Stiamo vivendo un momento drammatico: tutto il mondo è chiamato a battersi insieme contro un nemico “invisibile” che non si sconfigge con le armi né con la sola forza delle parole.
È l’ora più buia
come ebbe a dire Winston Churchill durante il secondo conflitto mondiale con lucida amarezza ai suoi connazionali.
Una violenta epidemia ha scatenato un nuovo inferno sulla nostra terra, colpendo prima la Cina e poi divorando lentamente la nostra Italia.
Spostandosi in ogni Paese, vomitando contro ogni confine, sgretolando ogni barriera e mortificando ogni discorso, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno, sulle razze.
Non entro nel merito scientifico per rispetto a chi ha i titoli e le competenze, per sopravvivere al buonsenso non scendo in campo per qualificare in giusto o sbagliato l’operato della nostra politica governativa, non scimmiotto i tanti prodigiosi intellettuali professionisti del nulla che ci insegnano a vivere, mi aggrappo a quanto di buono ho letto, a mio personale avviso, in questi giorni di ferocia solitudine, riassumendo e commentando, senza alcuna speculazione.
L’attuale epidemia di Coronavirus è stata chiamata “sindrome respiratoria acuta grave Coronavirus 2” (SARS-CoV-2). La malattia provocata dal nuovo Coronavirus ha un nome: ‘Covid-19’, dove “Co” sta per corona, “Vi” per virus, “D” per disease e “19” indica l’anno in cui si è manifestata.
Lo ha annunciato, l’11 febbraio 2020, nel briefing con la stampa durante una pausa del Forum straordinario dedicato al virus, il Direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus.
Si muore, e la morte ha un biglietto da visita preciso: passa di mano in mano e non guarda chi sei. Insieme all’epidemia si diffonde e cresce la paura. Non è una novità, anzi è una costante che riguarda soprattutto le malattie infettive.
Nella miriade di interventi sui media possiamo rintracciare tutti gli ingredienti tipici delle epidemie e degli scenari che le accompagnano: accuse, complotti, cospirazioni, strumentalizzazioni, interessi oscuri. Ci si appella alla razionalità e alla collaborazione.
Siamo nella Storia, stiamo facendo la Storia. Di questo oggi ne avremmo fatto a meno.
Si tratta di un virus pericoloso, che riceve un’attenzione e una copertura mediatica senza precedenti per nessun evento o catastrofe nell’Italia contemporanea. Riemergono paure sperimentate nel passato lontano, peste, più vicino, vaiolo, ebola, SARS, e mai dimenticate. Emergono, uno per uno, gli elementi che caratterizzano la percezione del rischio, che deve essere considerata per gestire la comunicazione del rischio in modo consapevole.
Come scrive Andrea Cerase nel suo libro ‘Rischio e comunicazione. Teorie, modelli, problemi’, 2017:
I risultati del vasto insieme di ricerche hanno consentito di evidenziare alcune caratteristiche chiave per spiegare la percezione del rischio e influenzare le decisioni: la familiarità, la controllabilità, la volontarietà dell’esposizione, il potenziale catastrofico, l’equità, l’immediatezza del pericolo e il livello di conoscenza.
Riprendo Sandman, 1993:
La percezione del rischio è il giudizio soggettivo che le persone elaborano riguardo alle caratteristiche, alla gravità e al modo in cui viene gestito il rischio stesso. Uno degli elementi chiave è il senso di oltraggio e indignazione che provoca il rischio, outrage, strettamente collegato alla fiducia nelle persone/enti di controllo e alla familiarità del contesto.
Sandman propone il rischio come prodotto tra il pericolo, hazard, e l’indignazione, outrage.
È una paura molto diversa da quanto preconizzato da Hans Jonas, secondo il quale la responsabilità verso il futuro implica una “euristica della paura”, una paura che sarebbe da recuperare dal nostro bagaglio biologico per imparare ad usarla come uno strumento che ci induce alla prudenza.
In realtà, è un’emozione molto più utile di quanto si potrebbe credere.
È necessaria per conoscere e imparare il coraggio: è solo sconfiggendo la paura che si diventa coraggiosi e utili al prossimo; in effetti il contrario del coraggio non è la paura, ma la vigliaccheria, il rifiuto di affrontare le proprie paure, mentre la sua totale assenza non è coraggio, bensì l’incoscienza e la stupidità.
Questo virus è stato capace di diffondere il panico, di paralizzare gli sforzi necessari, di dilatare gli effetti sull’economia e di «disunire» l’Italia, come stiamo vedendo in queste ore. Non per niente era la paura stessa durante le crisi epidemiche a incutere i più grandi timori nelle istituzioni / regnanti che dovevano governare l’emergenza e il crollo delle governance statali o imperiali. Fortemente consapevoli che la diffusione di una malattia mortale e contagiosa non incideva solo sulla salute fisica, alimentando la «fobia da contatto».
