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‘Je so’ pazzo’, documentario per raccontare l’ex-OPG di Sant’Eframo

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Je so’ pazzo‘ è un documentario che racconta la trasformazione del luogo da cui prende il titolo: l’ex-OPG di Sant’Eframo. A marzo del 2015, nel quartiere Materdei, è stato riaperto ed occupato uno degli edifici storici più grandi di Napoli. A sette anni dalla chiusura, l’ex-ospedale psichiatrico giudiziario di Sant’Eframo, una struttura carceraria ricavata dalle mura antiche di un vecchio monastero del ‘600, giaceva in uno stato di degrado e di completo abbandono, senza alcun progetto di recupero né di riqualificazione urbana.

Il collettivo di studenti universitari che l’ha occupato, insieme agli abitanti del quartiere rinominandolo ‘Je so’ pazzo’, ha denunciato fin da subito le condizioni di degrado dell’edificio, riuscendo a ripulire e recuperare diverse zone del carcere e adibirne gli spazi ad uso civico e condiviso, trasformando quello che per secoli era stato un luogo di pena e di sofferenza in un posto più vivo e colorato che mai, accogliente e aperto a tutti.

Il valore storico e il significato simbolico che quelle mura e quei cancelli riaperti rappresentavano sono stati la spinta principale a documentare tale trasformazione, ogni giorno più concreta e partecipata, e ad andare più a fondo sulla questione della memoria dimenticata di Sant’Eframo, e degli OPG.

Il regista Andrea Canova e la Inbilico Teatro e Film hanno sentito l’urgenza di fotografare un cambiamento, di coglierne l’essenza ed i significati attraverso il racconto di un luogo emblematico, in cui quel vento di cambiamento ha cominciato a soffiare… fino a che non hanno conosciuto Michele e la sua storia.

La sua preziosa testimonianza è divenuta subito la parte più significativa della ricerca.
Con lui è iniziato il viaggio nella memoria dell’ospedale psichiatrico giudiziario, negli anni in cui Michele era lì dentro come internato ed annotava i suoi pensieri, le poesie, gli sfoghi e le lettere, nelle pagine del suo diario.

Il suo racconto ha coinvolto ed emozionato fin da subito regista e produzione.
Le tracce del suo diario hanno regalato una testimonianza umana diretta e poetica, a volte straziante, di quello che succedeva dietro quelle mura, dentro quelle celle.

Chi lo avrebbe mai detto che qui dentro un giorno ci sarebbero entrati dei bambini

dice Michele guardandosi intorno mentre accompagna lo spettatore del documentario attraverso i chiostri dell’ex-OPG, verso le celle che conosce fin troppo bene.
Scrivere gli ha reso più sopportabile l’inferno della detenzione in un luogo che, come lui stesso dice, gli apparterrà per sempre. Era l’unico momento in cui si sentiva libero, quando scriveva.

La sua voce, i suoi ricordi, la sua presenza intensa e delicata al tempo stesso, ci accompagnano tra le urla e le sofferenze al tempo in cui Sant’Eframo era un OPG: le botte, l’abuso di psicofarmaci, i letti di contenzione, il senso di abbandono ed oblio istituzionale e i tanti, troppi, suicidi di uomini dimenticati da tutto e da tutti.

Era difficile vivere qui dentro

dice Michele, guardando fuori, attraverso le sbarre della finestra della sua cella, come faceva quando era rinchiuso qui dentro.

Il documentario ci fa sentire lì con lui e registra tutto, soprattutto il silenzio: ogni sua parola, ogni sua esitazione o sospiro; il regista lo segue senza fargli troppe domande, lasciandolo libero di condurci dove vuole tra gli spazi angusti delle celle… senza una scaletta premeditata – come precisato da Canova – , senza fretta, quasi a voler sparire dietro il suo racconto intimo, personale, denso di emozione.

