Home Rubriche Esostorie La ruota dell’anno: dai riti pagani alla Candelora

La ruota dell’anno: dai riti pagani alla Candelora

2197
Candelora


Download PDF

Nella cultura celtica i riti erano strettamente legati ai cicli naturali e la sequenza della ruota dell’anno scandiva il trascorrere dei mesi.

Non a caso la sua partenza la ritroviamo a febbraio, poiché, anche se siamo ancora in pieno inverno, nella nera terra i semi iniziano a radicare, gli animali da letargo si risvegliano, nascono i primi vitelli e capretti e le mucche ritornano a riempire le proprie mammelle di latte. Anche nell’area mediterranea questo mese era considerato propiziatorio.

“Februare” in latino significa purificare; in effetti anche i romani offrivano sacrifici alla Dea Februa, in precedenza a Pessinunte, in Frigia, la protettrice, garante della prosperità dei campi, era Cibele, la prima fra gli dei, l’eterna, divinità della Terra, protettrice dei campi e dell’agricoltura.

Madre degli Dei immortali,
Lei prepara un carro veloce, tirato da leoni uccisori di tori:
Lei che maneggia lo scettro sul rinomato bastone,
Lei dai tanti nomi, l’Onorata!
Tu occupasti il Trono Centrale del Cosmo,
e così della Terra, mentre Tu provvedevi a cibi delicati!
Attraverso Te c’è stata portata la razza degli essere immortali e mortali!
Grazie a Te, i fiumi e l’intero mare sono governati!
Vai al banchetto, O Altissima! Deliziante con tamburi, Tamer di tutti,
Savia dei Frigi, Compagna di Kronos, Figlia d’Urano,
l’Antica, Genitrice di Vita, Amante Instancabile,
Gioconda, gratificata con atti di pietà!
Dea generosa dell’Ida, Tu, Madre di Dei,
Che porta la delizia a Dindyma e nelle città turrite
e nei leoni aggiogati in coppie, ora guidami negli anni a venire!
Dea, rendi questo segno benigno!
Cammina accanto a me con il Tuo passo grazioso!
Virgilio Eneide – preghiera di Enea

La vergine senza madre, anticamente con questa formula non si intendeva colei che si asteneva dall’accoppiamento ma chi non era sottoposta all’uomo, partorì il figlio Actis che divenne il suo Paredro. La Magna Mater, amante gelosa, quando Actis s’innamorò di una ninfa, scoperto l’affronto, per vendicarsi, lo fece impazzire tanto che nel furore si evirò. Così divenne il dio della vegetazione che ogni anno muore e resuscita, il suo sangue bagnando la terra fece spuntare le viole.

Nel cerimoniale a lei dedicato la dea era il personaggio principale, mentre i sacerdoti e il figlio secondari; il rito prevedeva che gli officianti, in abiti vistosamente femminili, al suono di musiche ossessive e assordanti, cadessero in estasi orgiastica, tanto da arrivare ad evirarsi con pietre appuntite.

Nel suo nome si celebravano i Sacri Misteri, coloro che riuscivano ad attraversarli del tutto avevano svelati i segreti più profondi della vita e della morte, protetti così gelosamente tanto che nulla di scritto è stato mai trovato.

Un tempio a lei dedicato sorgeva sul Monte Partenio che deriva da Parthenias, nome con il quale i napoletani chiamavano Virgilio, il poeta, che per il suo essere casto e irreprensibile fu soprannominato dal popolo il Virginiello. Questo nome evoca nell’immaginario Partenope, l’antico appellativo di Napoli: la Sirena che nella mitologia era un uccello con la testa e il volto di donna e, in quanto tale, viveva fra terra, cielo e mare. Un essere con una sessualità ambigua dedita come la Sibilla al vaticinio, al canto e all’incanto; da ciò il carattere verginale.

Nella tradizione napoletana il culto per la generatrice e il vate si sovrappongono, in virtù di questa credenza così radicata, fu conseguenziale l’assimilazione e la venerazione della Vergine Maria anche se la nostra Ava non fu mai del tutto dimenticata.

Lo stesso Montevergine, a Mercogliano (AV), dove ora sorge il santuario dedicato alla Madonna, come varie testimonianze storiche provano, deve il suo nome a Virgilio, popolarmente era chiamato Mons Virgilianus, Monte di Virgilio. Per la natura della stessa montagna viene spontaneo chiedersi perché San Giuliano, 1085 – 1142, scegliesse di costruire un sacrario dedicato a Maria Vergine in un luogo così impervio se non sostituire e sovrapporre ad un tempio pagano un culto cristiano che poteva facilmente attecchire.

Prima di Guglielmo anche San Vitaliano, Vescovo di Capua, diede vita ad una prima fondazione dell’Abbazia di Montevergine. La leggenda narra che, essendo irreprensibile, avesse tanti nemici. Una notte questi sostituirono i suoi abiti con vesti da donna, il giorno dopo il Vescovo si ritrovò ad officiare in abbigliamento femminile per cui fu accusato delle peggiori nefandezze, chiuso in un sacco e gettato in mare, si salvò grazie all’intervento della Madonna, che lo fece approdare a Roma. Ancora una volta, quindi, ritroviamo un sacerdote in abbigliamento femminile.

