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La morte del cinema è un fatto compiuto

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Questi sono indizi di un omicidio, forse di un suicidio, forse di una sorta di omicidio colposo, ma il morto c’è ed è il cinema italiano.
Male pensa e male fa, in cattiva fede, chi in qualche modo, cambiando velocemente le carte in tavola, la circostanza ed il riferimento come il migliore degli Azzeccagarbugli sa fare, scambia e ci confonde con crisi del cinema e crisi dei cinema italiani. Quando enumera i biglietti, con quei più o meno punti percentuale, senza dire, se non in parti recondite, che ad incassare sono i film delle major statunitensi.

Il cinema italiano, commedia o meno, d’autore o meno, è un cadavere. Poi, come uno zombie, si alza e cammina mangiando altri zombie, spolpando se stesso. In che senso?

Un film non dipende più dai ricavi; sia chiaro, gli incassi medi di una pellicola italiana non riescono quasi mai a coprirne i costi, anzi, ci sono delle vere e proprie debacle che farebbero arrendere anche il più scaltro degli investitori, per cui bisogna considerare che un film, quando esce, è già pagato all’origine. Grazie a leggi che concedono contributi ed agevolazioni fiscali, tutto giusto per carità, i costi sono coperti in anticipo.

Non parliamo poi della pioggia di denaro che gli enti possono investire nel cinema dando vita a tutta quella pletora di filmetti ambientati in luoghi ameni con il sostegno delle varie film commission, che finiscono spesso nelle bufere giudiziarie per gestioni discutibili. Basta fare una semplice ricerca su Google, digitare “scandalo film commission” per capire.

Altri indizi vengono spesso dai costi, dal riciclaggio di denaro, dalle fatturazioni false: anche stavolta è sufficiente una veloce ricerca online per accorgersi di quanti e quali siano i film, le serie TV che sono state attenzionate in questo senso. Con questo sistema, con un film pagato all’origine, il presunto e spesso assente incasso diventa solo un surplus.

E il cinema italiano muore. Muore perché fare un film diventa un mestiere, una fonte di sostentamento, non una vocazione, non una proposta. Fare un film diventa creare un prodotto che anche se nessuno comprerà ci ha fatto in qualche maniera fare soldi.

A poco servono Oscar, Palme e Leoni, i nostri più celebrati registi sono visti pochissimo al cinema. Gli introiti di film ottimi e premiati sono appena sufficienti a coprirne i costi e, in quanto ad importanza ed influsso culturale sull’arte e il linguaggio, poco aggiungono o quasi nulla perché, in realtà, il cinema d’autore o meno che sia, nell’immaginario collettivo non rappresenta più la sedimentazione o la riflessione della propria realtà.

Il cinema italiano, nel migliore dei casi, è vecchio, racconta vicende passate, superate e dimenticate. Nel migliore dei casi è la continuazione di una puntata di un programma comico qualunque: stessi attori, stesse battute, stessi tempi.

I nostri registi di riferimento vanno per la loro strada, hanno creato la loro linea di produzione e, giustamente, seguono il loro volano. I festival poi, sono diventate ridicole feste di cafoni di paese in cui il cinema non interessa a nessuno, perché è autoreferenziale e rivolto al selfie; la ricerca del cinema è totalmente morta.

Negli ultimi anni dei film che ai più importanti festival europei hanno ottenuto dei riconoscimenti non hanno avuto alcun genere di riscontro in sala.

Per il cinema indipendente internet sembrava una buona via di uscita, ma, alla fine, tolto chi è dotato di buonissima volontà, non porta nuovi spettatori e nessuno è disposto a spendere nemmeno 99 centesimi per guardare una cosa nuova, ma è comprensibile.
L’uso quasi esclusivo degli smartphone come schermo esclude, ormai, la maggior parte degli utenti che prima, dovendo usare solo un pc dotato di uno schermo decente, magari un film lo avrebbero anche visto.

Inoltre, lo storytelling è cambiato: il racconto seriale, che, di fatto, è l’origine del cinema, è tornato prepotentemente. Piattaforme come Netflix hanno ricreato sul nostro televisore la condizione originale della sala cinematografica che proiettava dieci cortometraggi al giorno, brevi e da rivedere il giorno dopo.

Il cinema italiano è morto? Perché solo il cinema italiano? Questo discorso non potrebbe riguardare tutto il cinema mondiale? Potrebbe succedere, ma i numeri sono quelli che sono.

Il cinema industriale USA, quello dei cinecomic costa, ma rende, in quel caso gli incassi portano davvero utili. Si tratta di grandi spettacoli che hanno grande pubblico e, su queste cifre enormi, il cinema indipendente ha più aria, più spazio e può sviluppare tante idee. Tutti si stanno arrendendo all’evidenza.

Il cinema, nella sua accezione festivaliera, è diventato un luogo di vacanza, il cinema d’autore è relegato a pochi spettatori mentre, il cinema indipendente è un piccolo pesce, magari bellissimo, perduto in un lago che nessuno troverà mai.

Per contro, dove si voleva andare prendendo in considerazione che ogni utente, ogni spettatore ormai è autore di se stesso ed ha un pubblico che lo guarda, sui social, se tutta questa massa di persone ha smesso di farsi raccontare storie per raccontarle, perfino belle o addirittura banali, ma quando non si cercano più i registi perché i registi siamo noi e quando non si ammirano più gli attori perché gli attori siamo diventati noi, quando la stessa industria cinematografica ragiona in questo senso, bisogna solo prenderne atto.

Le cose cambiano, il cinema italiano è morto o si nutre di se stesso, ha il suo cimitero nelle piccole sale di quartiere chiuse o in un mille sale del centro commerciale.
Chi ha quarant’anni si sente già superato, per chi ne ha venti il cinema non è mai davvero esistito, per chi ci campa, è un cadavere da spolpare fino all’osso.

Autore Nicola Guarino

Nato a Napoli nel 1972, è diplomato all'Accademia napoletana d'arte drammatica e ha una qualifica di "Esperto in regia cinematografica e televisiva" rilasciata dalla Regione Campania. Si occupa di regia televisiva e cinematografica. Noto per il suo interesse per l'ufologia, è Socio Onorario del Centro Ufologico Nazionale, ne è stato consigliere, ricercatore e articolista.