Le pagine del suo diario compongono la cronistoria della sua detenzione, durata 5 anni. Sono tracce indelebili della sua memoria e di quella di Sant’Eframo, forse le più significative tra quelle rinvenute e conservate fino ad oggi.

In una di queste pagine Michele scrive:

Io sogno che gli OPG scompaiano!

Al racconto e alle memorie di Michele, si alternano le immagini ed i suoni del presente: dei ragazzini che giocano a calcetto e delle voci, dei volti di tanti gruppi di persone, di età e di provenienze diverse, che riempiono gli spazi in continua trasformazione di un luogo che sembrava destinato al silenzio e al degrado e che oggi è pieno di attività e di nuovi abitanti che lo attraversano e lo curano, tutti i giorni.

Rosa, una ragazza del collettivo ‘Je so’pazzo‘ dice che a loro piace definirla una “casa del popolo”: uno spazio in cui incontrarsi anche per migliorare la qualità della vita delle persone, per confrontarsi sui problemi e sulle esigenza comuni, a partire dai più bisognosi.

L’ex-OPG è vissuto e attraversato da una comunità sempre più numerosa ed eterogenea: studenti, lavoratori, disoccupati, immigrati ed abitanti del quartiere si riuniscono nelle diverse assemblee, durante le iniziative politiche e gli eventi culturali che si svolgono dentro e fuori le mura di Sant’Eframo.

Luca, un ragazzino del quartiere, dice con fierezza che lui preferisce venire a giocare all’ex-OPG, da quando è stato riaperto, piuttosto che stare in strada a “fare guai”; qui le attività sono tutte gratuite e l’ambiente è molto protetto, familiare. Per questo all’ex-OPG ‘Je so’ pazzo‘ è stato creato anche un ambulatorio medico, uno sportello ed una scuola d’italiano per immigrati, una camera del lavoro.

Sono tutti strumenti e spazi, che nascono dalla voglia di produrre un cambiamento reale, e di farlo insieme. Perché qui la politica si fa nei fatti, con ed in mezzo alla gente, e crea occasioni di riscatto, di crescita e di relazioni solidali. Poi ci sono le attività ricreative e sportive, quelle della palestra popolare e quelle artistiche e culturali condivise nei vari laboratori e nel teatro, tutte gratuite e molto partecipate.

Il docu-film osserva e racconta il luogo e la sua trasformazione nel tempo, alternando passato e presente ed interrogandosi sul futuro. L’occhio della telecamera si muove come il vento, lungo i corridoi, verso le ore d’aria, dentro e fuori le celle, cercando di cogliere i momenti più significativi di una stagione di cambiamento, i suoi significati più profondi e metaforici, universali, che emergono dal forte contrasto tra reclusione e libertà, tra passato e presente, tra perdita della memoria e ricostruzione collettiva dell’identità di un luogo e della sua memoria, che oggi appartiene a tutti.

Autore Paco De Renzis

Nato tra le braccia di Partenope e cresciuto alle falde del Vesuvio, inguaribile cinefilo dalla tenera età… per "colpa" delle visioni premature de 'Il Padrino' e della 'Trilogia del Dollaro' di Sergio Leone. Indole e animo partenopeo lo rendono fiero conterraneo di Totò e Troisi come di Francesco Rosi e Paolo Sorrentino. L’unico film che ancora detiene il record per averlo fatto addormentare al cinema è 'Il Signore degli Anelli', ma Tolkien comparendogli in sogno lo ha già perdonato dicendogli che per sua fortuna lui è morto molto tempo prima di vederlo. Da quando scrive della Settima Arte ha come missione la diffusione dei film del passato e "spingere" la gente ad andare al Cinema stimolandone la curiosità attraverso i suoi articoli… ma visto i dati sconfortanti degli incassi negli ultimi anni pare il suo impegno stia avendo esattamente l’effetto contrario. Incurante della povertà dei botteghini, vagamente preoccupato per le sue tasche vuote, imperterrito continua la missione da giornalista pubblicista.