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La piccola Pompei calabrese e la croce dei Templari

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Croce dei Templari


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Tra le numerose e spesso sconosciute testimonianze storiche del glorioso passato del sud, si cela un sito dimenticato, vittima di razzie da parte di predoni e tombaroli che, nonostante tutto, mantiene intatto il fascino di un’epoca trascorsa che riconduce ai fasti imperiali della Roma antica.
A poca distanza da Malvito, piccolo centro in provincia di Cosenza, si trova Pauciuri, una frazione del comune soprannominata ‘La piccola Pompei calabrese’, località che vanta la presenza un’area archeologica visitabile solo da pochi anni.

Grazie all’impegno dell’Amministrazione comunale presieduta dall’allora sindaco On. Giovanni Cristofalo, con il contributo di Università ed esperti da diversi Paesi, sono stati avviati degli scavi, che hanno portato alla luce importanti testimonianze di epoche passate.

Tra tutti i reperti rinvenuti ciò che desta maggiore attenzione non sono le rovine di vestigia romane, né il ninfeo o la necropoli, ma un piccolo oggetto che potrebbe collegare il borgo alla leggenda del Priorato di Sion.

Era il 1989 l’anno in cui fu ritrovata, all’interno di una tomba nella necropoli, una croce reliquiaria che risale ad un’epoca di passaggio tra la caduta dell’Impero romano e l’affermarsi del dominio bizantino e, con esso, della religione cristiana.

La caratteristica principale che emerge da questa piccola reliquia bivalve è la presenza di immagini differenti tra fronte e retro, rispettivamente una croce latina e un orante.

La figura del personaggio in atteggiamento di preghiera sembra appartenere ad uno stile improntato sull’essenzialità e la staticità, il disegno presente nel fronte opposto, invece, ricalca una croce decorata con un motivo definito ‘a spina di pesce’, che si distacca drasticamente dalla raffigurazione stilistica dell’orante.

Guardando con attenzione la religiosa figura, emergono dei simboli molto conosciuti: le croci di Gerusalemme e i pesci, due immagini che si ripropongono sul lato destro e su quello sinistro della veste, rispetto alla posizione del cuore.

E qui la storia si complica… Chi raffigurava l’orante?

Nella tradizione cristiana, una simile posa era caratteristica dei personaggi che rappresentavano un modello cristiano di riferimento, come santi o apostoli, lo stesso Gesù, ma con una differenza: l’assenza dell’aureola!

Da questo particolare non possiamo escludere che l’incisione sia antecedente al Consiglio di Nicea, quando, nel secolo IV d.C., il Concilio Ecumenico si riunì per tracciare le linee guida della nuova religione.

Solo successivamente al Concilio si introdusse l’obbligo di raffigurare santi, martiri e rappresentanti della cristianità avvolti da una luce divina sulla sommità del capo.

Tale reliquia, oggi custodita al museo di Sibari, in provincia di Cosenza, racconta il viaggio di questa croce dalla Terrasanta alla Calabria, un lungo itinerario, che infittisce una trama che, da oltre 20 secoli, mantiene saldo il legame tra la Chiesa e i misteri che essa racchiude.

Ma in che modo questa piccola croce può collegare tutto ciò?

Studi e ricerche fino ad ora condotti sul reperto e sul luogo del ritrovamento, riportano ad un personaggio leggendario: il monaco Ursus, che, a capo di una piccola comunità di monaci, nel secolo XI abbandona la Calabria per recarsi in Terrasanta.

Questa partenza, apparentemente priva di una corrispondenza concreta tra la croce e i templari, in realtà, rientra in un ideogramma storico, che ha inizio con la partenza documentata di questi monaci capitanati dall’abate Ursus, su richiesta di Goffredo di Buglione, e la fondazione del Priorato di Sion, confraternita che, secondo la Leggenda, era a capo dei Cavalieri Templari.

È auspicabile che, dopo diversi anni, Ursus fece ritorno in Calabria, probabilmente insieme ad altri monaci, portando con sé la croce pettorale da cui non si separerà neppure alla morte, scampata alla razzia dei tombaroli grazie alle sue piccole dimensioni.

Anche se la presenza dei templari in Calabria inizialmente può destare stupore, in realtà era tutt’altro che insolita o rara, poiché i porti, in particolare delle città comprese nell’attuale Stretto di Messina, vantavano un’importante posizione geografica per le partenze verso l’Outremere, ovvero San Giovanni d’Acri, il porto principale della Palestina, la vera porta d’accesso per la Terrasanta, meta diffusa da mercanti, cavalieri, pellegrini e religiosi, probabilmente il medesimo da cui questo religioso salpò per far ritorno in Calabria.

Autore Daniela La Cava

Daniela La Cava, scrittrice, costumista, storica del Costume. Autrice di volumi sulla storia del costume dal titolo "Il viaggio della moda nel tempo". Collabora con terronitv raccontando storie e leggende della sua terra, che ha raccolto nel volume "Calabria: Echi e Storie di una Terra tra due Mari".