociano e si scambiano in una quantistica legge, diventando anche effetto – causa.

Il primo posso svolgerlo anche in piedi e senza apparecchiare la tavola, riducendo l’atto in alcuni casi a qualcosa di necessario e funzionale, sebbene ci tenga a sottolineare che la vedo come attività singola e non accessoria.

Il secondo è un puro dono di sentimento nei confronti di chi si vuole allietare temporaneamente con bellezza e cortesia, sapori emozionali in un abbraccio d’anima, seduti insieme a trascorrere buon tempo.

I nostri spiriti sono frammenti di luce divisi e sperduti che ambiscono l’unione per rispecchiarsi e comprendere ciò che, infine, hanno sempre saputo.

Il percorso dove ci porterà?

Stay tuned! Restate sintonizzati e direi anche sincronizzati!

Autore Investigatore Culinario

Investigatore Culinario. Ingegnere dedito da trent'anni alle investigazioni private e all’intelligence, da sempre amante della lettura, che si diletta talvolta a scrivere. Attratto dall'esoterismo e dai significati nascosti, ha una spiccata passione anche per la cucina e, nel corso di molti anni, ha fatto una profonda ricerca per rintracciare qualità nelle materie prime e nei prodotti, andando a scoprire anche persone e luoghi laddove potesse essere riscontrata quella genuina passione e poter degustare bontà e ingegni culinari.

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