La finta vista e la vera cecità
La lingua italiana, come tutti gli altri idiomi, ha molti termini per indicare la percezione della realtà esterna attraverso la vista. Vedere, guardare, osservare, sono solo alcuni di questi termini spesso usati anche con accezioni diverse.
Ma la differenza non è solo terminologica. Diversi verbi sono anche utilizzati per indicare una diversa modalità attraverso la quale ci si rapporta a ciò che ci circonda. Le teorie e le interpretazioni sono molteplici. Ma, in genere, cambiando l’ordine dei fattori, il risultato non cambia.
La contrapposizione è tra una ricezione passiva, inconsapevole, degli stimoli visivi ed una percezione attiva, consapevole.
Possiamo camminare per il mondo senza accorgerci di quello che incontriamo, senza veramente vederlo.
Da bambini siamo curiosi, tutto quello che vediamo ci sembra un miracolo, ci meravigliamo in continuazione di tutto quello che incontriamo sulla nostra strada. Crescendo cominciamo a dare tutto per scontato. Diventa tutto un’abitudine.
Alla fine, anche se abbiamo gli occhi aperti, anche se ci guardiamo attorno, il risultato è che non vediamo più, diventiamo ciechi.
Chi non riesce più a provare stupore e meraviglia è già come morto e i suoi occhi sono incapaci di vedere.
Albert Einstein
Del resto, il discorso della percezione è sempre stato centrale nel dibattito filosofico, anche come rapporto tra il soggetto senziente e gli oggetti esterni. Rapporto che inizialmente si rivelava passivo per il soggetto, con l’oggetto che immutabile, sufficiente a se stesso, in qualche modo prevaricava, si imponeva.
Questa dinamica si modifica a partire da un filosofo che non a caso è stato individuato come fautore di una rivoluzione copernicana della filosofia, Immanuel Kant.
Da un sistema di conoscenza che vedeva la centralità dell’oggetto, ad un sistema che invece vede come suo fulcro il soggetto. Attraverso le categorie è l’uomo ad influenzare ciò che vede, a fare, in qualche modo, l’oggetto.
Questo filosoficamente apre diverse strade. Quella ermeneutica, centrata sullo scambio tra soggetto e oggetto, ma soprattutto quella dell’idealismo, in cui si arriva alla concezione di un soggetto creatore. Possibilità che non deve apparire remota.
Il modo con cui vediamo le cose ci permette di renderle nuove ad ogni approccio, ad ogni incontro. Tutto torna, ma nulla è identico a quello che è stato.
Tutto si ripete, ma dove mai niente è identico. Dopo ogni inverno torna la primavera, ma ogni primavera è differente da tutte le altre che sono trascorse, da tutte le altre che verranno. Ed ogni primavera, lo stesso albero si veste di nuove foglie, per dare nuovi frutti.
Bisogna avere la capacità di vedere il diverso nell’identico, di capire che ogni momento è unico e trasferisce questa unicità al tutto.
Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.
Marcel ProustBisogna vedere quel che non si è visto,
vedere di nuovo quel che si è già visto,
vedere in primavera quel che si è visto in estate,
vedere di giorno quel che si è visto di notte,
con il sole dove la prima volta pioveva,
la pietra che ha cambiato posto.
José Saramago
Del resto, la capacità di vedere in modo autentico è legata a molte tradizioni esoteriche, in cui il momento iniziatico è visto come illuminazione. Il profano brancola metaforicamente nel buio in uno stato di confusione. Spesso questa situazione è simboleggiata da una benda che copre gli occhi. Il momento dell’iniziazione è il dono della luce, che finalmente illumina un mondo, o comincia a farlo, che fino a quel momento si è creduto di vedere.
Spesso la realtà inganna tramite le apparenze.
Credo che ogni singola realtà sia coperta da tanti veli di apparenza, non sempre si è in grado di strapparli tutti.
Pietro Riccio – Eternità diverse
O, a volte, non si arriva nemmeno alle apparenze, ci si abitua anche a quelle, ci si accontenta della superficie delle apparenze stesse.
Il percorso iniziatico in questo caso diventa cammino di consapevolezza, anche attraverso la capacità di vedere davvero, di strappare quanti più veli possibili alla realtà. Anzi, lo scopo è quello di aprire il cosiddetto terzo occhio, che corrisponde al nostro intuito, alla capacità di vedere l’essenza delle cose, di arrivare alla chiaroveggenza.
Si tratta dell’occhio del saggio, del vero illuminato, che non ha bisogno dei primi due occhi per vedere. Occhio che in pochi, anzi pochissimi, riescono effettivamente ad aprire. Molti non sanno nemmeno che esista.
Molti di noi, sebbene si illudano di vedere, perché pensano che basti tenere aperti i primi due, sono ciechi, come il profano che dalla sua oscurità bussa alle porte del Tempio.
Autore Pietro Riccio
Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.