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La Chinea

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Chinea


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L’omaggio feudale – pecuniario del Re di Napoli al Papa, prende il nome da una razza di cavalli inglesi

Da sempre, l’essere umano si è voluto ringraziare il proprio Dio. I Greci e gli Ebrei offrivano animali, i popoli precolombiani esseri umani, per lo più giovani vergini, mentre i cattolici ‘si accontentano’ delle preghiere, dei fioretti ed elargizioni in denaro.
Queste ultime, però, il Dio cattolico non le potrà mai godere, poiché verranno intercettate dai… ministri del culto.

Nemmeno gli uomini che hanno impresso il loro nome nei libri di storia si sono svincolati da tale remora pecuniaria, anche se alla base vi erano accordi politici.

Già nel 1058, i Normanni versavano un contributo dopo l’accordo di Melfi, quando gli Altavilla ottennero il ‘privilegio’ di essere vassalli del Santo Padre, guadagnandosi il riconoscimento dei diritti feudali sull’Italia meridionale e sulla Sicilia.

Ad istituzionalizzare il versamento di un ‘censo’ al ‘vassallo di Dio’ sulla terra fu Carlo d’Angiò, che, ottenendo l’aiuto del Papa Clemente VI per sconfiggere Manfredi, si impegnò con il pontefice e a versare ogni tre anni, alla Santa Sede, il ventinove giugno, in occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo, ottomila once d’oro, circa 230 chili d’oro, visto che un’oncia corrisponde a 28,35 grammi, e, in segno di vassallaggio, un cavallo bianco per lo spostamento del prezioso metallo.

Questo atto fortemente simbolico di sottomissione, che durò dal 1264 al 1788, noto come la Chinea, prese appunto il nome dalla razza del destriero bianco che trasportava l’oro e finì con l’avere una cadenza annuale.

Infatti, ogni 29 giugno un ambasciatore del Re di Napoli doveva recarsi a Roma sulla groppa di un cavallo bianco ed offrire il ‘censo’ al Papa.

I nobili del Regno facevano a gara per portare l’omaggio feudale al Pontefice, allestendo, nella città del Soglio di Pietro, cerimonie e feste.

Nel Seicento il ‘contributo volontario’ consisteva in circa 7.000 scudi d’oro, una cifra iperbolica.

Nel Settecento, il secolo dell’Illuminismo e della ragione, gli intellettuali napoletani videro tale atto di vassallaggio come un sopruso e una tirannia di una potenza straniera, per cui accolsero trionfalisticamente la decisione del re Ferdinando IV, pur versando l’obolo economico, di sospendere la cerimonia della Chinea, tanto da indurre la bibliotecaria di corte, Eleonora Pimentel Fonseca, che diventerà un’eroina della Rivoluzione giacobina del 1799, a comporre un sonetto in onore del Re.

La controversia legale tra il Regno borbonico e quello pontificio ebbe fine solo nel 1855, quando Ferdinando II donò diecimila scudi per la costruzione del monumento all’Immacolata a Roma.

Ancora oggi, l’8 dicembre, il papa si reca a Piazza di Spagna per depositare fiori ai piedi dell’Immacolata Concezione, mentre l’ambasciatore di Spagna assiste alla cerimonia con tutti i funzionari, in segno di continuità con la dinastia dei Borbone.

Autore Mimmo Bafurno

Mimmo Bafurno, esperto di comunicazione e scrittore, ha collaborato con le maggiori case editrici. Ha pubblicato il volume "Datemi la Parola, Sono un Terrone". Attualmente collabora con terronitv.