Il compositore e pianista di fama mondiale ci racconta il suo Blind Date
Martedì 14 febbraio, ore 21:00, presso il Teatro Bellini, via Conte di Ruvo, 14, Napoli, si rinnova la magia del Blind Date del pianista, compositore e innovatore musicale Cesare Picco, quel “viaggio sensoriale nel buio più assoluto, per ascoltare la musica con ‘altri occhi’”.
Un concerto portato nei teatri italiani da CBM Italia Onlus, Christian Blind Mission, organizzazione umanitaria internazionale d’ispirazione cristiana, con operatori laici, che ha come missione “restituire la luce” a milioni di bambini ciechi o con disabilità visiva, ridando loro dignità, speranza, futuro.
Un’esperienza unica, sublime, totalizzante che il Maestro di fama internazionale regala al pubblico, cui abbiamo avuto l’onore di assistere già due anni fa, rimanendo letteralmente ipnotizzati dalla dolcezza ed intensità dell’esecuzione, capace di arrivare dritta al cuore, emozionare come mai avremmo osato immaginare.
Il Blind Date, ad ingresso gratuito, che registra anche stavolta il sold-out da settimane, sarà presentato da Carolina Di Domenico, conduttrice, attrice ed ambasciatrice dell’ONG.
Il pubblico potrà sostenere l’evento di beneficenza con donazioni a favore dei progetti di lotta alla cecità, in linea con il motto di CMB “Insieme per fare di più”.
Ci facciamo raccontare proprio dal Maestro Picco, Artista di fama internazionale, questo meraviglioso concerto al buio creato nel 2009 e che dal 2012 sostiene l’ONG di cui è ambasciatore, una meravigliosa esecuzione, ogni volta unica, originale, dominata dall’improvvisazione.
Nelle sue esibizioni la musica è centrale così da diventare IL TUTTO estraniando Artista ed ascoltatore dall’ambiente circostante, per arrivare ad un contatto vero ed intimo con se stessi. In questo il ‘senso’, quello che la cultura dell’Estremo Oriente definisce il ‘Ma’, ovvero lo spazio che esiste tra due persone, tra due cose, viene quasi ad annullarsi. Quanto la cultura orientale influenza la sua interiorità e le sue creazioni?
È stato un processo lungo ed approfondito. Diciamo che negli ultimi 10, 15 anni ho avuto la possibilità di conoscere, studiare ed incontrare la civiltà dell’Estremo Oriente, in particolare il Giappone. È una realtà con la quale ho trovato dei grandi punti di contatto e, oggettivamente, dopo tutti questi anni posso dire che i punti cardine di questa cultura sono entrati in maniera molto decisa nel mio lavoro. Sono un musicista che fa di tutto per mettere il suono al centro del suo messaggio.
Ogni volta che mi trovo davanti al pianoforte cerco di entrare prima di tutto in contatto con me stesso.
E questo è dovuto anche al fatto che sono un improvvisatore, cioè che la musica che esce ad ogni concerto, in particolar modo nel Blind Date, è una musica che nasce in quel momento. È un processo meraviglioso. Ci vuole più di una vita per conoscerlo appieno.
Il Blind Date in qualche modo sembra ricordare il ciclo della vita, il passaggio dalla luce all’ombra per tornare poi alla luce, non solo in senso reale e fisico quanto misterico, la consapevolezza, il disvelamento di nuove realtà, la rinascita. Sbaglio?
Fisicamente siamo tutti coinvolti nel concerto nelle modalità che lei ha riassunto, luce, buio e luce, in un viaggio in cui ognuno ha il suo percorso interiore. In questi otto anni di concerti al buio ho capito grandi cose, grazie al pubblico e all’esperienza. All’inizio ero molto più attratto dall’arrivo verso il buio, ora, grazie soprattutto alla mia vicinanza con CBM Italia sono molto più predisposto al ‘ritorno alla luce’, a dare quindi il giusto peso a questa rinascita. Il buio è necessario per tornare alla vita, per riscoprire la luce.
Nel suo volume “La musica nel buio” spiega il Blind Date quasi come “un percorso iniziatico, non solo musicale, perché quel bianco che progressivamente manca all’appello del nostro senso è forse in abito di luce divergente, è appunto dentro al pianista, ma contemporaneamente, richiama una presenza dell’ascoltatore che consente. In altre parole, è la luce della comunicazione emozionale”.
Cosa prova lei nel trasferire all’ascoltatore il gioco di sensi del Blind Date? Su cosa focalizza la sua attenzione?
Durante il concerto non mi è dato concedermi nulla se non la massima concentrazione, cercare il vuoto dentro di me per riuscire a toccare quella che chiamo ‘la sorgente dell’ascolto’ che abbiamo tutti.
