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La meditazione e lo spirito

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La meditazione e lo spirito


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Proseguendo l’argomento meditativo, dopo il digiuno e il silenzio, ci incanaliamo ancora più profondamente, cercando di comprendere quale sia il movimento che sta a fondamento della pratica, o meglio, quale non dovrebbe essere il movimento o l’agitazione, ma l’interruzione dei processi spontanei della mente.

Chi non è allenato inizierà a fissare la propria attenzione su qualcosa, un’immagine o un pensiero e, senza accorgersene, la mente comincerà automaticamente a divagare, prendere direzioni e associazioni a catena, perché, come un bimbo indisciplinato, non è in grado di stare ferma.

Ricordo una frase che non riesco ad attribuire:

Osserva ogni pensiero, contemplalo e domanda a te stesso se è utile o meno alla tua evoluzione, noterai che la maggior parte dei pensieri è totalmente inutile per il tuo progresso. E a quel punto scegli di sacrificarli tutti senza pietà.

Ma perché dovremmo fermare volontariamente questo movimento?

Una risposta la forniscono gli antichi Sutra di Patanjali, laddove per far ben intendere, si paragona l’interiorità all’acqua di un oceano e si spiega che, quando la superficie non è increspata dai venti, si ha uno stato di quiete e di silenzio interiore e di conseguente limpidezza, così i raggi della coscienza possono attraversarla, illuminando in profondità e identificando il fondale dell’Io.

Quando i venti, invece, formano le onde che collidono tra loro, offuscano la trasparenza e alterano la luce, riflettendola e spezzandola in tante direzioni diverse ed incontrollabili, creando solo frammenti di immagini imperfette e distorsioni effimere.

Ogni volta che si tenta l’esercizio, anche se richiede molta energia psichica, vi è una trasformazione e si impara a governare i venti e a poter arrivare sempre più al fondo per afferrare, tra l’altro, nella mia personale esperienza, l’idea che la natura della coscienza sia un fenomeno quantistico irriproducibile.

Gli effetti sono provati, tra i tanti: più consapevolezza di sé, maggior creatività, concentrazione e benessere fisico e mentale.

Abbiamo accennato nel precedente articolo alla necessità di distaccamento dai desideri mondani come mezzo necessario al rallentamento dei ritmi per avvicinarsi allo spirito e trovarne gran giovamento?

Beh, allora è ora di avvicinarci allo spirito.

Quello ‘Da meditazione’ però – e trovarne altro tipo di giovamento – che è un neologismo coniato cinquant’anni fa da Luigi Veronelli per indicare vini passiti dolci, ampi e complessi, ma anche vini rossi importanti di lungo affinamento e lo aveva concepito così:

di pressoché impossibile accoppiamento, così completo e concettoso da esigere di essere consumato per sé solo. Vino di ‘luce’ e vino di ‘calore’: a sé bastante, a sé abbinabile, al proprio pensiero confacente.

Nel corso degli anni, tale costrutto e concetto si è allargato ai distillati, che già avevano caratteristiche di beva inaccoppiabile o quasi, come grappa, whisky, rum e brandy. Ultimamente anche certi tipi di birra.

Comunque avvolgenti, che esaltano la percezione di aromi al naso e al palato di un certo spessore per regalare un’esperienza sensoriale senza pari.

Ho scritto: il vino è il canto della terra verso il cielo. La grappa è il tentativo immanente – e tuttavia fluttuante tra l’angelico e il diabolico – di trattenere quel canto.
Luigi Veronelli

Hanno precise e complesse caratteristiche da renderli abbastanza difficili da collocare in un pasto o associabili ad una pietanza. Hanno un’essenza, una varietà di profumi e sapori così intensi che innescano, automaticamente, un processo meditativo, che, a sua volta, come abbiamo visto, richiede un tempo lento, un luogo calmo, di relax e di concentrazione per poter scoprire, comprendere ed apprezzare il racconto che sussurrano.

E, in questo, il cibo non è normalmente un corretto alleato; nella maggior parte dei casi meglio non avere interferenze.

Anche la predisposizione personale del bevitore ha una fondamentale importanza, per abbattere le proprie barriere, scoprire il proprio io e andare oltre, togliendosi le maschere quotidiane per lasciarsi inebriare e condurlo verso un’esperienza così piacevole da rendere incancellabile il ricordo di quel sorso di tempo.

A tal proposito, la coniugazione di momento, luogo e sensazione mi ricollega a tre personali associazioni: la prima è il mio immancabile sigaro toscano; la seconda è stare davanti ad un bel fuoco acceso in una serata invernale in montagna e la terza è Massi, l’amico ultratrentennale, che ho già nominato nell’articolo di presentazione di questa Rubrica e con cui massimamente ho condiviso tali nobili sorsi.

