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La Massoneria, Dio ed il Grande Architetto Dell’Universo

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Grande Architetto Dell'Universo


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L’Essere, o Dio, o il Grande Architetto Dell’Universo, o l’Assoluto, o il Reale o il Grande Nulla (poco importa la parola se ci si ricorda che la parola si distingue da quello che è designato dalla parola), non ha alcun bisogno.

La via è una rivelazione dell’Essere. Non consiste nel ricevere ma nel togliere. Togliere gli strati successivi dei sedimenti della persona. Mettere l’Essere, l’Immutabile, Ciò che rimane, a nudo.
Rémi Boyer – Massoneria come Via di Risveglio 

Dio è un grande foglio bianco dove mi perdo. Un enigma, una scommessa. Un punto. E un punto oltre il punto. E né punto, né virgola. Un linguaggio oltre la sintassi. Solo nulla. Dio è la grande proiezione. Dio è il Grande Architetto dell’Universo e insieme non lo è. Forse Dio è il Demiurgo da abbattere, la Forza superba che ha sognato di essere il vero dio.

Potrei cavarmela con una battuta di Woody Allen e chiudere qui:

Non solo Dio non esiste ma provate a cercare un idraulico il sabato sera.

Dio è mistero buffo, Dio è la mia ansia, il mio ricorrente horror vacui. Dio è il vecchio con la barba della mia infanzia, Dio è il mio papà forte, onesto e immenso che mi trafiggeva vantandosi delle sue conquiste e mi svergognava e mi spaventava in pubblico.

Ma dio, maiuscolo o minuscolo che sia, è anche bellezza. Che senza forza e saggezza porta solo guerra e discordia. Come nel Giudizio di Paride che assegnando la mela a Venere scatenò la guerra di Troia.

Dio è l’incedere dei tre passi solenni che squadrano il tempio. Dio è il campanile di San Mercuriale a Forlì. Dio è il mio primo amore sbocciato come un fiore e mai dimenticato. Dio è la musica di Bach, di Mozart, di Beethoven di Sibelius, di Mahler, di Debussy, di Battiato. Gli arpeggi a tre dita di Mark Knopfler, il violoncello di Rostropovich, l’arpa celtica di Alan Stivell e di Vincenzo Zitello, il suono delle cornamuse scozzesi di Auld Lang Syne sulla voce di Rod Stewart, la voce aulica e sognante con vette di soprano di Loreena McKennitt in Dante’s Prayer:

I did not believe because I could not see
Though you came to me in the night
When the dawn seemed forever lost
You showed me your love in the light of the stars

Cast your eyes on the ocean
Cast your soul to the sea
When the dark night seems endless
Please remember me

Non credevo perché non riuscivo a vedere
Però sei venuto da me nella notte
Quando l’alba sembrava persa per sempre
Mi hai mostrato il tuo amore alla luce delle stelle
Punta gli occhi sull’oceano
Rivolgi la tua anima al mare
Quando la notte buia sembra infinita
ti prego ricordati di me.

Dio è una cascata di risate in una giornata cupa. E poi è dolore. È mal di pancia, mal di denti, angoscia, solitudine e sofferenza. Dio è assenza, un labirinto interminabile di specchi e di scacchi bianchi e neri. È immanenza e trascendenza, il limite estremo della forma e del dicibile. Il detto e il non detto.

Certo, il nostro Grande Architetto è Logos, Forma e Principio ordinatore del cosmo altrimenti caos centrifugo e siderale. Ma è solo un’interfaccia dell’Essere. Dio è oltre il G.A.D.U., oltre i miei limiti. E mi contiene ed io lo contengo. Sono pochi i veri saggi che hanno parlato di Dio nel modo giusto. Squarciare anche il suo millesimo velo è come entrare in una nube di non-conoscenza, Dio è non-dio, dio è la mia prossima morte e la mia prossima nascita. Non c’è luogo, non c’è tempo e non c’è spazio. Al centro della Squadra Dio è transepocale e transmorale.

Umberto Garimberti, sollecitato in un convegno da Marco Guzzi ad intraprendere la via iniziatica risponde:

Ma io non voglio mica diventare matto. Non voglio entrare nel non-differenziato.

Deo gratias, Dio ti ringrazio per avermi donato la via massonica umida e graduale che mi consente di morire pezzo a pezzo, e forse di rinascere intero, individuo, in-diviso, senza precipitare nel caos.

Ma oltre il dualismo, in certi versi della Bagavad Gita o nei vertiginosi passi dell’adwaita shivaista cosa c’è?

Un dio amante delle sue creature, degli animali, e contemporaneamente un sadico vivisezionista?