Sono ‘costretto’ a prendermi sulle spalle un intero teatro e a guidarlo con la mia musica e questo è straordinario, meraviglioso.
Poi arriva tangibile dentro di me un momento in cui mi accorgo che io e gli uditori siamo veramente un unico nucleo che viaggia assieme. L’onda di energia che mi arriva dal pubblico è incredibilmente forte e complicata rispetto ad un concerto normale dove chi è sul palco già avverte la tensione che viene dalla sala.
In questo caso è un’onda travolgente, dirompente. Siamo proprio tutti guidati assieme da questo ignoto che poi, in realtà, ignoto non è, ma è l’immaginario che ognuno di noi si crea in quel preciso momento. Ed è una bellissima sensazione.
In uno splendido passaggio del suo libro spiega il Blind Date, come una ricerca continua di un senso attraverso i sensi, quello estensivo prima, quello intensivo poi, che coincide con la caduta della luce. E, quando finalmente lo si trova ed interiorizza, si può far ripartire il processo inverso fino ad arrivare all”alba sensoriale’ tornando in sala alla stessa intensità di luce che ha dato il via al concerto. Qual è il suo ‘senso’ sublime?
Mentre nei concerti normali si utilizzano altri codici, il Blind Date gioca con tutti i sensi, questo vale per me come per il pubblico. Dopo tutti questi anni posso dire che non solo non ho inventato niente di nuovo, ma anzi, forse sto semplicemente cercando di ‘reimparare’ a stare insieme, a vivere la musica in maniera diversa, a suonare forse in un modo che avevo dimenticato.
Credo molto nella condivisione e in ciò che oggettivamente descrive, a maggior ragione se è guidata dalla musica e da una creazione che si realizza insieme al pubblico che recepisce la ‘sua’ musica.
Il sublime potrebbe essere dato proprio dalla consapevolezza di essere legati l’uno all’altro in una maniera inaspettata, completa. Il mio ‘senso sublime’ potrebbe essere individuato nella ‘condivisione’, forse potrebbe essere il ‘settimo senso’, se vogliamo chiamarlo così.
In quest’era mediatica dove il 90% di tutto lo fa l’immagine, io non ho bisogno di essere visto dal pubblico, non ho bisogno di vederlo, ma di ‘sentirlo’ e di condividere; ecco, forse è questo il ‘mio sublime’.
Il Blind Date è il massimo esempio di quell’evento intercorporeo che, nato dal tocco con i tasti, coinvolge la nostra affettività, coesistenza di significato tra linguaggi diversi, senso estensivo che si amplifica per arrivare a toccare la mente ed il cuore degli spettatori e si tramuta in senso intensivo. Ogni esibizione è diversa dall’altra per la differente sensazione che decide di far arrivare all’uditore attraverso l’improvvisazione e l’ecolocalizzazione. Quando e in base a cosa decide quale sia la sensazione che vuole trasmettere al pubblico?
Sono dei parametri all’apparenza molto elementari, ma fondamentali nel nostro lavoro, che, forse, il più delle volte, il pubblico non è mai nemmeno portato a valutare. Innanzitutto, i pianisti incontrano lo strumento su cui si esibiranno in genere sempre due o tre ore prima del concerto e questa è già una determinante perché ogni pianoforte è veramente una cosa a sé e, quindi, ha una voce, un timbro, un carattere proprio, unico. Può essere timido così come estroverso. Sta a noi, in pochissimi minuti, riuscire a capire che cosa poterci permettere di fare con quello strumento specifico.
Poi c’è lo spazio da valutare, in questo caso l’architettura del teatro, come mi arriva la musica sul palco, come è la risposta acustica della sala. E provi ad immaginartelo pieno di persone, cosa che, chiaramente, cambia il suono.
E, forse l’elemento più importante, il posto in cui il concerto si tiene, la sua atmosfera, il suo respiro. Compatibilmente con gli impegni, mi piace moltissimo riuscire ad arrivare un po’ prima nella città in cui mi esibisco, magari un giorno prima, perché il fatto semplicemente di camminare, ad esempio a Napoli, e respirare ciò che succede tra quelle architetture, tra quei muri, sono fattori che innegabilmente entreranno poi nella musica.
Tutti questi elementi influiscono innegabilmente nell’esibizione, sono aspetti incredibilmente importanti soprattutto quando devi improvvisare totalmente.
Tutto nasce veramente dalle prime note mentre cerchi, in tempo reale, di scrivere un romanzo assieme agli uditori. Devi riuscire ad estraniarti da ciò che potrebbe influenzare l’interpretazione, concentrarti totalmente, mettere da parte te stesso senza considerare ciò che sta accadendo in sala.
