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Intervista esclusiva a Fiorenza Tessari

Fiorenza Tessari


Mamma prima ancora che artista

È un bel po’ di tempo che ci rincorriamo con la bravissima attrice Fiorenza Tessari, una serie di impegni reciproci ci hanno impedito di organizzarci prima.
Disponibile, simpaticissima, dolce e solare, l’artista capitolina ci svela molto di sé in una piacevolissima chiacchierata in cui conversiamo come se ci conoscessimo da sempre.

L’occasione è data dall’imminente uscita, il 23 marzo, nelle principali sale italiane del film ‘Slam – Tutto per una ragazza’ del regista romano Andrea Molaioli, tratto dall’omonimo bestseller di Nick Hornby, con Ludovico Tersigni, Barbara Ramella, Jasmine Trinca, Luca Marinelli, Fiorenza Tessari, Pietro Ragusa, Gianluca Broccatelli, Fausto Maria Sciarappa e Tony Hawk, voce narrante, idolo indiscusso degli skater di tutto il mondo.

Il titolo originale del romanzo di formazione del 2007, ‘Slam’, si riferisce ad una delle “mosse” utilizzate appunto da chi pratica skateboard, una sorta di metafora di ciò che accade al protagonista, Sam, un sedicenne che si trova improvvisamente di fronte alla notizia della gravidanza della sua fidanzatina Alice.

Un film attualissimo, spiega Fiorenza, che interpreta proprio la madre di Alice, un racconto di amore, sogni, rischi, componenti inevitabili della vita di tutti noi. Partiamo proprio dal suo personaggio, per capire quanto sia rimasto fedele a quello del testo di Nick Hornby, nella trasposizione da un contesto sociale come quello anglosassone a quello italiano, o meglio, romano.

Ho letto il libro per la prima volta nel 2007 perché, da grande fan di Nick Hornby, non appena viene pubblicato un suo testo corro a comprarlo e, ovviamente, gli ho ridato un’occhiata prima di iniziare a girare.

Il film mi sembra molto fedele al testo originale, ovviamente considerando le dovute differenze di ambientazione.

Necessariamente, rispetto ad uno scritto, una pellicola deve rientrare in una certa tempistica ed occorre operare delle scelte e dei tagli per ottenere la migliore resa possibile. In questo senso, il regista, Andrea Molaioli, in fase di montaggio, si è giustamente concentrato molto sul rapporto dei giovani.

Relativamente al mio personaggio, avevamo girato delle scene che mostravano il frantumarsi del suo rapporto di coppia con il marito; sequenze che sono state poi opportunamente eliminate dato che avrebbero portato lo spettatore in luoghi che, in quel momento, non erano interessanti nell’economia del racconto.

Alcune parti sono state asciugate e snellite, cosa che accade, fondamentalmente, ogni qualvolta si arriva a concretizzare, altrimenti si rischia di fare uno di quei lunghi e meravigliosi film con scene però non del tutto funzionali alla narrazione. I ritmi di ‘Slam’ sono invece molto movimentati e non avrebbe avuto senso allentarli.

Nel vedere il film poi, non si sente affatto la mancanza dell’approfondimento dei ruoli secondari dei genitori, a parte quello interpretato da Jasmine Trinca, Antonella, la madre di Sam, il protagonista principale attorno a cui tutta la storia ruota.

La scenografia originale è ambientata in Inghilterra. Come il regista, co-sceneggiatore con Francesco Bruni e Ludovica Rampoldi, è riuscito ad adattarla alla realtà italiana, ambientandolo a Roma?

C’è riuscito alla perfezione, perché è il racconto di una storia universale, applicabile in ogni parte del mondo. Se si pensa poi che lo skate è nato proprio in America e non certo nell’Inghilterra descritta nel libro di Hornby, si capisce facilmente come, si voglia o no, il mito americano sia onnipresente.

Data la tematica affrontata, skateboarder e giovani alle prese con i primi turbamenti amorosi e con un figlio in arrivo, sembrerebbe un film rivolto ad un pubblico prevalentemente adolescente. È veramente ‘solo’ quello il target a cui si rivolge?

Assolutamente no. La forza di ‘Slam’ è nella sua trasversalità. Si sente parlare di giovani e di skate e, automaticamente, si pensa ad un film solo per adolescenti, invece è adatto a tutte le età.

All’anteprima c’erano con me degli amici che pensavano di assistere ad un film rivolto ad un target ristretto, ma sono rimasti piacevolmente colpiti dal fatto che sia molto divertente e godibilissimo anche per i grandi perché ci si ritrova come genitori.
È una pellicola che ti fa passare un’ora e mezza in gradevolezza, si sorride e si ride molto.