Quello che ti fa più paura è la paura stessa.
Franklin Roosevelt
A noi tutti è chiaro che questa del Covid-19, come tutte le epidemie, non solo è involontaria, ma evidentemente incontrollabile dai singoli, e sembra poco controllabile anche dalle autorità. Ci viene in supporto Boccaccio e la sua «mortifera pestilenza».
Nel suo capolavoro, il Decameron, la cui stesura sarebbe cominciata nello stesso anno, 1348, in cui la peste dilaga: un gruppo di giovani, sette ragazze e tre ragazzi si incontrano a Firenze, nella chiesa di Santa Maria Novella, mentre la città è devastata dal terribile morbo. Per sfuggire alla malattia e per dimenticare la sofferenza e la desolazione che regna, i dieci ragazzi decidono di abbandonare la città e di trasferirsi, un mercoledì mattina, in campagna, in una villa circondata dalla natura, luoghi ameni, e da una pace incontrastata.
Il Decameron ha un doppio scopo: l’intrattenimento piacevole e la morale, raccontando con precisione in che condizioni riversa la città e più in grande un Continente.
E fu questa pestilenza di maggior forza per ciò che essa dagli infermi di quella per lo comunicare insieme s’avventava a’ sani, non altrimenti che faccia il fuoco a le cose secche o unte quando molto gli sono avvicinate.
Come oggi anche nel Trecento con il diffondersi della contaminazione, si manifesta un male ancor più grave.
Ancora dal Decameron:
Ché non solamente il parlare o l’usare cogli infermi dava a’ sani infermità o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni o qualunque altra cosa da quegli infermi stata tocca o adoperata pareva seco quella cotale infermità transportare.
L’orrore si addensa nel contatto: gli uomini che litigavano fino a pochi giorni fa per la costruzione di un muro o per chiudere i porti, oggi si trovano a schivare la morte chiudendosi nelle proprie mura, consapevoli che potrebbe non bastare. Un bacio, una carezza sono messi al bando.
Se non dalla Sanità da noi stessi, segnati dal terrore di essere contagiati o di trasmettere ai propri cari il virus. È sgomento: è la guerra e l’annientamento che Bill Gates nel 2015 aveva predetto con composta paura.
È chiaro che ciò che è reversibile fa meno paura di un quello che è irreversibile, e se esiste un rischio ma ci sono vantaggi potrebbe anche essere accettabile. Ma in questo caso si vede come tutti noi abbiamo svantaggi, e la paura della morte, su cui si insiste continuamente, incombe su tutti i contagiati, a prescindere dal tasso di letalità.
Il primo rischio è di perdere la fiducia e una volta persa è difficilissimo riconquistarla. E sappiamo che la fiducia è l’anello di acciaio che consolida tutte le relazioni importanti, le migliori amicizie, i migliori amori o i migliori legami familiari sempre sulla base dell’integrità e della coerenza. Poche dimensioni psicologiche sono così vitali, così fruttifere e allo stesso tempo così complesse come fidarci di un’altra persona, come depositare parte di noi stessi in un’altra persona.
Se così non fosse, se percepissimo la nostra realtà attraverso una costante diffidenza, incertezza e paura, cadremmo in una specie di nevrosi spaventosa, in una serie di disturbi psicologici a causa dei quali non sarebbe possibile svolgere nessuna attività e, meno ancora, instaurare relazioni sane con altre persone. Sarebbe la fine della nostra esistenza.
Devi fidarti e credere nella gente, altrimenti la vita diventa impossibile.
Anton Čechov
Sappiamo che ogni decesso assume un peso enorme e aumenta paura e smarrimento. Ci si avvita così in una danza macabra dell’informazione. Allora la paura è il chiavistello per aprire la nostra anima alla verità su noi stessi. Facciamo i conti con il nostro essere, siamo muratori e ingegneri della nostra cattedrale, quell’intimo tempio in cui smascheriamo ogni inutile virtù e decoriamo di bello ogni utile difetto.
Bisogna sfuggire ai dogmi, costruire e continuare a costruire rinnovandosi nel dolore e nella solitudine come un iniziato. Potremmo dire che esiste una dimensione esoterica della nostra vita che si propone come scopo la piena estrinsecazione delle potenzialità psichiche e spirituali dell’uomo.
Nella conoscenza esoterica, quando ci si addentra nei meandri della metafisica, non è più sufficiente la speculazione razionale ed è necessario ricorrere a quella facoltà soprarazionale identificabile in una specie di intuizione intellettuale, cioè quella Luce raggiungibile attraverso la costante meditazione di simboli e rituali, di studio e di meditazione.