Ogni strumento, diversissimo per tonalità e risonanza, è in qualche modo paragonabile ad un singolo essere umano. Quale pianoforte userà?
A Napoli, non vorrei sbagliarmi, suonerò, con grandissimo piacere, il pianoforte di due anni fa con cui mi sono trovato in grande sintonia, un Yamaha CFX, curato e preparato da Aldo Santarpino, grande artista della tastiera, che come tutti i bravi addetti alla messa a punto dello strumento, studia attentamente il pianista, la sua posizione, lo sgabello, l’utilizzo dei pedali, il distendersi per controllare l’acustica, l’abbassare la testa a seconda del momento.
Il fatto che i pianoforti siano tutti diversi dipende anche da come vengono curati, intonati, accordati.
Quando sono belli sono un po’ come il buon vino, nel senso che quando incominciano a passare gli anni migliorano. E, quindi, martedì sono più che felice di rincontrare sul palco un ‘amico’.
Mentre lei ha sperimentato in modo naturale l’esibizione al buio, i suoi collaboratori hanno dovuto adattarsi a svolgere il loro lavoro nell’oscurità, cosa decisamente non facile. Che rapporto si è instaurato con loro?
Si è portati a pensare che in un concerto ci siano un pianista, uno strumento, delle luci e nient’altro. Invece, quello che ho realizzato sempre di più in questi anni, che è motivo di enorme orgoglio per me, è far capire come si debba arrivare preparati al Blind Date.
Innanzitutto si parla di rapporto di fiducia totale con tutti i collaboratori, perché la qualità della mia esibizione dipende e vive grazie alla perfezione con cui tutta la macchina della produzione ha lavorato per me prima che io arrivi in scena per poter godere di un’assenza totale di luce.Il mio concetto di buio assoluto è sempre molto labile per chi non ha mai assistito a questo tipo di concerto. Per esempio, se in un teatro dovessi trovare anche solo delle piccole luci, dei led o delle minime ombre che possono arrivare dal foyer, da qualche camerino, ecco, questa non sarebbe la perfezione, non sarebbe il buio assoluto di cui necessito e il pubblico stesso ne sarebbe infastidito.
Per preparare il Blind Date, la produzione fa dei sopralluoghi, una messa in sicurezza del teatro, copre qualunque tipo di sorgente luminosa per formare già la scatola di questa oscurità completa che mi serve, che corrisponde a quello che esiste solo negli abissi marini o nelle caverne.Poi ci sono due persone straordinarie che sono come me dal primo Blind Date del 2009.
Uno è Daniele Valentini, il mio tecnico del suono, che, conoscendomi in maniera molto profonda, fa in modo che al pubblico arrivi il suono del pianoforte così come lo intendo io e così come è la ‘mia’ musica, la musica di Cesare Picco. Ha dovuto adattarsi a muovere le mani sul mixer al buio, imparare un linguaggio, un alfabeto suo personale, provare questa esperienza e sentirsi sempre di più a suo agio qualunque cosa possa capitare perché il suono può cambiare, anche lui può variarlo e questo avviene sempre e solo al buio.
L’altra punta del triangolo è Matteo Mattioli, che ha marcato il segnaluce fin dalla prima volta e anche lui partecipa alla programmazione, dalla luce iniziale all’arrivo al buio fino all”alba sensoriale’, il ritorno alla stessa intensità luminosa che ha caratterizzato l’inizio del concerto. È lui che è responsabile di tutto ciò che il pubblico può vedere e, chiaramente, anche lui lavora al buio.
Non da ultimo, la squadra si conclude con quei meravigliosi ragazzi di CBM Italia.
Poi, di volta in volta, le maestranze del servizio d’ordine dei vari teatri che mi assicurano che tutto fili liscio.
So che mi devo fidare di tutte queste persone che devono fare al meglio il loro lavoro per accogliere il pubblico nell’oscurità che serve a noi tutti. Si può facilmente capire come questo non sia affatto un concerto semplice da organizzare.
Improvvisare su un pianoforte al buio significa rendere partecipe, ‘concreativo’ e testimone lo spettatore, dato che il suono è evocazione di un senso che scende su chi assiste allo spettacolo. La presenza dello spettatore come e in quale misura influisce sull’esecuzione; se non ci fosse sarebbe la stessa?
Probabilmente no. Sarebbe forse la stessa solo all’inizio. Quando comincio a suonare sono oggettivamente solo ed è una condizione assoluta, da ricercare con tutte le mie forze.
Ci sono io con ottantotto tasti che scrivo accordi in tempo reale, con le mani che eseguono sulla tastiera un repertorio che non conoscevano prima, che sta nascendo in quel momento e che non sarà mai uguale a nessun altro.
