Intervista in esclusiva in Rai con Antonella Prisco
Vulcanica, simpaticissima e grintosa, eppure di una sensibilità spiccata e di una dolcezza infinita; così ci appare subito Antonella Prisco. Ci rincorriamo da mesi, non riuscendo ad incontrarci per vari motivi organizzativi, finché riusciamo a fissare un incontro nel Centro di Produzione Rai di Napoli, proprio prima che inizi a girare delle scene.
Ci accomodiamo ad un tavolino e iniziamo a chiacchierare come fossimo vecchie amiche; atmosfera piacevole e rilassata, intervallata da innumerevoli risate. Partiamo dall’analisi del personaggio che interpreta in Un Posto al Sole, Mariella Altieri, per scoprire qualcosa di sé, parlare poi di teatro, di progetti futuri e terminare con Napoli.
Finché si parla del personaggio, dice, è facilissimo perché ha la sua idea in proposito, ma appena le chiedono di descrivere se stessa deve fermarsi a riflettere con attenzione, perché ovviamente parlare di sé non è affatto facile. Il riscontro del pubblico di UPAS è più che positivo, osserviamo. Nei gruppi sui social è popolare ed apprezzatissima, soprattutto per l’ottima mimica facciale, per lo sguardo intenso e comunicativo, perché riesce a far trasparire ciò che ha dentro al di là del personaggio.
Lei sorride, quasi imbarazzata dal complimento, ed aggiunge che anche nella vita reale non riesce a fingere; “se non credessi in ciò che sto recitando, se non mi immedesimassi del tutto, non riuscirei a rendere. Nel momento in cui giro, io veramente credo di essere la Mariella innamorata di Guido”.
I passanti, dice, spesso le si avvicinano per commentare le sue interpretazioni e sentire di essere riuscita ad ‘arrivare’ agli spettatori le dà, ovviamente, grande soddisfazione.
“Una parte del pubblico femminile si ritrova in Mariella. Gli autori riescono a cogliere delle sfumature e rappresentare alcune fragilità delle donne, ad esempio la paura di rimanere sola, temere di non piacere, vedersi brutta; lei lo ripete di continuo fino ad accettarlo. Questo è ciò che per me funziona nella vigilessa, riuscire a far emergere delle debolezze che accomunano le donne. È un personaggio molto vicino alla gente, proprio perché ‘normalissimo’, non è uno stereotipo e ciò permette un forte processo di identificazione, dato che è simpatica, alla mano e crede fortemente nello spirito di squadra e nei valori dell’amicizia e della lealtà. Ha anche tanti sbalzi di umore che manifesta di continuo per il fatto di non aver avuto, fino a questo momento, una persona accanto. Visto che è difficile mostrarsi vulnerabili e fare i conti con i propri lati negativi, vederli invece rappresentati in Mariella crea una sorta di processo empatico e di riconoscimento”.
Si sofferma quindi a descrivere la dichiarazione d’amore ricevuta da Guido dicendo che le è piaciuto moltissimo il testo e che gli sceneggiatori, con grande delicatezza, hanno reso dolce e romantico un momento che apparentemente poteva sembrare solo un mero elenco puntuale di tutti i difetti della donna. Inizialmente, infatti, Mariella non lo capisce e, offesa, rimane sulle sue, perché ovviamente vuole sentirsi dire che è bella, affascinante e ricca di qualità, ma quando finalmente lui, sorridendo, sottolinea che se riesce ad amare i suoi difetti significa che ne è veramente innamorato, allora lei capitola.
Aggiunge poi un simpaticissimo aneddoto relativo sempre a questo momento. Erano in procinto di girare a Piazza Carlo III e lei era appunto in divisa da vigile quando un signore le si avvicina iniziando a sfogarsi in perfetto napoletano e ad inveire per il fatto che una serie di auto siano parcheggiate in seconda fila impedendogli di uscire con la macchina. Lei prova spiegargli che quello è un set cinematografico, ma lui, senza ascoltarla, continua a dirle in modo piuttosto colorito di fare il suo lavoro da vigile urbano e di multare le auto mal parcheggiate. La descrizione che ci fa è talmente accurata da farci ‘vedere’ la scena come se si stesse svolgendo sotto i nostri occhi.