Sono veramente molto contenta del risultato, cosa insolita per un’attrice. Generalmente, da ipercritica, ho un giudizio sempre troppo viziato e per questo tendo a non rivedere mai i miei lavori. Stavolta, contagiata dall’ottimo clima instaurato con tutto il cast e la produzione, in piena sinergia con i deliziosi colleghi di tutte le età, con cui ho instaurato una bella amicizia, e per la stima e l’ammirazione che nutro per i lavori di Andrea Molaioli, mi sono decisa ad andare, ma più per una questione affettiva che per la curiosità di scoprire com’era.

Anzi, ero piuttosto in ansia ed agitata. Invece, sono stata contenta di averlo visto, mi è piaciuto molto. La seconda volta che ho assistito alla proiezione ero molto più rilassata e me lo sono goduto non guardandolo con l’occhio critico dell’attrice che nel soffermarsi su inquadrature, pettinature, movenze, toni di voce, tagli di luce si concentra sul particolare perdendosi il contesto generale, ma facendo finalmente da spettatrice in grado, così, di dare un parere complessivo.

Da bambina, quando vedevo i film con mio padre – il regista, attore e sceneggiatore Duccio Tessari – mi stupivo di come potesse anticipare sempre ogni virgola narrativa e di come fosse puntiglioso nei suoi giudizi. Oggi, invece, da attrice, capisco e condivido il suo punto di vista.

Quando con amici guardo un film in televisione, mi dicono che, con i miei commenti, li disturbo, anticipando scene e battute. Se invece siamo al cinema, luogo sacro per me, sono muta, in religioso silenzio, perché non sopporto la maleducazione imperante di chi, entrato in una sala, arriva in ritardo, risponde al cellulare, chiacchiera con il vicino, chatta sui social pur di dire al mondo dov’è in ogni istante. Per questo, se posso, evito di andare al cinema nel weekend quando c’è più gente, che, inevitabilmente, mi distrae dalla visione.

Se ti trovassi, da madre, a vivere una situazione come quella descritta nel film, come ti comporteresti? Le trasmetteresti l’ansia per le future responsabilità o la gioia per la nuova vita che attende?

Indubbiamente dipende dall’età. Ho due figlie, una di ventotto anni, con una relazione stabile, l’altra di venti, anche lei fidanzata, ma con un futuro ancora non ben delineato. Se accadesse alla prima, sarei, ovviamente, piena di timori, ma li terrei per me, condividendo con lei solo la grande gioia. Se succedesse alla seconda, invece, non ne sarei molto felice, l’ansia prenderebbe il sopravvento, sia per l’età che per il fatto che è ancora incerta sulla strada da intraprendere.

Io sono stata una madre molto giovane, ma ero sposata già da un anno, quindi avevamo già scelto di prenderci delle responsabilità e, prima o poi, sapevamo che avremmo allargato la famiglia.

Oggi posso dire che sono entusiasta di averlo fatto a vent’anni e che questo sia successo ventotto anni fa, perché, per come sono cambiate velocissimamente tutte le cose negli ultimi anni, ora, prima di mettere al mondo un figlio ci penserei all’infinito e forse non lo consiglierei nemmeno, a meno di avere alle spalle una situazione economica forte, un futuro, una casa, qualcosa che ti faccia sentire superprotetta, altrimenti per una giovane è un suicidio.

Questo film sembrerebbe suggerire, a tratti, che forse la vita andrebbe affrontata con un po’ di sana incoscienza e con un po’ più di leggerezza. Sbaglio?

È assolutamente questo il messaggio che ‘Slam’ lancia e, personalmente, credo anche di esserci riuscita. Qualcuno, ogni tanto, mi rimprovera del fatto che per me la leggerezza venga prima di tutto; leggerezza che non vuol dire affatto superficialità, piuttosto non fasciarsi la testa prima che una situazione si verifichi, non farsi levare il sonno prima di sapere esattamente come stiano le cose, non gridare “al lupo al lupo” prima di avere davvero la certezza che quello sia davvero un ostacolo insuperabile. Ma, soprattutto, sapere che i problemi hanno sempre una risoluzione, bisogna soltanto mettersi un attimo d’impegno.

In ‘Slam’ i ragazzi sono anche fortunati perché possono contare sui parenti e ciò li aiuta a prendere tutto con più serenità. Alice ha una famiglia molto borghese che la accoglie in casa con il neonato, assumendosi, da genitori prima e da nonni poi, una bella responsabilità.
La famiglia di lui, invece, è meno abbiente e meno classica. Sam ha un padre squinternato, ma una madre molto presente. La nascita del piccolo rende, però, tutti felici.

La realtà, invece, può essere ben diversa, come dicevamo prima. Non tutti sono così fortunati da poter contare su una famiglia solida e comprensiva. L’arrivo improvviso di un bimbo in una coppia di adolescenti, a seconda della situazione specifica, può essere una benedizione o un evento destabilizzante. Personalmente, sono profondamente convinta che i figli non aiutino affatto a legare una coppia in crisi. Semmai, è il momento in cui il rapporto si distrugge definitivamente.