Man mano il pubblico influisce nella condizione del buio perché mi trasmette un’energia veramente palpabile. È il famoso senso della condivisione di cui parlavamo prima.
E quando si arriva a quel momento, sicuramente, sono spronato a dare di più.
Il suo impegno nel sociale è lodevole, da anni è ambasciatore per l’Italia di CBM, ONG internazionale che si occupa della cura della cecità evitabile nel mondo. Come nasce la collaborazione con questa Onlus in cui il progetto artistico si sposa così bene con solidarietà ed umanità?
Prima di conoscere CBM Italia Onlus non sapevo che ci potesse essere una cecità evitabile, curabile, sembra quasi un paradosso, ma, se si agisce tempestivamente, è possibile ridare la vista a chi è nato con disturbi visivi grazie ad un’operazione.
Gli straordinari angeli di questa organizzazione mi hanno avvicinato, in maniera semplicissima, alla fine di un mio concerto cominciando a parlare della loro splendida attività. Ho avuto modo di conoscere il loro lavoro, la loro serietà. Questo progetto è stato bello, lungo, ci ha portato anche a fare un grande viaggio assieme, in India, per visitare alcuni loro centri. Nelle zone più impervie del mondo riescono a cambiare veramente la vita di migliaia di bambini e, di conseguenza, delle loro famiglie, perché ciò che intendiamo per cecità evitabile è proprio questo.
Prese in tempo, una serie di patologie oculari, così come succederebbe da noi, sono curabili nel giro di pochissimo, ma in quelle condizioni di estrema povertà e di impossibilità di raggiungere cure, sia per problemi economici che logistici, il tuo destino è segnato, sei praticamente marchiato a vita, non hai modo di condurre una vita normale e rischi di morire ogni giorno perché non percepisci i pericoli dell’ambiente circostante.La magia, il colpo di fulmine tra me e CBM è stato questo, capire che il mio ritornare alla luce nel Blind Date aveva un contraltare nella vita reale. Ed è ciò che fa CBM, riporta la vista e cambia la percezione del mondo di tutti questi bambini, li fa tornare ad essere autonomi al 100% per affrontare la vita come tutti noi.
Quando il concerto ha inizio e si sprigionano le prime note, come scenario cominciano a scorrere le immagini visionarie di Fornasetti Studio, curate da Barnaba Fornasetti e studiate appositamente per il ‘Blind Date’. Lei ha dato delle indicazioni in merito o è stato un visual concept ideato esclusivamente dall’artista?
Come sempre, ci si passa l’energia a vicenda. Dato il tipo di esibizione, sapevo che certamente le sue creazioni dovevano essere mostrate all’inizio e accompagnare poi verso la fine. L’immaginario dell’archivio Fornasetti è così immenso, per cui, veramente c’era l’imbarazzo della scelta. Vi era, in pratica, da definire, un discreto numero di immagini per poter lavorare su quelle.
Martedì prossimo al Teatro Bellini di Napoli, invece, per poter differenziare il concerto di due anni fa, presenteremo un Blind Date diverso, in versione originale e, cioè, così come è nato, senza video proiezioni.
È autore di balletti, opere liriche, musiche per il teatro e progetti speciali. Avremo l’onore di assistere a Napoli ad una pièce di cui lei ha curato le musiche?
Spero proprio presto! Secondo me, in questi anni, sono stati sicuramente messi in scena a Napoli spettacoli di cui ho curato le musiche che avevano come protagonisti Gioele Dix, Ottavia Piccolo, Fabrizio Gifuni e altri importanti nomi del teatro. A Napoli, spero di tornare anche per altri motivi e per altri progetti.
Quali sono i progetti futuri? Qualche nuovo libro in uscita? Qualche nuova collaborazione con testate giornalistiche sempre in ambito musicale?
Per ora le mie energie sono completamente assorbite dal nuovo album, di cui, al momento, non posso parlare, dovrà pazientare. Sono felicissimo perché è un’ultima nuova avventura, totalmente diversa da quella dell’ultimo lavoro di due anni fa realizzato rileggendo la musica barocca per il clavicordo.
In questo caso sarà un salto esponenziale all’opposto. Al momento sto iniziando le musiche e spero comunque di arrivare, entro l’anno, a presentarlo anche a Napoli.
Non vediamo l’ora di assistere al Blind Date di Cesare Picco al Teatro Bellini di Napoli che, siamo certi, sarà in grado, anche stavolta, di avvolgerci e rapirci in una sublime percezione dei sensi per farci “vedere” e “sentire” noi stessi in una luce diversa.
Autore Lorenza Iuliano
Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.