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La dea in trono rapita – Il mito di Persefone in Magna Grecia

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Persefone


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La statua era un insigne monumento del Quinto secolo avanti Cristo, e incuteva terrore e reverenza.

I capelli che noi vediamo pettinati strettamente in trecce nelle nostre contadine, quel naso forte e amoroso, le labbra argute, il mento rotondo di chi ama la terra e le cose della terra, erano straordinari da vedere sublimati in un’immagine divina.

E il corpo velato e apparente sotto la veste leggera, era pure un corpo di donna, e le pieghe della veste l’antico pudore che ancora rivela il corpo delle donne che amiamo. Or sì or no, come onde di un bel mare sereno. L’immagine era seduta in trono, nella solitudine delle antiche dee […].

Questi versi del grande scrittore calabrese Corrado Alvaro, contenuti nel volume ‘Mastrangelina’, riportano la descrizione di una statua scoperta nel paese del protagonista, così minuziosamente delineata da non poter fare a meno di paragonarla ad una scultura trafugata nei territori della Magna Grecia, Locri, o forse Taranto, ed oggi esposta all’Altes Museum di Berlino, la bellissima statua in marmo del sec. V a.C. conosciuta come La dea in trono.

È d’obbligo soffermarsi sulla figura dell’autore per aiutare il lettore a comprenderne lo stile letterario che nulla lascia al caso e che, da esperto conoscitore dei luoghi, della vita contadina e della forma mentis dell’epoca, racconta non solo contesti reali, ma anche fatti, descrizioni e verità, a volte celate, dando vita a personaggi che sembrano ispirarsi a persone realmente vissute.

Questa vicenda, dimenticata da tempo, è ritornata in auge in seguito alla pubblicazione del volume dell’ing. Giuseppe Macrì, ‘Sulle tracce di Persefone, due volte rapita’, Laruffa Editore, 2015.

Ma osserviamo adesso la statua marmorea, dalla calda tinta ambrata, più scura rispetto alle bianche opere che ammiriamo nei Musei di tutto il mondo, forse per questo ancora più suggestiva

quel era marmo arido come ossame, qua e là del colore delle foglie secche

come cita Alvaro.

Le coincidenze tra la dea e la statua descritta nel romanzo non finiscono certo qui. Altri particolari riconducono inequivocabilmente alla preziosa scultura, come il taglio della testa, effettuato da esperti su commissione, per favorire il trasporto, e il braccio mancante

… gli mostrò una mano della statua che portava con sé involtolata in un giornale […] la sua provenienza da un paese della Magna Grecia.

Questa trama tinta di giallo inizia verso la fine del secolo XIX, quando avvenne la scoperta di una bellissima statua in marmo di importanti dimensioni.

Un ritrovamento straordinario, non dichiarato alle autorità e, quindi, trafugato, ma talmente prezioso da attirare diversi compratori ed antiquari disposti a tutto pur di acquistarla; proposito che venne attuato grazie a lunghe trattative, viaggi, complicità di governi e, dulcis in fundo, lo scenario bellico che si avvicinava minaccioso.

Ma da dove arriva la statua? E perché questa diatriba tra due grandi polis della Magna Grecia?

Senza prove documentate, la provenienza è stata attribuita a Taranto, anche se gli scavi non hanno mai portato in luce testimonianze che permettessero un’associazione certa dell’origine tarantina, né documenti, raffigurazioni o immagini che possano ricondurre ad un luogo esatto.

Entrambe le città ioniche, infatti, avevano edificato un tempio in onore della veneratissima dea Persefone, personificazione della primavera e della bella stagione, che porta con sé tutti i doni della terra.

Sappiamo, però, che la statua non è completa, ma mancante di alcune parti, e questo rende dubbia la sua vera identità. Essa, infatti, si presenta priva di mani, attributi necessari, perché portatori di oggetti simbolo che caratterizzano le divinità.

Non possiamo affermare con sicurezza chi raffigurasse questa meravigliosa dea, ma possiamo provare a dedurlo per esclusione!

Se ragioniamo sulle tipiche rappresentazioni visive e simboliche delle divinità possiamo affermare che la dea in trono non potrebbe essere Athena, la saggia dea guerriera, sempre ritratta con elmo e scudo, né Artemide, grazie ai mancanti attributi lunari, come la mezzaluna sulla fronte e un atteggiamento, o un abbigliamento, che evocano la caccia.

Sulla scia di tali logiche supposizioni, è possibile escludere dalla lista delle divine candidate anche Hera, la dea madre dalle forme giunoniche, che, invece, risultano quasi acerbe, prive di alcun riferimento legato alla maternità.

Altrettanto improbabile è la personificazione con Afrodite, la stupenda dea dal bel diadema, sovente raffigurata con abito parzialmente coprente e movenze che invitano all’amore e alla seduzione, sensazioni ben lontane dalla solida compostezza, dal profumo del focolare e dal dolce sorriso di giovane sovrana, che la dea in trono incarna.

