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La Pasqua e l’eterno ritorno

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Casatiello


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Storia di ciclicità smarrite

Invecchiando il senso della percezione del tempo cambia, modificando sostanzialmente la prospettiva di tutto quello che si vive. In fondo, tutta la nostra esperienza è ordinata a partire dalle categorie di spazio e tempo.
Questo un po’ perché siamo noi a cambiare, un po’ perché è la cultura in cui siamo immersi che modifica il modo di intendere lo scorrere del tempo.

Dal punto di vista dell’individuo molto gioca l’età, il rapporto tra passato e futuro, tra quanto si sia già vissuto e quanto si sia calati nel presente.

Quando siamo bambini tutto quello che ci accade è nuovo, è contornato dall’alone di magia proprio della scoperta; si vive l’attimo molto più di quanto si possa fare con l’avanzare degli anni; il passato alle spalle è apparentemente poco, il futuro soltanto qualcosa di indistinto, di cui ci si pone ben poco il problema.

Con la maturità questo apparente stato di grazia è influenzato da diversi fattori.
Da un lato, la ripetizione che rende routine tutto, nel bene e nel male. Ci fa vivere in modo sempre più emotivamente neutro ricorrenze come un compleanno o la stessa Pasqua; d’altro canto ci rende meno ansiogene altre situazioni che inizialmente ci creavano apprensione, come parlare in pubblico o affrontare una competizione.

L’immagine di quei fiori candidi e profumati mi fa tornare alla mia infanzia.
Un’infanzia colorata dalla nostalgia, illuminata da mattini splendenti di sole, di cui mi mancano troppe cose.
Tutto allora aveva un sapore più intenso, più profondo. Il piacere di una gita, lo spirito di una festa, tutto vissuto con infinito coinvolgimento, mi sembrava più bello.
Quante cose che mi erano sembrate illuminate da un alone di magia, più tardi, con la disillusione della maturità, mi hanno deluso perché viste sotto una luce diversa.
A renderle ancora un poco speciali erano le emozioni che adesso inutilmente cerco di riafferrare.
Persone che popolavano quei giorni non sono più con me.
Pietro Riccio – Eternità diverse

D’altro canto, in tenera età i ricordi non prendono ancora il sopravvento, si vive l’hic et nunc, l’attimo presente.

Sin nada que olvidar porque ayer aprendí a volar.
Senza nulla da dimenticare, perché ho imparato ieri a volare.
Joan Manuel Serrat – Mi Niñez

La Pasqua presente, invece, non può prescindere da quelle già vissute, troppe e troppo intense per essere dimenticate. Il ricordo finisce con avere il sopravvento. In fondo siamo anche il risultato nel nostro vissuto, siamo la nostra memoria. E non è qualcosa di negativo. Ogni stagione, ogni età ha le sue prerogative, finiamo troppo spesso per dimenticarlo.

Questa Pasqua mi riporta alla mente quelle dell’infanzia, inevitabilmente. Quei giovedì santi durante i quali si aspettava la mezzanotte per poter mangiare la prima fetta di “casatiello”; bisognava attendere che si sciogliesse la gloria, come si diceva tanti anni fa.

E mi riporta in mente quelle persone che non sono più con me, di cui l’assoluta consapevolezza che siano solo passate ad un altro piano di esistenza e la possibilità di sentirne ancora la “presenza”, non attenuano il peso e l’evidenza di un’assenza.

I dolci e le pietanze che allora erano simboli ingenui di qualcosa di ben più alto, ma di cui si conservava la ritualità in attesa di poterne, magari, un giorno comprendere il significato.

Questo ci riconduce all’altro aspetto, quello culturale, che va oltre quello personale.
Le generazioni precedenti alla nostra avevano, in qualche modo, un senso più forte della ciclicità del tempo.

Il giorno e la notte. Il susseguirsi delle stagioni. La vita e la morte. La morte e la Rinascita.

E le pietanze, e i dolci, e le ritualità che scandivano le diverse fasi erano antiche e profonde. Ad esempio, i dolci pasquali del mio passato erano la pastiera, i taralli. Ed erano dolci che si preparavano e mangiavano solo di Pasqua. Non perché non ci fossero gli ingredienti o la possibilità di preparali e consumarli in altri periodi, in altre occasioni. Ma perché aveva senso che fossero preparati e consumati in quel periodo, non in altri.

Il presunto tempo reale dei nostri giorni, invece, annulla in qualche modo il tempo. Nel senso peggiore che si possa intendere. Lo annulla come consapevolezza. Festività come il Natale, la Pasqua, sono azzerate nel loro significato simbolico, rituale. Almeno di quello più profondo. La ritualità popolare viene soppiantata dal consumismo.

