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Intervista allo stilista Simone Conti

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La “rivoluzione” nell’esaltazione delle imperfezioni

Oggi vi presento un importante stilista ticinese, molto seguito per la sua particolarità e creatività, e che usa un linguaggio stilistico diretto al cambiamento della nostra società attuale; scopriamo come.

Chi è Simone Conti? Parlaci di te.

Sono nato in Svizzera da una famiglia d’arte e questo ha influenzato molto la mia direzione di vita. Parlo di arte pittorica e di musica; all’età di quattro anni ho iniziato a suonare il violino classico, crescendo ho imparato altri strumenti, fino ad arrivare alla musica elettronica, esibendomi in vari locali, sia in Svizzera che in Italia, e in altri Paesi dell’Europa. Ho sempre coltivato la passione per la moda e, un giorno, ho deciso che avrei potuto realizzare il sogno di creare qualcosa di mio in questo campo.

Così ho iniziato con una collezione di t-shirt, una quantità limitata, fino ad arrivare ad oggi. È stato un processo abbastanza lungo e difficile, ho dovuto trovare persone con cui lavorare, un team per cercare di poter esprimere quello che desideravo. La moda per me non è fare il classico abito bello, ma comunicare attraverso delle grafiche, analizzare la società e portare dei messaggi, anche facendo delle critiche costruttive.

Ho visto le tue t-shirt molto particolari con scritte che parlano di “Liberté”, “Sans liberté”; c’è anche un simbolismo nascosto, oltre a questi messaggi abbastanza evidenti?

Sì, la mia intenzione è quella di sradicare il giudizio verso gli altri sulla forma fisica, infatti facciamo degli abiti da linee abbastanza larghe e comode che tendono a coprire il corpo.

Questo è un messaggio molto importante!

Dietro al nostro progetto c’è sempre uno studio sulle problematiche sociali.

Ho notato che usi molto il colore nero, c’è un motivo per questo?

Sì, io sono molto legato al nero, è una tinta misteriosa ma allo stesso tempo la definisco “umile”, ha una certa eleganza, però non ti rende carico di pathos, dà significato a chi lo indossa.

Possiamo definire il “nero” come assenza di luce, quindi il vuoto e il mistero?

Sì, in effetti è nella propria oscurità che troviamo noi stessi e dalla stessa zona ombra la ricerca dell’origine del tutto. Io sono un cultore delle discipline orientali; in Giappone è un colore base. Un esempio è lo stilista Yohji Yamamoto che lo usa molto nelle sue collezioni. Il nero è ombra e riservatezza; in effetti io sono una persona che non ama esporsi, che non frequenta determinati ambienti, mi piace e mi trovo a mio agio lavorare dietro le quinte.

Infatti, pensavo a questo lato ombra che è in ognuno di noi, di cui spesso non abbiamo consapevolezza; vedo che tu sei molto introspettivo.

Mi definisco come la serie TV ‘Lucifer’, sono quell’ironico che ti tira sempre fuori ciò che non vorresti sentirti dire; anche nella vita sono così, “entro” pesantemente nelle persone per far emergere il loro lato più celato. Questo lo faccio anche perché mi serve capire cosa c’è nella società, nella gente, per poi riportarlo nella moda; è come se facessi un’introspezione al posto tuo.

La moda è l’espressione del momento storico, infatti se guardiamo un film ci accorgiamo dagli abiti che indossano al periodo in cui è ambientato. Qual è la tua visione rispetto a tutto ciò che sta accadendo intorno a te? Come lo vivi e cosa proponi?

Oggi si sono persi i valori fondamentali, ormai appannati da una società che non lascia possibilità di una riflessione su di sé, dando molto più spazio alle ansie, ai problemi che ci creiamo da soli, non mettendo in risalto l’essenza della vita.

Purtroppo, i giovani si stanno radicando in valori che non sono reali e, quindi, è necessario ritornare alle basi, alle piccole cose, cercare di apprezzarle e concentrarsi su altro, come la natura e il rispetto verso gli altri.

Stiamo un po’ annaspando, ognuno cerca di trovare la propria posizione nel mondo, ma la situazione che stiamo vivendo sta creando più danni del virus stesso, occorre ristabilire una socialità vera.

Il tuo messaggio sulle t-shirt?

Quella collezione risale al 2018, “Sans liberté” si rifaceva al concetto che tutti vogliamo essere liberi, ma di fatto non è possibile, siamo schiavi della tecnologia, dei social, dei controlli.

E sulla collezione di quest’anno cosa mi dici?

La collezione di quest’anno si chiama “Don’t think”, “Non pensare”, si rifà alla situazione di disagio attuale; è un invito ad abbandonare la paura e ad essere più leggeri mentalmente. Bisogna imparare a meditare e rilassarsi, capire che non siamo né il corpo, né la mente.

Un concetto filosofico delle discipline orientali, quello che riporti, giusto?

Sì. Per me è importante lasciare un massaggio, a chi verrà dopo, attraverso le mie creazioni stilistiche. L’arte è un diventare immortale; dal dipingere al fare moda, sono tutti veicoli di espressione che resteranno nella storia.

Il tuo stile ha delle particolarità che vuoi spiegarci?

