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La radicalità del bene

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Dopo il “frastuono” mediatico dei giorni scorsi sul delitto commesso dai due giovani in danno dei genitori di lei, nel silenzio della mia personale coscienza ho cominciato a ricordare, ripetendomi più volte di aver già “visto e sentito” storie maledette e dissacranti come questa.

Nel 1991, a Montecchia di Corsara, in provincia di Verona, il 17 aprile, verso le 23:30 circa, un giovane ragazzo di 19 anni, di nome Pietro Maso, in concorso con due suoi amici diciottenni, massacrava con un bloccasterzi i propri genitori, (sua madre finì per opera del suo stesso figlio); dopo di che, a delitto compiuto, come “se nulla fosse accaduto” se ne andarono in discoteca a ballare. Il resto è storia di cronaca nera e giudiziaria: ma la cosa avvilente che emerse all’esito del dibattimento, fu la motivazione di quella innaturale esecuzione: ereditare il patrimonio economico e finanziario dei genitori. Lo stesso Maso, alcuni giorni prima della commissione del macabro delitto, falsificando la firma di sua madre su un assegno di 25 milioni delle vecchie lire, intascava la suddetta somma, con l’intenzione di estinguere un debito contratto da uno degli altri due assassini, per l’acquisto di un’automobile. Quei soldi in realtà furono dilapidati in vizi e capricci di quei poveri scellerati.

Questo è quanto ha spinto tre ragazzi borghesi, ed in particolar modo un figlio, a massacrare fino alla morte i propri genitori, annientando completamente il proprio codice naturale che li legava attraverso il sangue nel proprio alveo familiare. Nessuna pietà: soltanto efferatezza, crudeltà, materialismo della peggiore specie, e soprattutto anaffettività estremizzata all’ennesima potenza che dimostrano in modo oggettivo ed incontrovertibile la completa assenza di trasmissione di valori e sani principi morali. “Ragazzi interrotti” nello sviluppo della loro fanciullezza, persi per sempre in un terminale vuoto di dannazione esistenziale fine a se stessa.

Tale “interruzione di coscienza” è la “gemella di sostanza” che ha raggiunto dieci anni più tardi Erika ed Omar di Novi Ligure; i giovani adolescenti che la sera del 21 febbraio 2001, massacrarono di coltellate fino alla morte la madre ed il fratellino dodicenne di lei. Omar 17 anni, Erika sedici. Attualmente trentenni, liberi, dopo aver scontato in carcere rispettivamente nove e dieci anni. Stessa efferatezza, identica crudeltà, completamente anaffettivi. Vite spezzate da quella stessa “interruzione di coscienza” che aveva reso Pietro Maso un assassino a tutti gli effetti.

E così, dopo circa quattrodici anni, passando attraverso altri delitti e crimini efferati, amplificati dai mezzi mediatici, si giunge al massacro di Ancona per mano di un diciottenne, Antonio Tagliata e la sua fidanzatina sedicenne, Martina. Entrambi, in pochi minuti, danno sfogo a quell’interruzione di coscienza, facendo sì che per mano di lui, tre colpi di pistola ammazzino la madre di Martina ed altri cinque, mandino in coma irreversibile il padre: dopo l’accaduto, in tutta serenità, ci si incammina in una breve “fuga d’amore” verso l’ignoto (!!!).

Ma cosa accade in questi individui? Dove? In quale punto preciso si spezza quel filo di genuinità morale ed esistenziale che li allontana dalla propria “Matrix Originaria”?

Chi è realmente responsabile della loro insana, ed al dir poco inumana degenerazione?

Ogni essere umano che viene al mondo è inevitabilmente condizionato da elementi esogeni ed endogeni. I primi provengono dai genitori, dalla famiglia, la scuola, e dal contesto sociale in cui egli vive. I secondi, per quanto influenzati dai primi, sono legati all’origine stessa del soggetto che nel corso del tempo dispiega e manifesta il suo essere, divenendo adulto nell’ambiente che lo circonda. Spesso, però, questo naturale sviluppo s’interrompe per svariate ragioni, e tutto in quell’individuo cambia, mutando con una velocità estrema sino a renderlo ciò che mai sarebbe dovuto diventare.

Un neonato che viene al mondo non è malvagio, né proteso verso il Male; si contraddistingue per la più pura forma di bontà che possa esistere. Egli è buono perché il Bene nella sua più vasta e sublime accezione è radicale nella Sua stessa origine primordiale. La radicalità del Bene è un concetto univoco ed indefettibile che non ha eccezioni né regole contrarie alla forma di Amore più puro che possa originarsi nel mondo.

Purtroppo è l’Orologio della Vita che nel susseguirsi dei suoi rintocchi può deviare il corso di quel “sentiero” benevolo e mutarlo in un qualcosa di abominevole e aberrante; così come è accaduto qualche giorno fa ad Ancona. “I figli vengono ad esistenza attraverso di noi, ma non sono nostri né ci appartengono” affermava Gibran nel “Profeta”, ma nel contempo vanno guidati, seguiti nel loro sviluppo esistenziale, cercando fin dove è possibile di intuire le loro naturali inclinazioni e lasciarli scoprire le proprie attitudini. Non si nasce criminali, ma lo si diventa, e di questa svilente mutazione siamo responsabili tutti, ognuno di noi. L’interruzione della trasmissione dei valori basilari della vita comporta inevitabilmente il dissolvimento istantaneo dei principi etici e morali che distinguono la specie umana da quella animale.

Il materialismo sfrenato, il consumismo a tutti i costi, la voglia sfrenata dell’Avere annientano inevitabilmente il genuino valore dell’Essere, svuotandolo di sostanza e di significato. Gli uomini nascono per convivere e non per distruggersi, ammazzandosi senza ragione alcuna.

Non può esistere un motivo valido e plausibile dietro un crimine che si oscura di matricidio o patricidio. Dove sono finite le lacrime liberatorie di commozione di un figlio verso il proprio genitore? In quale immondezzaio sta capitolando il genere umano?

L’immagine di un giglio salomonico può ben simboleggiare il concetto di radicalità del Bene che, per quanto possa contenere in se stesso, tra i propri “petali”, le sfumature del Male, se nutrito di valori, dignità esistenziale, spirito di sacrificio intriso di umiltà, non può non germogliare nella maestosità ed il candore della sua naturale ed originaria bellezza.

La vita non può bruciarsi in un istante, nel compimento di un delitto mortale, perché ogni volta che accade, c’è chi va via per sempre senza volerlo e chi resta, smarrendo la genuinità della propria Anima.

Il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della Felicità appartengono ad ogni essere umano, ma fin quando il materialismo la farà da padrone, la radicalità del Bene si ridurrà ad una resilienza inevitabile, in attesa del respiro di nuova linfa vitale.

Ogni uomo al mondo deve avere ben chiaro il valore della propria memoria e della sua irrinunciabile “identità”.

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Autore Antonio Masullo

Antonio Masullo, giornalista pubblicista, avvocato penalista ed esperto in telecomunicazioni, vive e lavora a Napoli. Autore di quattro romanzi, "Solo di passaggio", "Namastè", "Il diario di Alma" e "Shoah - La cintura del Male".