Chi decide di non avere figli, fa una scelta precisa. Sicuramente si gode altre situazioni, ma purtroppo se ne lascia sfuggire tantissime altre. Io ho perso, sicuramente, una parte della mia giovinezza, perché da mamma ventenne ho rinunciato, ad esempio, a partecipare ad un certo tipo di eventi con i coetanei proprio per non lasciarle sole, optando per passeggiate al parco e vacanze con amici più grandi con figli.

Sono felicissima di aver affrontato allora la maternità avevo l’età giusta, la pazienza e l’entusiasmo che adesso non avrei, o forse, lo penso solo perché ci sono già passata.

La madre di Sam, trentaduenne, appresa la notizia della gravidanza, lo invita a non fare il suo stesso errore diventando un giovanissimo genitore; la madre di Alice, invece, come reagisce?

Il fatto che i genitori di Sam gli dicano che può sottrarsi a questa paternità scappando, in realtà, serve a sottolineare il forte senso di responsabilità del ragazzo, che, in fin dei conti, è molto più maturo di loro.

La madre di Alice è moralmente integra. All’inizio lei e il marito sono comprensibilmente spaventati e, da borghesi, sono preoccupati del fatto che Sam non abbia un futuro solido e una stabilità lavorativa, mentre per la figlia, come spesso accade, hanno già programmato ogni aspetto della vita: l’università, la laurea e il lavoro sicuro nello studio legale del papà.

Più che tener conto delle sue esigenze e dei suoi sogni, tendono a far prevalere le loro decisioni sulle sue, nascondendosi dietro la scusa che loro, da adulti, sanno cosa è meglio per lei.

Personalmente, invece, agevolata dalla giovane età e da quella leggerezza di cui parlavamo prima, ho affrontato la maternità con energia ed entusiasmo, seguendole, crescendo con loro, accompagnandole, ad esempio, al cinema a vedere un cartone animato divertendomi anch’io.

Le ho sempre incoraggiate a seguire la loro strada, assecondando passioni e desideri, anche a costo di sacrifici economici. La loro felicità per me conta più di tutto.
I figli ti mantengono giovane e, per me, sono il regalo migliore che la vita possa donarti.

Quanto hai dovuto adattare la tua personalità a quella del tuo personaggio?

La parte migliore della mia professione consiste nel lavoro su se stessi, che è possibile solo quando ci si destreggia con ruoli diametralmente opposti al proprio carattere, ai propri colori; diversamente, non si fa altro che prendere in prestito un lato di sé per inserirlo nel personaggio, cosa oggettivamente più facile ma che trovo meno stimolante. Cimentarmi in questa sfida, invece, è stato divertentissimo.

Sebbene conosca perfettamente l’ambiente descritto, dato che provengo da una famiglia borghese che ho lasciato a diciott’anni per ‘ricrearmi’, non ho assolutamente alcun punto di contatto con il tipo di donna che dovevo rappresentare e, per capire come approcciarmi a lei, ho iniziato a guardarmi intorno, prendendo ispirazione da una carissima amica.
Penso accada qualcosa di simile anche per chi ha il dono della scrittura, dote che avrei voluto avere nella vita. Inventare, ma soprattutto fare ricerca, su di sé e sul mondo; credo sia quello il viaggio migliore.

Teatro non ne fai?

Non l’ho fatto per una scelta precisa. Sono stata cresciuta dalla tata perché mia madre – l’attrice Lorella De Luca – così come mio padre, lavorava sempre e ne ho sofferto. Per questo ho voluto essere un genitore più presente, soprattutto nella loro infanzia. Cascasse il mondo, la mattina, alle sette, ero in piedi a preparare la colazione per le mie figlie per poi portarle a scuola. La maternità e il teatro, poi, non andavano proprio a braccetto.

Forse avrò fatto un errore, anche se non lo considero come tale; occorre fare una scelta e capire da che parte stare. Comprendo le mie colleghe che decidono di non avere figli, perché quello dell’attore è un lavoro che assorbe tanto emotivamente e mentalmente e, soprattutto, per riuscire, devi dare il massimo, perché c’è una forte concorrenza.

Se avessi dato priorità alla carriera, mi sarei persa, come in effetti è successo ai miei genitori, dei pezzi importanti per strada. E siccome quei ‘pezzetti’ erano le mie figlie, per me fondamentali, non ho avuto dubbi. Ovviamente è una decisione che ho pagato nella vita lavorativa, ma, da madre, è stata la migliore che potessi prendere.

Quando Umberto Orsini mi ha offerto un’opportunità meravigliosa in teatro, la mia seconda figlia era ancora piccola. Ero terrorizzata; non volevo rischiare di dargli una delusione; non sentendomi pronta sarebbe stato da irresponsabili accettare.

Se oggi avessi la possibilità di recitare in teatro su Roma ci farei sicuramente un pensierino.

Chissà di non vederla presto anche sul palcoscenico.
Per il momento, ce la godiamo, dal 23 marzo al cinema in ‘Slam – Tutto per una ragazza’.

Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.

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