Ho uno stile che lascia delle imperfezioni in qualsiasi cosa faccia. Nonostante sia molto attento e preciso, spesso pignolo, non amo la perfezione, soprattutto nelle persone, perché, in realtà, non esiste e quindi riporto questo concetto in tutto ciò che realizzo in campo artistico.

Per veicolare questo messaggio, cerco sempre persone molto particolari, con difetti fisici o che non rientrano nei canoni classici della bellezza; non mi piace far sfilare modelli affascinanti secondo l’opinione comune perché, la nostra vera natura, quella che ci caratterizza, è, appunto, l’imperfezione. 

Mi viene da dire che “imperfetto è bello!” Mi fa piacere che un giovane come te, con un grande talento artistico, mandi un segnale così significativo e dirompente in una società che ci vuole tutti omologati e perfetti. Da dove nasce questa tua consapevolezza?

Ho investito il mio tempo a cercare di capire cosa succede intorno a me e faccio un lavoro di crescita personale interiore.

Ho dovuto maturare più velocemente per determinate situazioni che si sono verificate e ciò mi ha portato allo studio della psicologia e dei comportamenti umani.

Mi interessa l’essere umano e il mio lavoro è rivolto anche all’aiutare, inviando, attraverso il mio modo di fare moda, degli input.

Parliamo adesso del tuo brand, che hai chiamato “Vostok”; a cosa ti sei riferito nella scelta del nome?

La scelta non ha nulla di filosofico, ho sempre avuto un legame con la Russia e ho optato per qualcosa che richiamasse la prima missione spaziale russa. Questo nome mi ha provocato non pochi problemi, perché, fino a poco tempo fa, era ritornato alla ribalta per delle situazioni militari, e ci sono stati dei fraintendimenti sull’uso che ne ho fatto. L’ho mantenuto per diverse stagioni, adesso l’ho trasformato nell’abbreviazione “VSTK”

Dal progetto alla creazione del tuo brand, quali sono le fasi?

Ho iniziato questo lavoro completamente da solo, non avevo né un designer, né un modellista, nessun supporto professionale; studiavo la concorrenza. La prima fase è stata l’ideazione, se non hai nulla da dire sarai poco credibile. Sono passato dai materiali da usare, agli accessori vari e poi ho iniziato, da solo, a creare le prime maglie. Da lì ho trovato una designer, Antonia Valente, e siamo passati al disegno stilistico; partendo da una collezione di cinque t-shirt, diverse tra loro, fino ad arrivare a cinquanta pezzi di campionario, che è già una base per un brand. Adesso siamo alla total look, dalla t-shirt ai pantaloni e alle camicie. Questo è un processo lungo ed è necessario avere la collaborazione di diverse persone. Per riassumere le fasi sono: l’ideazione, il contenuto che si vuole lanciare, lo sviluppo del disegno, la realizzazione dei modelli tecnici, la produzione del campionario e la vendita attraverso lo showroom. Il mio lavoro è concepire il messaggio, dare una struttura alla collezione, curare i casting, gli spot, organizzare le vendite.

So che hai collaborato anche con vari personaggi della moda, ti va di raccontarci chi sono?

Ho collaborato con Ramona Tabita, la stylist di Ghali, Eva Al Desnudo, che ha vinto il London Fashion Awards come fotografa di strada. L’imprenditore Claudio Antonioli, cofondatore dell New Guards Group che ha lanciato Off-White, Marcelo Burlon, mi ha dato tanti consigli, e per questo lo ringrazierò sempre, che attualmente ha ripreso un brand molto importante, personaggio molto conosciuto in questo settore. Ci sono stati artisti che hanno apprezzato i miei vestiti e hanno voluto indossarli, come Gué Pequeno, Killer Mike.

I tuoi prossimi progetti?

Innanzitutto, crescere per avere il nostro spazio per fare il nostro show, le nostre passerelle, aumentare la nostra portata. Il mio personale è quello di collaborare con altri brand e portare la mia visione agli altri.

Sei ticinese, aprire un’attività di moda in Ticino, cosa ha significato per te?

Questa è la mia casa, il luogo dove sono le mie origini, credo sia importante poter iniziare partendo proprio da qui.

È stato un piacere averti intervistato, perché ho scoperto che attraverso il mondo della moda ci sono persone come te, che con i loro messaggi sanno rompere lo schema della ricerca della bellezza a tutti i costi e riportare, finalmente, i giovani alla realtà e all’accettazione della loro diversità ed unicità. Oserei dire che rappresenti una provocazione che si insinua in una società che ha bisogno di essere ripulita dal di dentro, da modelli alterati ed illusori.

Simone Conti

Autore Maria Filomena Cirillo

Maria Filomena Cirillo, nata a San Paolo del Brasile, vive in provincia di Napoli, dopo aver abitato per anni sul lago di Como. Il suo cammino spirituale è caratterizzato dalla ricerca continua dell'essenza di ciò che si è, attraverso lo studio della filosofia vedantica, le discipline orientali di meditazione e l'incontro con i Maestri che hanno "iniziato" il suo percorso. Tra Materia e Spirito. Giornalista pubblicista, laureata in Scienze Olistiche, Master Reiki, Consulente PNF, tecniche meditative e studi di discipline orientali. Conduttrice di training autogeno e studi di autostima e ricerca interiore. Aromaterapista ed esperta di massaggio aromaterapico.