La pastiera, con la sua “carne di grano” ormai viene servita nei ristoranti tutto l’anno, e fa bella mostra di sé nelle vetrine delle pasticcerie anche quando la sua valenza esoterica è svilita.

E ricordo. Ricordo il Natale con i suoi Roccocò, duri, come l’inverno che doveva ancora venire, scuri, ovvero poco luminosi, come lo stanco sole di dicembre.

E mi sovviene la contrapposizione proprio con i taralli di Pasqua, i taralli dolci, più morbidi, spennellati di tuorlo d’uovo, perché fossero luminosi come la rinascita del sole, della primaverile natura, oggi riproposti in versioni volgarizzate e vuote dalle industrie delle colazioni.

Roccocò e Taralli, due cerchi con un punto – buco in mezzo.

I nostri sono tempi di spiritualità mordi e fuggi; che dimenticano anche le consapevolezze popolari nell’annullare non già il tempo, ma la sua comprensione.

E delle cose che non si comprendono, di cui non si ha consapevolezza, si è sostanzialmente schiavi.

Mi ritrovo, ci ritroviamo, paradossalmente, a vivere il furto della potenza dei rituali della mia, nostra infanzia, adesso che avremmo la possibilità di goderne una consapevolezza più piena e meno ingenua.

La strada che ci resta è quella di ricercare il tempo come individui, visto che la cultura ci ha privati di questa possibilità.

Piuttosto che scadere nell’assoluta assenza di emotività dovuta alla routine, meglio conservare il gusto della scoperta intesa come ricerca.

O anche, non cedere all’abitudine, non dare per scontate le cose. Ogni Pasqua è unica in qualche modo, anche se ne abbiamo vissuto altre decine. La ritualità e la simbologia che ci porta sono antichissime ed immutabili, impariamo a riviverle dentro di noi.

Mi viene in mente quella che poi è divenuta moda come la meditazione del mandarino.

Bambini, dopo avere sbucciato un mandarino, potete mangiarlo con consapevolezza o distrattamente. Cosa significa mangiare un mandarino con consapevolezza? Mangiando un mandarino, sapete che lo state mangiando. Ne gustate pienamente la fragranza e la dolcezza. Sbucciando il mandarino, sapete che lo state sbucciando; staccandone uno spicchio e portandolo alla bocca, sapete che lo state staccando e portando alla bocca; gustando la fragranza e la dolcezza del mandarino, sapete che ne state gustando la fragranza e la dolcezza. Il mandarino che Nandabala mi ha offerto aveva nove spicchi. Li ho messi in bocca uno per uno in consapevolezza e ho sentito quanto sono splendidi e preziosi. Non ho dimenticato il mandarino, e così il mandarino è diventato qualcosa di molto reale. Se il mandarino è reale, anche chi lo mangia è reale. Ecco cosa significa mangiare un mandarino con consapevolezza.

Bambini, cosa significa mangiare un mandarino senza consapevolezza? Mangiando un mandarino, non sapete che lo state mangiando. Non ne gustate la fragranza e la dolcezza. Sbucciando il mandarino, non sapete che lo state sbucciando; staccandone uno spicchio e portandolo alla bocca, non sapete che lo state staccando e portando alla bocca; gustando la fragranza e la dolcezza del mandarino, non sapete che ne state gustando la fragranza e la dolcezza. Così facendo, non potete apprezzarne la natura splendida e preziosa. Se non siete consapevoli di mangiarlo, il mandarino non è reale. Se il mandarino non è reale, neppure chi lo mangia è reale. Ecco cosa significa mangiare un mandarino senza consapevolezza.

Bambini, mangiare il mandarino con presenza mentale significa essere davvero in contatto con ciò che mangiate. La vostra mente non rincorre i pensieri riguardo allo ieri o al domani, ma dimora totalmente nel momento presente. Il mandarino è totalmente presente. Vivere con presenza mentale e consapevolezza vuol dire vivere nel momento presente, con il corpo e la mente che dimorano nel qui e ora.
Thich Nhat Hanh – Vita di Siddharta il Buddha

Possiamo scegliere. Di mangiare il mandarino senza farlo. Di vivere la Pasqua ma soprattutto il tempo senza viverli davvero.

Possiamo scegliere di esistere, di essere reali, o di non esistere di non essere reali.

Buona Pasqua, di rinascita e consapevolezza.

Autore Pietro Riccio

Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.