Dato che è disponibilissima ed autoironica facciamo riferimento all’esilarante sequenza andata in onda recentemente, in cui lei, in camera da letto aspetta Guido e ‘gioca’ a fare la femme fatale, fingendo una sicurezza e una sfrontatezza che non le appartiene affatto. Improvvisa una scena che nell’immaginario collettivo dovrebbe essere sensuale, ma che risulta invece caricaturale e comicissima nell’impacciato tentativo di uno spogliarello che a tutto rimanda tranne che ad un burlesque. Antonella ridendo confessa che la scena è stata girata due volte per un piccolo incidente con una delle scarpe che le ha quasi sfiorato la testa, provocando l’ilarità generale.
“Ciò che mi ha colpito in quest’avventura di UPAS, che spero duri il più possibile, è il rapporto umano che si instaura con i colleghi. Germano Bellavia è una persona stupenda, dolcissima e disponibile; all’inizio ero, ovviamente, un po’ spaesata, lui, invece, mi ha subito messo a mio agio, come tutto il resto della comitiva. È un ambiente bellissimo, con colleghi pronti a dare consigli preziosi per aiutare i nuovi arrivati a dare il meglio di sé. Non esistono ‘prime donne’, nessuno che voglia imporsi sull’altro, piuttosto un gruppo affiatato di persone fantastiche che puntano ad un bel lavoro di squadra perché il risultato complessivo sia quello ottimale”.
La invitiamo a raccontarci qualche altro aneddoto simpatico. Uno dei primi giorni che girava le esterne sempre con il costume da vigile, si avvicina ad uno della troupe che non riconosciutala e piuttosto avvilito, non le dà nemmeno il tempo di parlare dicendo che sposteranno i furgoni solo dopo aver terminato le scene dato che hanno tutte le autorizzazioni del caso e che deve quindi pazientare. Finalmente spiegato l’equivoco, tra scuse infinite, si inizia a girare.
“Ci siamo divertite tantissimo; ci guardavamo l’un l’altra e ridevamo di gusto per abbigliamento, trucco e pettinatura in cui non ci riconoscevamo affatto. Alcuni del cast ci hanno fotografate prendendoci in giro e ridendo con noi. Leggendo quel copione mi sono divertita moltissimo e ho girato la scena con gioia. I travestimenti mi piacciono molto. Anche se per lavoro indosso un pantalone che mi fa apparire grassa o goffa non me ne preoccupo, anzi, la cosa mi solletica. Mi piace, a volte, comprare oggetti di dubbio gusto, specialmente se è una giornata no, perché mi mettono allegria. Seguo l’estro del momento e magari non userò mai l’oggetto acquistato, l’importante è che mi serva a stare bene e a distrarmi. Ad esempio la cover giallo oro del cellulare usato in quella scena era proprio la mia; c’era un telefonino di servizio, ma il regista ha preferito usare il mio che era eccessivo e perfetto per la scena, così come la borsa esageratamente poco discreta”.
Torniamo serie ed affrontiamo l’argomento teatro che ci sta particolarmente a cuore. Le chiediamo, da sociologa qual è, come si stia evolvendo il ruolo sociale del teatro, nato come forma di cultura di massa, diventato poi intrattenimento quasi d’élite, per cambiare ulteriormente negli ultimi anni, quando si assiste ad un incoraggiante approcciarsi del pubblico giovanile a questo mondo così affascinante.