Guarda caso, ora siede al mio fianco.

Per praticità, il dialogo che segue si distingue in lui ed io.

Lui: Quindi se sono di impossibile accoppiamento e perciò da bere sé soli… cosa abbiniamo?

Io: I nostri pensieri!

Lui: E un pezzetto di cioccolato?

Io: Sì, ma necessariamente fondente al 90%!

Lui: Che la serata non sia così amara: addolciamola con spirito.

Io: Scegliamo un vino dialettico o andiamo più su di gradazione? Ma dipende dall’argomento: più scendiamo in profondità spirituale e più serve spirito in termini di innalzamento di gradazione alcolica. Ma scegli tu.

Lui: Guardo cos’hai.

– Un Passito di Pantelleria, per parlare di una storia mitica, ma dolce, di un mito solitario e il potere della tradizione e di significato esoterico. L’evocazione della memoria, del DNA di un popolo, le appartenenze, le associazioni e alle essenze di fondo.

– O un Moscato di Scanzo, per affrontare un argomento di luoghi più vicini a dove siamo ora, dove la coltura altrove è proibita dal nome. Per addolcire una vita dalle linee aspre e dalle modalità rudi. Mondo di confine dalle varie sfumature di culture, che si incontrano e si scontrano al naso e al palato.

– Un Siepi di Fonterutoli, per disquisire di profumo dell’arte, della rotonda bellezza delle colline. Il saper affrontare la vita con la giusta dose di ironia toscana e sarcasmo sottile. E poi non è così inabbinabile, anzi… Nonostante i conflitti storici tra città rivali, questi vini son riusciti a unire e rendere unico il territorio.

– Oppure un whisky, per palleggiare pensieri di barriere da abbattere ed elevazioni animiche in un mondo ultraterreno, che apre le porte tramite un torbato impatto in bocca che arriva allo spirito, in una realtà sconfinata di dei e di mondi irraggiungibili all’uomo nella sua condizione ordinaria, ma davanti a un buon whisky tutto può accadere…

“Specchiarmi nei colori del whisky alleggerisce il mio peso d’uomo”.
Luigi Veronelli

Io: A proposito di whisky, quando andiamo in Scozia allora? L’occasione del tuo mezzo secolo è andata, e ormai pure il mio… Mica aspetteremo di compiere il mezzo secolo d’amicizia?

Lui: Whisky, dal gaelico: acqua di vita. Merito degli alchimisti con l’uso degli alambicchi e del Solvet & Coagula: separazione e concentrazione dell’alcol contenuto nei fermentati.

Io: Scozia o Irlanda?

Lui: Se la giocano da tanto tempo: gli irlandesi si appoggiano tradizionalmente a San Patrizio, gli scozzesi, però, hanno una pezza d’appoggio datata 1494.

Io: Ma San Patrizio è nato in Scozia!

Lui: Allora scozzese!

Io: Questo ha 59.2% di gradazione e 137.3 PPM: il più torbato del mondo!
Certo che a pensare cos’è la torba… Servono 1.000 anni al metro.

Lui: La torba non è tutta uguale: il terroir di un Single Malt fa la differenza.

Io: Lascia stare, ce l’ho io il terroir. Aspetta, in realtà ti ho fatto un regalo: dopo alcune ricerche su quale fosse il Vino da Meditazione, senza dubbi questo è stato decretato il e non un… hai visto la data della vendemmia? 1932!

Lui: Caspita ha fatto la guerra! Ha visto la dittatura e la Repubblica, il Re e i Presidenti, ha vissuto il boom economico e gli anni di piombo. Ha persino visto lo sbarco sulla Luna e l’esplorazione su Marte, la caduta del muro e la dimissione di un Papa.

Io: 1783! Dio come è vecchio! Il 1783 fu un anno indimenticabile: Mozart scrisse la sua messa, i fratelli Montgolfier fecero la loro prima ascensione aerostatica e l’Inghilterra riconobbe l’Indipendenza degli Stati Uniti. Highlander!

Mi sono prodigato per potere ottenere un sorso di tal bellezza. Ho faticato ad averne una bottiglia: ormai è quasi introvabile.

Come vedi, la pregiata bottiglia è conservata nella sua retina, nella cassettina di legno e nella sua scatola. Poi bisogna aprire il tappo messo in sicurezza da una capsula di cera lacca, che riporta una stella a 8 punte.

Lui: Prendi i bicchieri. Ah scusa, i calici da meditazione.