Ed io, sedentario figlio di Caino, o Tubalcain, che mi commuovo fino alle lacrime di fronte a qualsiasi creatura indifesa, uomo o bestia, e poi divoro con avidità il tenero grasso di ogni carne, sono il lupo o l’agnello? O entrambi?

A volte ricordo che la Luce esiste, che la Luce ha solcato la mia esistenza e mi ha sempre salvato. Mi ha tratto dal caos e poi scaraventato nel limbo di questa vita e poi nel purgatorio del cammino iniziatico.

Dio è l’Angelo della finestra d’occidente. È il mito che parla per simboli nei miei sogni è l’En Soph incommensurabile. È una partita a dadi truccata dal mio doppio dove perdo sempre. E ricomincio ogni volta. È la fatica di vivere e lo sforzo di Sisifo. E lo spaccare la legna e attingere acqua al pozzo come nell’immagine zen. Dio è ateo perché è lui stesso Dio.

E l’ego cos’è?

Serve, ma poco, quel tanto che basta, come nelle ricette di cucina. Io mi cerco e ti cerco tra i frattali intricati della mente. Mi perdo e mi cerco forse anche prima di venire al mondo. Non posso più scrivere, né osare di poter pensare.

Dove mi porti Tu c’è una luce troppo accecante e nessuna benda che mi possa proteggere. So solo in questo vasto momento di equilibrio e di contemplazione che Dio è amore che Dio è fratellanza, e “virtute e canoscenza”. E non so altro.

Dio, è l’oceano di Silenzio che trabocca in questo piccolo bicchiere di parole. Scritto e bevuto con la stessa sete.

Dio sono le parole di Meister Eckhart rilette un’ora fa:

Se ami Dio in quanto Dio, in quanto Spirito, in quanto Persona o in quanto immagine, tutto questo deve sparire.
– Come dunque devo amarlo?
– Devi amarlo in quanto è un non-Dio, un non-Spirito, una non-Persona, una non-immagine, o, per meglio dire: in quanto è un puro, chiaro Uno, separato da ogni dualità. E in questo Uno dobbiamo eternamente sprofondare da qualcosa al nulla. Che in questo ci aiuti Dio, amen.

Ancora una parola: il tuo mistero, mio Dio, spesso è il grido di Munch che attraversa il creato e mi spacca la mente. Ma è anche il verso banale di una canzone – perché Dio, lo so, e mi rivolgo direttamente a lui, è anche dentro una canzone leggera come questa, luminosa e celeste, di Zucchero:

Un altro sole quando viene sera
Sta colorando l’anima mia
Potrebbe essere di chi spera
Ma nel mio cuore è solo mia
E mi fa piangere e sospirare
Così celeste she’s my baby
E mi fa ridere e bestemmiare
E brucia il fuoco she’s my baby.

Dio, infine, per sospendere questo flusso infinito, è il canto furioso di un vecchio Templare che al colmo del tormento iniziatico esclama:

In te, Domine ho creduto, Perché mi donasti la libertà di non credere, ti diedi amore perché mi donasti la libertà di non amarti, ti ho lodato come il salmista perché mi donasti la libertà di bestemmiarti. Non ti offrii l’ascetismo dell’eunuco e del vile, ma il virile distacco da ciò che da te trascende, da ciò che non è te. Quando amai il vino e le rose, mi rompesti il fiasco e mi appassisti i fiori. Ti gridai Allora, irato: Ma bevi dunque come un Templare, Domine?

Ma Quando poi ti vidi, tra i Tramonti Ardenti e sfumati del deserto, nell’acqua chiara e fresca Che ridona vita, negli occhi dolenti e ridenti degli Uomini, Chinai il collo ribelle sotto la tua collata, purché l’oggi non fosse uguale al DOMANI.

Ed ora, Domine, che i diecimila DOMANI sono diventati infiniti IERI, che la stanchezza piega i miei ginocchi indomiti e che i miei occhi ardenti si addolciscono di fronte ad un Nulla che è un Tutto in potenza, rivolgi a me, che ho conosciuto il buio del tuo rigore, il lato luminoso del tuo volto. Dammi la gioia sconosciuta del tuo sorriso, la speranza che anche dopo nostra morte corporale ci sia, ancora, un DOMANI.

Autore Hermes

Sono un iniziato qualsiasi. Orgogliosamente collocato alla base della Piramide. Ogni tanto mi alzo verso il vertice per sgranchirmi le gambe. E mi vengono in mente delle riflessioni, delle meditazioni, dei pensieri che poi fermo sul foglio.