“Molti registi, specialmente napoletani, stanno operando delle sperimentazioni teatrali per innovare e rimodellare le opere attualizzandole al di là dei soliti canoni classici. Questa operazione fa leva sia sugli adulti che assistono a rappresentazioni che rimandano a quelle tradizionali rivisitate in chiave moderna, sia sui giovani che assorbono i canoni del passato attraverso pièce che parlano la loro lingua. Si tratta di un pubblico finalmente pronto a recepire consapevolmente delle novità non rinnegando affatto la tradizione, piuttosto scoprendo, con piacere, che è possibile anche andare oltre. Quando ciò viene fatto con professionalità e qualità e con sana curiosità di base l’esperimento riesce perfettamente”.
Ci ritroviamo perfettamente d’accordo con Antonella, dato che quest’estate abbiamo seguito con particolare interesse proprio una rassegna teatrale partenopea, Classico Contemporaneo, incentrata su una rilettura contemporanea dei classici, per dare appunto modernità ed ulteriore immortalità al teatro.
“Con Lello interpretavo un classico della commedia dell’arte, una donna vestita da uomo che solo alla fine si rivelerà donna; essere credibile in situazioni come questa è una gran prova attoriale. È stato bellissimo lavorare con lui, un’armonia totale. Poi l’incontro con Lucio Allocca proprio al Mercadante, altra esperienza indimenticabile. Quando hai a che fare con chi riesce a trasmetterti non solo la passione per il teatro, ma anche i giusti mezzi per approcciarti a quest’arte, è meraviglioso. Lello e Lucio sono due grandissimi Maestri: se intravedono delle potenzialità artistiche guidano costantemente l’allievo per metterlo in grado di far emergere la sua professionalità, non imponendo affatto la propria visione, nel pieno rispetto dell’attore, della sua soggettività, non perdendo però di vista l’ottica della regia, che parte da un quadro completo dell’opera, dall’integrità e fedeltà del testo. Sono stati degli esperimenti fantastici, che mi hanno fatto crescere molto. Con Lucio poi inscenavamo i matinée, gli spettacoli di domenica mattina, e spesso il pubblico era formato da famiglie con bambini ed era molto emozionante. La fortuna di questi bimbi era proprio il fatto che i genitori li indirizzassero alla cultura, al teatro in particolare, permettendo loro di crescere in un’ottica di ampio respiro”.
Quale è stato il suo primo approccio al teatro, chiediamo. Ha iniziato per caso, racconta, incuriosita dalla cugina che le parlava di un laboratorio teatrale a Palma Campania diretto da Gabriella Maiello. Poi ha iniziato ad assistere alle rappresentazioni con occhio critico, vedendo tantissimi spettacoli. Quindi l’incontro con Alberto Sordi all’università di Salerno, dove lui stava per ricevere la Laurea Honoris Causa. Fa di tutto per incrociarlo e dopo tre ore di attesa, ormai sfiduciata, si reca all’ascensore per andar via. Ma quando la porta si spalanca, si trova di fronte il celeberrimo attore romano. Emozionatissima gli spiega che è lì per conoscere proprio lui. La reazione di Sordi le dà una grossa carica; le sorride compiaciuto, consigliandole di sfruttare la sua tenacia per conseguire i suoi obiettivi. Quel brevissimo incontro, giusto un paio di battute rubate, ancor prima che la stampa lo intervistasse, ha alimentato, dunque, un’inesauribile grinta.
“La prima cosa che ho capito è che bisogna sempre specializzarsi, proprio per questo ho poi concluso la scuola del Mercadante all’inizio di quest’anno, sotto la direzione artistica di Luca De Filippo. Si è trattato di un’esperienza significativa, improntata sulla commedia dell’arte. La disputa con De Filippo padre è nota. Eduardo che rompe la continuità con la tradizione, imponendo un teatro neorealista. Luca, invece, è ripartito dal recupero della maschera, della commedia dell’arte, facendo sperimentazioni bellissime con talenti quali Bonavera, Manetta e tantissimi altri”.
Paolo Ferrari, persona altrettanto squisita, è stato per lei ugualmente importante, un maestro che le ha concesso per alcune ore una formazione specifica, ribadendo che per fare questo mestiere occorre mettersi in discussione sempre, prima come persona, poi come professionista, non ancorarsi mai a delle certezze, impegnandosi in una ricerca continua, fatta di studio ed approfondimento.
