Il dolore mentale è meno drammatico del dolore fisico, ma è più comune e anche più difficile da sopportare. Il tentativo di nascondere i frequenti dolori mentali ne aumenta il peso: è più facile dire “il mio dente fa male” che dire “il mio cuore è spezzato”.
C.S. Lewis
Ero depresso in quel periodo. Intendevo uccidermi ma ero in analisi e i freudiani sono molto severi al riguardo, ti fanno pagare le sedute che perdi.
Woody Allen
Il termine depressione deriva dal latino e indica qualcosa che viene compresso.
Se vogliamo, la depressione è lo stato negativo della rabbia. Quando la rabbia è troppo repressa diventa tristezza. In un certo senso la depressione è la rabbia rivolta verso l’interno, verso se stessi.
Quando parliamo di depressione non possiamo non fare riferimento al celebre saggio di Freud ‘Lutto e melanconia’ in cui l’autore differenzia il dolore legato a un lutto dalla depressione malinconica. Nel primo caso la sofferenza è legata alla perdita reale di una persona significativa, mentre nella melanconia l’oggetto perduto è di tipo emozionale e non reale. Nella melanconia il paziente sente una profonda perdita della stima di sé mentre nel lutto l’autostima è ragionevolmente stabile.
La marcata autosvalutazione dei pazienti depressi ha a che fare con una rabbia che viene rivolta verso l’interno. Freud intuì che il senso di colpa del paziente depresso è, in realtà, un rimprovero colpevolizzante rivolto all’oggetto d’amore interiorizzato, una persona significativa. Rimprovero che si ritorce contro il soggetto che, inconsciamente, si è identificato con l’oggetto.
Nella melanconia le occasioni che danno origine alla malattia riguardano situazioni in cui l’individuo si sente scoraggiato, trascurato o deluso.
Venendo alla definizione, la depressione è uno stato di sofferenza psichica caratterizzato da sintomi affettivi: umore depresso, perdita di interessi e di piacere, sentimenti di impotenza e di colpa, inutilità. Sintomi cognitivi: pensieri a contenuto negativo su di sé, pensieri negativi sul mondo e sulla vita, idee di suicidio. Sintomi neurovegetativi: riduzione o aumento del sonno e dell’appetito. Sintomi fisici: dolori, astenia, disturbi gastrointestinali.
La depressione può essere lieve o moderata, in cui c’è una sofferenza psichica, ma le capacità sociali e lavorative sono conservate, in questo caso parliamo di depressione nevrotica; oppure può sfociare in condizioni clinicamente più severe come la depressione maggiore che compromette in maniera severa il contatto con la realtà.
Una ricerca ha messo in evidenza che ci sono una serie di fattori stressanti che ci espongono al rischio di sviluppare una depressione. Tra gli eventi stressanti abbiamo: la perdita di una persona cara, violenze, problemi coniugali e o familiari, divorzio, separazione. La ricerca, inoltre, ha evidenziato che precoci esperienze di abuso, di abbandono o di separazione espongono al rischio di depressione in età evolutiva; inoltre queste esperienze creano una fragilità nell’individuo esponendolo allo sviluppo della malattia in età adulta. Negli individui che durante l’infanzia sono stati separati dai genitori c’è una maggiore vulnerabilità alla depressione maggiore.
Secondo l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, entro il 2020 la depressione sarà la seconda malattia più invalidante al mondo, dopo le patologie cardiovascolari.
In Italia la depressione è il disturbo psichico più diffuso, ne soffrono quasi 3 milioni di persone, colpisce più le donne che gli uomini e riguarda tutte le fasce di età, anche i bambini.
Intorno ai disturbi affettivi, purtroppo, ci sono tanti pregiudizi e luoghi comuni. Alcuni sintomi, come la mancanza di interesse, di piacere per le proprie attività o il ritiro sociale vengono interpretati dai familiari come dovuti a una mancanza di volontà e questo non fa che aumentare il sentimento di prostrazione e inadeguatezza dei pazienti.
I familiari, nel tentativo di spronare i pazienti, spesso li colpevolizzano con frasi del tipo “Mettici un po’ di buona volontà”, oppure “Non ti manca nulla, come puoi essere depresso?!”, o ancora “Reagisci, fallo per la tua famiglia”. Frasi del genere sono deleterie perché non fanno che accrescere il sentimento di colpa e di impotenza del paziente che, piuttosto, andrebbe incoraggiato a cercare l’aiuto di un professionista della cura perché, non dimentichiamolo, anche se i dati sono allarmanti, dal male di vivere si può guarire.
Autore Dominga Verrone
La dottoressa Dominga Verrone è laureata in Psicologia clinica e di comunità e specializzata in Psicoterapia. Si occupa di ansia, depressione, attacchi di panico, fobie, disturbi di personalità, disturbi del comportamento alimentare, disfunzioni sessuali, problemi relazionali, mediazione familiare, dipendenza affettiva, disturbi specifici dell’apprendimento, valutazione psicodiagnostica delle demenze, consulenze tecniche di parte nelle cause civili e penali. Riceve dal lunedì al sabato negli studi di Napoli in via Belvedere e di Sant’Antimo (NA) in via Saragat. https://www.facebook.com/Dominga-Verrone-Psicologa-Psicoterapeuta-2006202949647763/