L’affresco del Castellum Aquae di Pompei (NA)
Costruito nel punto più alto dell’antica Pompei, a 42 metri sul livello del mare, il Castellum Aquae riforniva di acqua potabile l’intera città.
L’edificio, giunto perfettamente conservato fino a noi, è ubicato presso la porta cosiddetta del Vesuvio ed è di forma trapezoidale con all’interno un grande bacino circolare con una volta a cupola dal diametro di sei metri, il tutto illuminato dalla luce di due feritoie.
La facciata esterna, in opera laterizia di mattoni, presenta tre archi separati e un ingresso laterale sul lato nord. In antico detto ingresso era chiuso da una porta massiccia.
Ma è la parte interna del Castellum a raccontare dell’alto grado di sviluppo d’ingegneria idraulica, cui erano pervenuti gli antichi pompeiani. Il grande bacino circolare interno era alimentato da una conduttura d’alimentazione situata sul lato nord ed era diviso in tre scomparti, da cui partivano altrettante condutture, poste a diverse altezze, di diramazione per la distribuzione dell’acqua ai cittadini di Pompei.
Il primo scomparto serviva per le fontane pubbliche, il secondo per edifici pubblici e il terzo per le domus private.
Un sofisticato sistema di saracinesche permetteva di limitare la pressione dell’acqua e, quindi, di regolare la distribuzione o la sospensione idrica a seconda delle necessità del momento.
In caso di scarsità del flusso idrico, si chiudevano, con cunei di legno, le condotte per la fornitura d’acqua alle domus private e agli edifici pubblici, comprese le terme, restando in funzione la sola conduttura che alimentava le fontane pubbliche, in numero di quaranta nell’intera città.
Il serbatoio idrico del Castellum Aquae, posto come abbiamo scritto sul punto più alto di Pompei, per la distribuzione dell’acqua sfruttava il principio della pressione per caduta o gravità, in quanto tutta la città era situata più in basso dello stesso.
Appare chiaro che non potevano essere le acque del Sarno ad alimentare il predetto Castellum, per il semplice motivo che il fiume scorreva ancora più in basso di tutto l’agglomerato cittadino.
Infatti, a dissetare Pompei, erano le acque dell’acquedotto romano del Serino detto anche “acquedotto augusteo”, in precedenza erroneamente attribuito a Claudio, che, alimentato dalle sorgenti del Serino ovvero dalla Fontis Augustei, portava acqua a Miseno, dov’era stanziata l’intera flotta imperiale.
Durante il suo lungo percorso, con opportune diramazioni, alimentava popolose città quali Pompei, Nola, Ercolano, Acerra, Neapoli, Atella, Pozzuoli, Cuma e Baia.
La lunghezza totale di questo acquedotto, comprese le diramazioni, si svolgeva per un totale di ben 145 km, il che ne faceva il più lungo per tutta l’età antica.
Dopo lo speco ipogeo sulle alture delle montagne di Sarno l’acquedotto augusteo correva su arcate nella pianura tra ad Fauces (Foce) di Sarno e Palma Campania. In questo tratto una diramazione, sempre su arcate, lunga 11 km giungeva al Castellum di Porta Vesuvio a Pompei.
All’interno del citato Castellum, sulla parete nord, vi sono tracce di un affresco colorato, risalente all’epoca augustea e raffigurante una divinità fluviale e tre ninfe.
Il dio giovanile, a destra, è dipinto seduto su di una sorgente, con nella mano destra la sacra canna palustre, mentre le tre ninfe, raggruppate a sinistra, seminude sembrano omaggiare lo stesso dio.
L’autore della pittura voleva ricordare ai Pompeiani la natura sacra dei fiumi.
Ma chi effettivamente rappresenta questa divinità fluviale?
Al riguardo, da decenni, si è aperta una querelle tra gli studiosi non ancora del tutto chiusa.
L’archeologo Thomas Fröhlich è del parere che l’affresco rappresenti un generico dio delle acque, ma come tesi ci sembra abbastanza debole.
Altri studiosi propendono per una raffigurazione divina del Serino che alimentava l’acquedotto, in tal caso ci troveremmo dinanzi all’unica rappresentazione iconografica della divinità del Serino, che, peraltro, era una sorgente e non un fiume vero e proprio.
L’autorevole archeologo Antonio Sogliano scrisse tout court che in quell’affresco era raffigurato la divinità del fiume Sarno. Non per spirito campanilistico, ma, per considerazioni oggettive, concordiamo con la tesi del Sogliano.
La pittura del Castellum, oltre alla divinità fluviale seminuda, riporta, come accennato, le figure di tre ninfe, anch’esse seminude, delle acque ovvero, secondo la mitologia antica, di tre Naiadi, benefiche ninfe o divinità delle sorgenti. L’essere in numero di tre sembra alludere alle tre grandi sorgenti del Sarno: Foce, Palazzo e Santa Marina.
D’altronde, l’affresco è del tutto simile alle altre pitture pompeiane in cui è raffigurato il Sarno deificato.
Confrontare, per tutte, la pittura parietale, oggi al Louvre di Parigi, proveniente dalla Casa delle Vestali di Pompei e raffigurante appunto la divinità del Sarno, seminudo, tra le Naiadi e con l’attributo della verde canna sacra nella mano destra.
Autore Orazio Ferrara
Orazio Ferrara, docente, scrittore, saggista, nato a Pantelleria (TP), vive a Sarno (SA). Negli anni Settanta ha fatto parte del Gruppo 77, gli intellettuali della rivista romana Futurismo Oggi, diretta da Enzo Benedetto, amico ed allievo di Marinetti.