La Luce interiore che contrasta il senso di insoddisfazione e nasce dalla volontà di ricercare una dimensione superiore dell’esistenza con un processo introspettivo esoterico. Il cammino dello spirito non può dirsi concluso finché queste conoscenze non vengono piantate nella vita cosiddetta profana con l’intenzione di migliorare il comportamento etico dell’uomo, cioè fin quando si possano creare quelle abilità mentali che predispongono alla tolleranza, alla libertà, all’uguaglianza e alla fratellanza. Che mai come in questo momento urgono.
Del resto, anche nel mito platonico della caverna lo schiavo che è riuscito a liberarsi, una volta preso coscienza dell’esistenza dell’iperuranio, decide per solidarietà con i compagni di prigionia di ritornare nella caverna per comunicare e condividere la straordinaria scoperta. È un passaggio che segna profondamente il pensiero dell’uomo, blinda l’oro della libertà e della solidarietà. Riconoscendo la conseguenziale riconoscenza.
In questo momento drammatico, non solo l’uomo qualunque ma proprio la scienza moderna ha ormai dimostrato che le forze presenti nel nostro Universo Spazio – Temporale sono protese, tutte, a far sì che ogni cosa vivente si evolva verso questo ignoto ma incontestabile scopo supremo.
Morte e Vita – lo spegnersi della vita profana con il respiro nuovo della vita iniziatica – ovvero in un esaltante succedersi costituiscono quindi una realtà alla quale nella nostra visione limitata attribuiamo significati assai lontani dal senso vero che dovremmo loro affidare.
Anche nell’Universo è presente un finalismo che ha disposto dopo il Big Bang la ‘Sfera di Fuoco’ primordiale a rigenerarsi e mutarsi, quindici miliardi di anni fa, in materia – energia che sembra avere un supremo e misterioso scopo, al quale si tenta di avvicinare attraverso con un continuo e travolgente lavoro di perfezionamento che non contrasta con la paura.
Quest’ultima è parte integrante di questo lavoro di perfezionamento, non è una deriva ma un fattore imponente perché specchio del nostro Io.
Sono l’ombra che riaffiora. L’Ombra è l’ignoto, l’altro, il diverso, il nemico, l’osceno, il grottesco, ciò che non vorremmo essere e che non viviamo consapevolmente e che incominciamo a vedere e a capire solo quando iniziamo a ignorare un po’ l’immagine ideale di noi stessi.
L’Ombra come parte della personalità costituisce l’insieme di quelle tendenze, caratteristiche, desideri, atteggiamenti che non sono accettati da parte dell’Io e di funzioni non sviluppate o scarsamente differenziate che rimangono perlopiù inconsce.
Come C. G. Jung afferma:
La figura dell’Ombra personifica tutto ciò che il soggetto non riconosce e che pur tuttavia, in maniera diretta o indiretta, instancabilmente lo perseguita: per esempio tratti del carattere poco apprezzabili o altre tendenze incompatibili.
Coscienza, inconscio e individuazione, 1939.
Dall’iscrizione presente ne ‘Il Disinganno’ opera dello scultore cultore Francesco Queirolo nella Cappella Filosofica del Principe di Sansevero a Napoli si legge:
Vincula tua
disrumpam
vincula
tenebrarum
et longae noctis
quibus es compeditus
ut non cum
hoc mundo damnerisRomperò le tue catene
prigioni delle tenebre e della lunga notte
dalle quali sei impedito
affinché tu non sia condannato insieme con questo mondo.
Concludendo, se pensiamo che la paura di questi giorni è lo specchio del male che abbiamo manifestato, non voluto, ma nemmeno allontanato, che è l’ombra che si allunga sul sole, le tenebre che risucchiano la luce, allora stiamo contagiando non solo la razionalità, il nostro intelletto ma stiamo facendo sprofondare nel buio più assoluto la nostra Verità di Uomo.
Siamo i primi ad essere stati contagiati da un morbo più grande: l’orrore e il silenzio del Male, il terrore dell’Altro, la paura che non vi sia Domani.
Dobbiamo tutti lavorare in catena, che sia una unione di spirito, di fratellanza atta a scorgere la nuova alba. Ci sarà la rinascita, come un profano che vede la Luce, come un iniziato che entra nel Tempio per un nuovo battesimo dell’anima.
Abbiamo tutti il dovere di amare il prossimo, sostenendo la ragione e le leggi giuste, adattandoci a questo nuovo scenario. Rispettando la paura di oggi, alimentando la Luce di sempre.
Autore Massimo Frenda
Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.