“A volte esagero in senso positivo, non essendo mai soddisfatta fino in fondo dei risultati ottenuti, proprio per provare a conseguirne di migliori. Ogni step raggiunto lo vedo come punto d’inizio per la successiva avventura. Non riesco a stare ferma, devo sempre provare a dare il massimo. Finisco per stancarmi anche molto, ma non mi accontento”.
Un progetto particolare che vorrebbe fare se potesse incontrare un regista o attore specifico? Con molta umiltà dice di temere di ‘sparare grosso’, risultando così troppo ambiziosa, ma la sua filosofia è puntare al massimo per cercare di ottenere almeno un risultato discreto. Tanti i sogni, magari un cabaret, un progetto con famosi registi partenopei che sta prendendo corpo in questo periodo, ma per scaramanzia preferisce, al momento, non sbilanciarsi.
Ci parla quindi del suo amore incondizionato per Napoli.
“Il centro storico, i Quartieri Spagnoli, Spaccanapoli, sono per me la parte più vera della città. Ho incontrato qui Giancarlo Magalli e mi ha raccontato di essersi innamorato di Napoli proprio passeggiando nel centro storico. Ha aggiunto che era qui il 15 agosto e un signore, riconosciutolo dal balcone, per festeggiare l’incontro, ha acceso appositamente per lui una batteria di fuochi d’artificio. Questa è Napoli! Anche quando mi ferma la gente per salutarmi, sento questo senso di riconoscimento nei personaggi UPAS più semplici e normali. Questo credo sia uno dei successi della soap.
Adoro il fatto che UPAS mostri le eccellenze di Napoli che noi partenopei non siamo in grado di valorizzare come dovremmo. Spesso molte persone non campane che ho incontrato dicono di essersi innamorate della città proprio vedendo la social soap. Il fatto che racconti storie normali e credibili che potrebbero accadere ad ognuno di noi, problemi banali, così come questioni decisamente più spinose, dà modo di attuare un processo di riconoscimento, di compartecipazione e di empatia”.
Racconta di aver preso lezioni di canto, proprio nell’ottica della recitazione e data la forte passione per l’Oriente, di seguire un corso di danza del ventre che le piace tantissimo. “Amo le danze in generale, anche le nostre, la taranta, la pizzica. Mi si trova spesso d’estate in parecchie sagre popolari dove non manco di ballare trascinando gli altri. Gli amici mi prendono in giro perché in borsa ho sempre le nacchere, non si sa mai dove puoi trovarti e possono sempre tornarmi utili se capito in una festa. Sono fortemente attaccata alle tradizioni; una parte importante del teatro e della musica hanno proprio avuto origini a Napoli e non dobbiamo dimenticarlo, piuttosto valorizzarlo con orgoglio. Napoli può fare tanto, deve solo credere in se stessa e potenziare le sue eccellenze, a dispetto di ciò che c’è di negativo. Napoli è unica, al di là degli errori, anche nel modo di relazionarsi c’è un accorciare subito le distanze, come forse non accade in nessun altro posto”.
Ed ecco che esce fuori la sua anima da sociologa: “Spesso ci chiudiamo troppo nelle tecnologie, siamo noi a dover usare lo strumento tecnologico, telefonino, pc o social che sia, non diventarne vittime. Spero riusciremo a trovare un giusto e sano equilibrio con la tecnologia, in modo da non trascurare il calore umano, quello che permette di socializzare e comunicare in modo corretto”.
A questo punto ci interrompe la voce dell’altoparlante che annuncia agli attori UPAS che è ora di tornare in scena, altrimenti avremmo continuato all’infinito. Ci salutiamo con affetto sincero, ripromettendoci di vederci quanto prima, ci siamo piaciute troppo per rischiare di perderci di vista.
Autore Lorenza Iuliano
Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.