Questo non è il solo caso, si racconta che nel 1256 due giovani omosessuali furono scoperti nei dintorni a baciarsi ed amarsi; tacciati di scandalo vennero legati ad un albero sul monte Partenio affinché morissero di stenti, dilaniati dai lupi. La Madonna protettrice degli emarginati, dei poveri, dei diversi intercedé in loro aiuto liberandoli, facendo in modo che potessero vivere la loro natura apertamente.

Ancora nel 1600 il Santuario era meta di pellegrini e viandanti, in special modo nei momenti di ricorrenze quali la Pentecoste. Il rito dei Coribanti, camuffato, veniva ancora espletato: si usava bere e festeggiare con danze incalzanti al suono di tammorre, tamburo che si suona con le mani, per poi sfinirsi nella foresteria; quella notte il tempio fu profanato, scoppiò un incendio violentissimo in cui morirono oltre 400 persone e molti uomini furono rinvenuti vestiti da donna.

L’elemento del travestimento lo ritroviamo in una continuità culturale-religiosa tipica del luogo che, ancora oggi permane, il 2 febbraio.

Omosessuali di ogni dove si radunano per scalare la montagna, la famosa Juta dei femminielli, venerando la Madonna di Montevergine, la più brutta delle sette sorelle campane, ma la più bella, perché ha un cuore grandissimo.

Rimangono vivi segni inconfutabili di antichi cerimoniali tipici della montagna, che potrebbero rappresentarsi e rapportarsi a Cibele. Questa sovrapposizione tra la Grande Madre e la Vergine Maria è stata naturale.

Parimenti le sette Sibille con le sette Sorelle, sei belle e una brutta, rappresentano l’emblema di tutto ciò: le sei belle sono bianche e simboleggiano i mesi primaverili ed estivi, mentre una sola, la Mamma Schiavona, è nera come l’autunno, l’inverno e le cime impervie, abbraccia questo lungo periodo in cui la terra accoglie e protegge la seminagione per poi farla germogliare.

Si rapporta al mondo dei contadini che, da sempre, scandiscono il loro tempo seguendo il ritmo della natura, accogliendo e mantenendo in sé questi segnali antichi, radicando il cristianesimo nella propria cultura, senza perdere la memoria.

Le altre sei sorelle sono: la Madonna dell’Arco di Sant’Anastasia e la Madonna Pacchiana di Castello di Somma Vesuviana, la Madonna delle Galline di Pagani, la Madonna dei Bagni di Scafati, la Madonna dell’Avvocata di Maiori, la Madonna di Materdomini di Nocera Superiore.

Tutte ricorrono nei mesi primaverili – estivi, l’unica che viene acclamata 2 volte è Lei, la Mamma Schiavona: il 2 febbraio e il 12 settembre, apre e chiude le celebrazioni, inizia e termina la stagione buona, entra ed esce dall’Ade come Proserpina.

Elemento ricorrente sono i canti e le danze custoditi nella tradizione semplice dei contadini come espressione antica e genuina: la Tammurriata. Questa deve le sue origini ai greci e ai loro canti accompagnati dal tamburo, che veneravano le divinità protettrici del raccolto, con la loro penetrazione.

La ritualità venne quindi assorbita immediatamente nelle comunità contadine campane. Diventa l’espressione musicale popolare, è il centro vitale del mondo rurale, racchiudendo in sé dogmi, tabù, insegnamenti afferenti alle tematiche delle credenze, della religione, della sessualità, in sintesi della vita di tutti giorni. Diviene la manifestazione delle paure, delle frustrazioni, un modo per esorcizzare tutti i disagi, sia pratici che naturali attraverso uno sfogo che unisce tutta una comunità.

La Candelora per il calendario cristiano è la Presentazione di Gesù al tempio dopo 40 giorni dalla nascita. Rappresenta la conclusione delle feste natalizie e commemora un episodio riportato nel vangelo secondo Luca. In quel tempo, quaranta giorni dopo la nascita, la madre di un figlio maschio aveva l’obbligo di portarlo davanti al tabernacolo, offrendo in olocausto, come purificazione per sé, un agnello, per le classi ricche, mentre per i più poveri poteva bastare una coppia di colombe.

L’esibizione del primogenito maschio aveva anche il significato di riscatto della propria impurità, come prescriveva la legge Mosaica. La madre poteva finalmente entrare nel tempio, perché erano trascorsi 40 giorni dalla nascita del figlio maschio, se femmina 80.

Nuovamente un rito che richiama la purificazione espletato attraverso processioni notturne con ceri accesi conosciuto come la Purificazione di Maria. Oggi vengono benedette candele che, in caso di malanno, si accendono per chiedere un’intercessione divina.

Per Santa Candelora
se nevica o se plora
de l’inverno siamo fora
“se a Candelora piove o nevica, la primavera è vicina”;
sole micante
Virgine purificante
nix erit maior quam ante
“se brilla il sole il giorno della purificazione della Vergine ci sarà più neve di prima”.

Antica sapienza popolare che ancora oggi trova conferma.

Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.