Io: Guarda che c’è scritto sopra: “Non è buono il cavaliero se non si prova sul campo della battaglia” – Santa Caterina da Siena

Questo vino si porta dietro una fiaba, una leggenda: 1932, l’ultima vendemmia, pensa che quel vigneto in provincia di Ragusa non esiste più. Per avversità familiari la tenuta è stata dapprima abbandonata e poi svenduta in lotti.

E pensa a come veniva il fatto il vino una volta, poche gemme fruttifere lasciate sul vitigno ad alberello.

Nel trappeto si effettuava la pigiatura. Probabilmente un piano inclinato in cotto delimitato da un bordo, dove uomini con scarpe chiodate pigiavano l’uva; il mosto che sgrondava insieme alle bucce finiva in una cisterna interrata, sempre in muratura, dove avveniva la fermentazione. Terminata questa, il vino comune era venduto, mentre quello di qualità era invecchiato in botti di rovere.

Già così il vino in sé ha ottima longevità, ma per dare al vino ulteriore lunghissima vita si aggiungeva il mosto cotto nella misura dell’1/2%.

Nessun altro trattamento enologico. 53 anni di meditazione ininterrotta, indisturbato, al buio, nascosto, in silenzio, in una cantina semi interrata e semi diroccata, con gli sbalzi del caldo siciliano che ne hanno consentito la concentrazione di alcune sostanze per lenta ossidazione. Ai tempi per una vecchiaia così lunga non interessava a nessuno e non era nemmeno vendibile, diventando un vero e proprio problema.

Tramite un colpo di fortuna, viene assaggiato da alcuni e poi finisce in bocca a Veronelli che, davanti a questo miracolo enologico, si emoziona e ne conia il nome, ne scrive un articolo entusiastico definendolo “mostruoso” e senza pari a livello planetario. Ma non c’era verso di farlo commercializzare dagli imprenditori locali. Solo un consorzio di cantine siciliane ne comprende il valore e con un’organizzazione molto complessa, erano 165 ettolitri in 9 botti impolverate, ne salva solo 3.

Il più prezioso vino d’Italia, dopo peripezie burocratiche, finisce imbottigliato in 15.000 esemplari, ormai rare. La cassettina di legno che contiene la bottiglia è fatta dalle doghe di quelle botti.

Lui: E ora, dopo tanti anni di buio, ritrovato, solleviamolo dalla sua cassa di legno e accogliamolo. Una vita compiuta, il suo viaggio esoterico d’affinamento è giunto. Porta seco amore, verità e virtù.

“Colore tonaca di monaco, sfatto e tuttavia caldo e brillante; bouquet ampio, serio e fitto in cui si sottolinea il sentore di sommacco; sapore secco, sicuro e autoritario, certo vecchio, altrettanto nobile e affascinante; nerbo deciso in stoffa di eccezionale rigore ed estrema persistenza; pieno carattere e razza”.
Luigi Veronelli

Io: Color tonaca di monaco, appunto, e un profumo ambrato, penetrante, con una varietà molto larga di sentori mediterranei. Gusto avvolgente, costante, morbido e vellutato. Ammaliatore del palato e di magnifica potenza.

Lui: Mai assaggiato niente di così antico. Scioccante. L’intensità del tempo, la sensazione d’eternità…

Chiunque abbia la possibilità di provare questo miracolo – ma è un vino? – trascorrerebbe un’ora indimenticabile, da Re. Aveva ragione Veronelli!

Io: Degustazione mistica, emozioni complesse e difficili da esprimere, chiuse e sigillate per 92 anni. Incredibile!

Poi, in silenzio, sedotti e commossi, assorti ognuno nei propri pensieri, nelle proprie sensazioni, ci si guarda negli occhi, increduli e stupiti, e ci si intende senza ulteriori parole.

Un magico vino, un alchemico elisir incantatore, che restituisce la calda luce dell’universo catturata e concentrata nell’attesa, e che rillumina ora noi poveri mortali, suscitando l’immensità della sua ricchezza interiore.

Anche questa è meditazione! Spirituale!

Il percorso dove ci porterà?

Stay tuned! Restate sintonizzati e direi anche sincronizzati!

Autore Investigatore Culinario

Investigatore Culinario. Ingegnere dedito da trent'anni alle investigazioni private e all’intelligence, da sempre amante della lettura, che si diletta talvolta a scrivere. Attratto dall'esoterismo e dai significati nascosti, ha una spiccata passione anche per la cucina e, nel corso di molti anni, ha fatto una profonda ricerca per rintracciare qualità nelle materie prime e nei prodotti, andando a scoprire anche persone e luoghi laddove potesse essere riscontrata quella genuina passione e poter degustare bontà e ingegni culinari.