L’identità, però, non spiega la distanza. Come arrivò in Germania?

Una possibile ricostruzione può partire da Taranto, dove sicuramente transitò per proseguire a Eboli, per poi imbarcarsi a Napoli, alla volta di Parigi.

Durante il soggiorno nella capitale francese allo scoppio della prima guerra mondiale e nel caos bellico, in seguito a certificazioni e acquisti discutibili, divenne ufficialmente proprietà dello Stato militarmente più potente, la Germania!

La fuga da Taranto verso il più generoso committente, comunque non prova che il viaggio iniziò lì, anche perché le campagne di scavo che furono indette, non portarono alla luce alcun elemento che potesse essere collegato alla statua, né risultano autori che, anche in forma romanzata, rimandano ad una situazione analoga, come invece descrisse con tanta minuzia di particolari Corrado Alvaro.

Non dimentichiamoci che, allora, le informazioni non venivano divulgate in tempo reale, come siamo abituati oggi, grazie ai moderni motori di ricerca, e che il mondo non era connesso tramite reti Wi-Fi!

La televisione iniziò a diffondersi dopo gli anni Trenta, ma solo tra le famiglie agiate, e radio, telefono e giornali locali riportavano notizie filtrate, esaminate e ‘autorizzate’, che non potevano contenere troppi elementi, per cui, molti dettagli non venivano certo divulgati.

In virtù del lecito parallelo tra il racconto di Alvaro e la vicenda realmente accaduta, ci chiediamo come uno scrittore potesse essere a conoscenza di tanti particolari se non tramite confidenze tra conterranei.

Al di là dei racconti letterari, esiste una testimonianza oculare circa il rinvenimento della statua, da parte di un contadino residente a Locri, tal Giovanni Giovinazzo, il quale, narra di aver assistito al rinvenimento dell’opera marmorea e al suo conseguente trafugamento, svelando, inoltre, il luogo orientativo in cui la dea sarebbe stata ritrovata. Stranamente, però, non risultano scavi eseguiti nei luoghi indicati.

Considerato il lungo iter che avvolge questo ennesimo furto ai danni del territorio della Magna Grecia e dell’Italia, verrebbe da chiedersi chi si occupasse ufficialmente degli scavi nel territorio locrese in quegli anni.

Sappiamo che, per diversi anni, varie campagne di scavi furono eseguite tra il 1889 al 1915 dal famoso Paolo Orsi, l’archeologo che era

su tutto l’arco che si intende tra Siracusa e Taranto […] venerato come un totem

come riporta lo storico e scrittore Carlo Belli nei suoi scritti ‘Paolo Orsi nella «sua» Locri’.

Ho avuto occasione di leggere lettere e corrispondenze redatte a mano dal grande archeologo, testimonianze che oggi possono sembrare insolite, ma non per quegli anni, quando e-mail e computer non erano stati ancora creati ed esistevano solo le macchine da scrivere, generalmente riservate a corrispondenze più formali e d’ufficio che a corrispondenze personali o veloci minute da compilare.

Ritroviamo, così, pagine ingiallite dal tempo, dove nel tratto e nel colore dell’inchiostro tra l’ambra e il seppia, si può ancora leggere tutto l’amore per il suo lavoro, l’emozione per le scoperte e per ciò che avrebbe potuto ancora riportare alla luce.

Eppure, un’ombra vela questa colonna portante dell’archeologia, non solo a causa delle insinuazioni sul ruolo della Soprintendenza, ma anche in seguito a testimonianze come quella di Carlo Belli nel medesimo volume già citato su Orsi:

Di una cassa colma di queste reliquie preziose raccolte dall’Orsi, non si ebbe più notizia. Un viaggio- fantasma, anziché deporla alla Sovrintendenza di Reggio o di Napoli, l’ha portata chissà dove.

Una delle domande più ovvie che questa situazione suscita sono le misure di sicurezza che vennero adottate per trasportare la pesantissima statua, un unico blocco di marmo del peso di oltre una tonnellata.

In che modo sarebbe stata portata via senza destare attenzione, né farsi notate dalla gente del posto o dalle autorità?

Sono tanti i quesiti inevasi, ma possiamo dare voce alle silenziose documentazioni che sono ancora lì, incomplete e in attesa di un finale diverso.

Non è in Germania il trono della nostra dea, la terra che emana ancora atmosfere legate a culti celtici e norreni e non altari e riti pagani, ma in Magna Grecia, dove risiedeva nello splendore di un tempio che, anche distrutto, urla ancora al vento la gloria di un tempo immortale.

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Autore Daniela La Cava

Daniela La Cava, scrittrice, costumista, storica del Costume. Autrice di volumi sulla storia del costume dal titolo "Il viaggio della moda nel tempo". Collabora con terronitv raccontando storie e leggende della sua terra.