Fabio Finotti e la ricerca di un approdo
‘Italia – L’Invenzione della Patria’ è un libro edito dalla Bompiani nel 2016. L’autore è il Professore Fabio Finotti, titolare della cattedra DiVito di Italian Studies presso la Pennsylvania University di Philadelphia, per la quale è direttore del Center for Italian Studies ed è, inoltre, docente di letteratura italiana per le Università di Trieste e di Pola.
Credo che il libro del Professore, nel quale sono incappata per lo studio dell’esame di letteratura italiana, nasca principalmente da un’esigenza, la sua, e incarni contemporaneamente le istanze che moltissime altre persone sentono in questo particolare momento storico, civile, politico e culturale; l’esigenza, cioè, di chiedersi e di capire cosa sia la Patria, da dove arrivi questo termine con il suo carico di significato, cosa rappresenti per ognuno di noi, quali immaginari le associamo ed infine, come rielaboriamo e riattualizziamo il nostro concetto di Patria.
A pensarci bene, l’argomento così intensamente e scrupolosamente trattato dall’autore, apre finestre su una molteplicità di questioni che innervano di senso la disciplina stessa. In fondo, che senso ha studiare la Letteratura italiana se non abbiamo coscienza di che tipo di cultura voglia identificare sociologicamente, da dove arrivi storicamente e da cosa sia stata determinata politicamente? Cosa descriviamo sotto la nomenclatura di “Letteratura italiana”? Cosa vuol definire ‘aggettivo ‘italiana’?
Purtroppo, per ragioni di tempo e spazio, non riuscirò a sviluppare un articolo sull’intero libro in questione, peccherei di ingenuità e, soprattutto, rischierei di essere frettolosa e assolutamente inadeguata.
In 554 pagine, l’autore attraversa circa duemila anni di storia in cui ci narra della nascita, dello sviluppo e delle evoluzioni del concetto di Patria in maniera assolutamente armonica e antiretorica. È lo sguardo di chi per primo intende compiere un’indagine interrogandosi sui molteplici aspetti d’interesse per chi scrive in epoca contemporanea. Ho scelto l’inizio, l’epopea, l’epica, il mito, perché come sempre, attraverso la loro universalità, in ogni tempo, possiamo ritrovare e rileggere tracce di noi stessi e del mondo in cui viviamo.
Fabio Finotti inizia il suo viaggio, che diventa il nostro, partendo dall’etimologia della parola. La Patria è letteralmente la terra dei padri, è dunque un filo invisibile tra le generazioni che si succedono, è il moto perpetuo tra l’angoscia dell’allontanamento e la gioia del ritorno; come la risacca al mare: eterna, costante.
La Patria è il luogo fisico in cui muoviamo i primi passi, per poi allontanarci perdendola.
Ed è perdendola che da luogo fisico diventa luogo dell’anima. Nel momento del distacco, la Patria può essere un richiamo più o meno tollerabile, per cui i figli cercano di tornarvi esprimendo prima un moto da luogo che si trasforma, successivamente, in un moto a luogo, disegnando in questo modo una traiettoria circolare.
Come tanti Ulisse, pensiamo alla nostra terra come a una riconquista; e non importa gli anni che ci vorranno e gli ostacoli che dovremo affrontare. Il sogno della Patria ritrovata infervora gli spiriti senza vacillare.
Ma perché il gusto del nuovo, della scoperta non sovrastano l’immagine che abbiamo della Patria? Per quale motivo sembra esserci sempre un cordone tra noi e i natali? Perché la Patria siamo noi. I nostri ricordi, il nostro passato, la nostra formazione e la nostra identità sono indissolubilmente legati al luogo d’origine. È in patria che ci sentiamo finalmente liberi di essere noi stessi, senza maschere, senza formalismi, riconoscibili e decostruiti. E così, una volta riconosciuti, ritroviamo la realtà quotidiana, uno spazio – tempo che si è fermato alla nostra partenza. Sentirsi a casa è ritrovare l’ordinario.
Ma la Patria non è identificativa soltanto di noi stessi, bensì anche della collettività a cui apparteniamo. In quanto terra dei padri, la patria esprime paternità, appunto, per tutti i suoi figli. Nell’antichità il vincolo di sangue trascendeva il nucleo familiare e ricadeva sull’intera unità etnica. Itaca è la patria di Ulisse, per l’intera cultura greca la patria è la polis, ma già per i greci esisteva, per così dire, una grecità espressa, oltre che dalla comunanza di sangue, dalla comunanza linguistica. I barbari, per i greci, erano coloro che non parlavano in greco. Perché la patria diventi una casa più grande e accogliente della polis, bisognerà aspettare Virgilio, l’Eneide e il suo eroe. L’Italia, così, attraverso la nascita dell’Impero Romano, diventerà terra d’elezione di una rinnovata idea di patria.
