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La prossima Italia

Elezioni politiche 2022 in Italia


I preti votano, Dio no.
Giulio Andreotti

Con l’annuncio delle prossime elezioni del 25 settembre e la caduta del governo di Mario Draghi, i partiti politici iniziano a parlare di campagna elettorale e di possibili alleanze in viste del ritorno alle urne.

La politica è sempre stata la nostra spina a fianchi già lacerati dalla difficoltà esistenziali. Vista più come una criticità che un’opportunità di miglioramento. Odiati, bestemmiati, invidiati, i nostri politici sono la fotografia di un Paese sempre in bilico tra il caos e l’orgoglio.

Abissi e altitudini sono il nostro pane quotidiano, la nostra inquietudine e la nostra beatitudine. Compromessi, accordi loschi, parole crittografate, messinscene e parodie: siamo visti così all’estero e forse ce lo meritiamo.

Oggi più che mai la nostra politica è senza un re o una regina: seppure ci sia una fazione partitica apparentemente in vantaggio, secondo i sondaggi, non si intravedono statisti all’orizzonte che ci consentano di essere sereni di fronte alle tempeste future.

Sappiamo e riconosciamo che il termine politica raffigura un elemento sempre contemporaneo nella comune esposizione di una giornata qualunque di un occidentale medio. Deriva dal greco antico politikḗ, “che attiene alla pόlis, ossia la città – stato, con sottinteso téchnē , “arte” o “tecnica”.

Pertanto, il significato più completo, ad indicazione del concetto in sé, consiste in “arte che attiene alla città – stato”, da cui “tecnica di governo della società”.

La matrice della “politica”, l’origine del tutto, se così possiamo delineare il quadro di insieme, è formata dalla parola pólis, da comprendere come un’entità politica, aggregativa, sociale ed economica, dunque una società con valori e principi etico – morali specifici e collettivi  i cui membri tendono al bene comune.

Immagino i vostri primi sorrisi mentre state leggendo…

All’interno dell’antica civiltà ellenica la pólis disegnava un punto di riferimento indispensabile per i cittadini, polités, non solo sotto l’aspetto autenticamente amministrativo, commerciale, militare e pubblico, ma in particolare per lo status stesso di “cittadino” con i suoi diritti e doveri trasmessi dalle precedenti generazioni, da cui il concetto di cittadinanza, con un netto sostrato etico – morale.

Ancora oggi è ampiamente attribuito ai greci il significato e il fine ultimo della stessa politica: ovvero il concorrere al “bene” ed al “vivere bene”. Gli interessi dei singoli corrispondevano precisamente con quelli della comunità.

I polités riuscivano a comprendere il proprio ruolo all’interno della società di appartenenza e si sentivano realizzati nel raggiungimento del “bene comune” e nella stessa partecipazione alla vita collettiva della pólis.

In effetti, quando Aristotele diceva che l’uomo era un politikon zoon, animale sociale, o socievole, o politico e sociale, esprimeva una concezione che faceva della Polis l’unità costitutiva e non scomponibile, la dimensione compiuta dell’esistenza. C’era commistione fra politico e sociale, erano la stessa cosa.

Chi non era sociale era un Idion, un essere carente, perché estraneo alla socialità, emarginato. L’individuo poteva avere una sua dignità solo in quanto cittadino che godeva dei diritti di cittadinanza, inserito nella comunità.

Ed è vero che, a prescindere, la politica dovrebbe essere l’attività che riguarda l’acquisizione, l’organizzazione, la distribuzione e l’esercizio del potere nell’ambito di uno Stato, ovvero fra gli Stati.

Il potere è politico quando le sue decisioni possono essere fatte valere nei riguardi di ciascun componente di una società. Perché la politica ha sempre a che vedere con decisioni collettive o collettivizzate, ossia con decisioni i cui effetti ricadono sulla comunità e che sono vincolanti per tutti coloro che ne fanno parte; essa inquadra in contesti dove, sia pure con modalità diverse, è previsto il ricorso alla coercizione e all’uso della forza.

Quella che riconosciamo oggi, non senza rabbia e frustrazione, si svolge dietro le quinte, è frutto di relazioni interpersonali. La democrazia ha certo ridotto i margini di questa invisibilità, aiutando ad ottenere una maggiore trasparenza, ma non l’ha rimossa: l’intero sistema dei comitati e dei partiti è in larga parte invisibile, in quanto disperso e frammentato, lontano dalla vista della gente.

C’è un’ampia pletora di attori – sic! – e se estendiamo il concetto, allargandolo non poco, anche di regimi: ierocratici, militari, burocratici, democratici. Non solo, ma variano i princìpi di legittimazione del potere, le ideologie…

A volte si amalgama con la religione, a volte no. Le interrelazioni con l’economia sono molte e discontinue, oltre che serenamente diaboliche. Può accadere che produca entusiasmi ed ideali per cui combattere o ancora disincanto e sfiducia con rivalutazione della dimensione esistenziale del privato.

È estremamente complessa, perché composta da innumerevoli elementi interdipendenti, per il linguaggio che la domina, per la natura sociale e collettiva dei suoi fenomeni, perché fatta di processi lunghi sui quali influiscono molte variabili, le quali non sempre riescono a fornire quella spinta aggregante ma, invece, consolidano la divisione e l’esclusione.

Quando vediamo cooperazione, solidarietà e collaborazione, infatti, non possiamo che commuoverci. Ed ecco che entra in campo la società civile che rivendica i suoi diritti come un appuntamento al cinema d’estate, il suo spazio di autonomia dalla società politica e partecipa a essa seppur in forme non più riconducibili alle militanze strutturate dentro i grandi partiti d’integrazione che avevano salutato l’alba della nostra Repubblica.

Questo appare visibile nella componente movimentista della società civile, che si contraddistingue per la sua sensibilità verso la sfera politica. L’idea di fondo qui è la non identità tra sistema politico e società civile, perché la funzione fondamentale della seconda è di stimolare il primo, rompendo la ragnatela di potere, e rinnovare la democrazia o il sistema politico predefinito che continuamente si ricostituisce attorno agli apparati istituzionali.

Oggi più di ieri, la riproposizione di forme rilevanti di partecipazione politica passa per il confluire su di un progetto comune non solo e non tanto di individui nebulizzati, ma di soggetti collettivi, magari di ridotte dimensioni aggregative, all’interno delle quali esiste già una solidarietà che, in determinate circostanze, esce dalla latenza ed assume le caratteristiche poliformi e policentriche di un grande movimento sociale.

Forse, quello che veramente manca ora in Italia è un movimento creato dall’interesse comune e dalle urgenze sociali, che faccia breccia nei caposaldi partitici. Attualmente abbiamo una politica disincanta, conscia che nessuna delle critiche o nessun scandalo smuoverà mai un popolo assuefatto ad essere maltrattato, troppo spesso allineato al malessere e al malfatto.

È questo il vero problema che nessun 25 settembre riuscirà a cambiare: l’abitudine al malgoverno è parte integrante del nostro costume nazionale.

La prossima Italia?

Sarà uguale a quella di oggi, ancor meno ribelle, più ipocrita e pronta ai tranelli delle elezioni successive.

Giro, girotondo, l’Italia è nello sprofondo…

Nessun popolo crede nel suo governo. Tutt’al più, la gente è rassegnata.
Octavio Paz

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.

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