Al legame di sangue, a quello etnico, politico e linguistico si aggiunge quello religioso che conferisce alla patria un valore sacro apportato dai padri che diventano divinità conservatrici della tradizione. I Lari, i Penati, i Mani, erano appunto gli antenati che consentivano la trasmigrazione dei valori patri di generazione in generazione, ma anche di luogo in luogo.
Enea, a differenza di Ulisse, non può tornare alla sua terra natia perché devastata dalla guerra di Troia. Il movimento che compie Enea può essere solo di moto da luogo, non più traiettoria circolare, il disegno tracciato dal destino può essere soltanto lineare. L’eroe è costretto a scappare dalla sua città per una meta assolutamente sconosciuta, ma non dimentica di portare con sé e sulle sue spalle tutto il peso delle tradizioni e il legame che esse significano, il vecchio padre Anchise appunto.
Così, portando la patria con sé, l’eroe latino potrà rifondarla altrove e garantirle un futuro; ecco che è stabilito un rapporto temporale pregnante: senza l’osservanza e il rispetto delle tradizioni patrie, non sarà possibile il futuro solido in un presente incerto.
La nuova patria rifletterà quella lasciata, mediando tra passato e futuro attraverso un’immagine interiorizzata che assolverà la funzione di mitigatrice delle ansie da ignoto.
È quello che a tutt’oggi succede, esistono e continuano a nascere nuove città sulle impronte di quelle vecchie: New York, Nea-polis/ Napoli, New Orleans e tante Venezia fuori dall’Italia. Troia nuova per Enea sarà l’Italia, lì potrà fondersi con i latini sposando Lavinia e, finalmente, dare i natali a Roma.
Sappiamo bene che Virgilio visse tra 70 e il 19 a.C. e in quegli anni la nostra penisola non costituiva per l’Impero soltanto un’entità geografica, ma racchiudeva tutte quelle popolazioni che usufruivano del diritto alla cittadinanza romana, ed era proprio quest’ultimo a fare da garante dell’unità: il senso di appartenenza alla romanità.
L’Italia, altro non era che il territorio ospitante le genti che crearono l’Impero.
Virgilio sa bene tutto ciò, e non fa altro che parlare a quel popolo, che così variegato al suo interno, costituisce il risultato di un profondo processo di unità etnico – culturale. Questo meccanismo non ha fatto altro che accrescere e potenziare la romanizzazione del territorio, relegando all’Italia come entità fisica, un ruolo assolutamente marginale. Questo era il senso di patria della romanità e per la romanità.
Per conferire maggiore legittimità al mito delle origini di Roma, Virgilio crea sapientemente un collegamento inverso, in modo da poter riproporre il percorso di Enea in maniera circolare. Il fondatore della stirpe troiana, in realtà, e cioè Dardano, viene fatto discendere dall’Italia; in questo modo Enea non compie, come Ulisse, che un ritorno alla madre patria. A conti fatti, sono i romani con l’Italia i veri progenitori di Troia e dei troiani, non viceversa.
È evidente, quindi, che la storia della patria è intrisa di mito, di memorie che riecheggiano riattualizzate al momento. Per questo è lecito parlare di invenzione della patria.
Le leggende di fondazione della patria ne mitizzano e, contemporaneamente, ne rivitalizzano la funzione a seconda dei casi; non è mai l’uomo a decidere, bensì una divinità o il destino che come forze motrici esterne imprimono la loro volontà.
Autore Marilena Scuotto
Marilena Scuotto nasce a Torre del Greco in provincia di Napoli il 30 luglio del 1985. Giornalista pubblicista, archeologa e scrittrice, vive dal 2004 al 2014 sui cantieri archeologici di diversi paesi: Yemen, Oman, Isole Cicladi e Italia. Nel 2009, durante gli studi universitari pisani, entra a far parte della redazione della rivista letteraria Aeolo, scrivendo contemporaneamente per giornali, uffici stampa e testate on-line. L’attivismo politico ha rappresentato per l’autore una imprescindibile costante, che lo porterà alla frattura con il mondo accademico a sei mesi dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca. Da novembre 2015 a marzo 2016 ha lavorato presso l’agenzia di stampa Omninapoli e attualmente scrive e collabora per il quotidiano nazionale online ExPartibus.