Era al buio.
Non vedeva nulla o quasi.
Si trovava in uno stanzino di dimensioni ridotte.
Un tavolino, pochi, particolari oggetti, qualche scritta appena leggibile sulle pareti.
Una scala che conduceva verso il basso.
Immaginava dove conducessero quei gradini.
Sapeva che una volta iniziato il percorso non sarebbe stato possibile tornare indietro.
Da quel momento in poi nulla sarebbe stato più lo stesso.
Sicuramente è possibile trascorrere un’intera esistenza senza arrivare a delle determinate consapevolezze.
Ma una volta iniziata la riflessione, mossi i primi passi, visitati alcuni luoghi, non è più possibile far finta di nulla.
Aveva ponderato benissimo la scelta, però.
Era esattamente quello che voleva.
La prima di una serie di consapevolezze che immaginava di dover raggiungere era appunto quella determinazione.
Non aveva idea di quello che lo aspettava.
Qualcuno gli aveva detto che c’erano dei modi per sapere in anticipo cosa doveva essere.
Ma gli sarebbe sembrato come barare, sicuramente avrebbe compromesso l’autenticità di quello che si apprestava a compiere.
Inoltre, aveva deciso di voler essere tabula rasa.
Pronto a mettere in discussione ciò che conosceva, o credeva di conoscere.
Pronto a non dare nulla per scontato.
Non ebbe tentennamenti, dunque.
Cominciò a scendere lungo quella scala, di cui non riusciva ad intravedere la fine, anche perché a pochi metri vi era una brusca svolta verso destra.
Era ancora al buio, anche se vi era un lieve, indistinto bagliore di cui non riusciva ad individuare l’origine.
Dopo la prima svolta il cunicolo cominciò a stringersi, la volta a farsi più bassa.
Ad un certo punto si accorse che stava procedendo abbassando leggermente la testa, ormai lo spazio era davvero ristretto e andava a farsi man mano sempre più angusto.
Anche i gradini erano scomparsi, adesso si trattava di una discesa non molto ripida, in quella che nell’oscurità gli sembrava terra viva.
Lo spazio continuava a restringersi, presto fu costretto a camminare a carponi.
Poi praticamente a strisciare.
Infine, lo spazio divenne così stretto da non permettergli di proseguire.
Non riusciva a capire.
Non poteva aver sbagliato percorso, non c’era stato nessun bivio.
Eppure non vedeva modo di andare avanti.
Non prese neppure in considerazione l’idea di tornare indietro.
Ma continuava a non capire.
Restò fermo, a riflettere, a lungo.
Poi, l’intuizione.
Cominciò a scavare con le mani per allargare il passaggio e proseguire.
La terra era abbastanza dura ma non troppo da non poter essere smossa a mani nude.
All’inizio sembrava semplice.
Anche se con sforzo riusciva ad avanzare.
La fatica, però, presto cominciò a farsi sentire.
Le mani a far male, poi a sanguinare.
Più di una volta fu costretto a fermarsi e a recuperare le forze prima di riprendere.
Ma non aveva alternative. Doveva andare avanti.
Sapeva che sarebbe stata dura, l’aveva messo in preventivo.
Arrivò ad avere le mani piene di vesciche, di graffi, di tagli, unghie spezzate.
Le braccia erano indolenzite, cominciava ad avere qualche accenno di crampo.
Ma non aveva nessuna intenzione di rinunciare.
Dopo tante pause, tanta terra smossa, finalmente il cunicolo tornò ad allargarsi.
Anche se a malapena, adesso poteva avanzare senza essere più costretto a scavare.
Ancora un lungo tratto e riuscì finalmente a procedere in posizione eretta.
Cominciava a pensare che il peggio potesse essere passato, anche se gli sembrava strano che si trattasse solo di quello.
In qualche angolo del suo cervello si aspettava altre insidie, più sottili, altre prove.
Dopo l’ennesima svolta si accorse di vedere in fondo un chiarore più forte.
Sperò davvero di essere fuori.
Accelerò il passo.
Mentre si avvicinava si rese conto che stava per arrivare ad un ambiente molto più ampio, anche se c’era qualcosa di strano, che non riusciva a collegare, a capire cosa stesse vedendo.
Quando arrivò ebbe un disorientamento.
Innanzitutto per le dimensioni di quel luogo in cui era giunto.
Enorme.
Anche se c’era qualcosa che non gli faceva realizzare quanto effettivamente fosse grande, che lo ingannava, che lo mandava in confusione.
Si fermò, in preda ad un capogiro.
Non sapeva se a causa dello spossamento, o per quale altro motivo.
Si stese a terra. Chiuse gli occhi.
Aspettò qualche attimo che passassero le vertigini.
Aprì di nuovo gli occhi.
Si rese conto.
Era circondato da specchi.
Un numero incredibile di specchi.
Ognuno rifletteva la sua immagine e rifletteva altri specchi che riflettevano a loro volta sempre e solo la sua immagine.
Cambiavano le angolazioni, questo alterava le prospettive, la sua percezione della profondità, causando quel malessere che lo già aveva turbato.
Si vedeva da ogni angolazione, da ogni lato, replicato all’infinito, ma anche distorto con effetti grotteschi, da caricatura.
Fu preso da uno strano smarrimento.
Era circondato da un numero praticamente infinito di sue repliche, ognuna in qualche modo unica, uguale solo a se stessa, e giunse al punto di smarrire la consapevolezza del suo essere.
Non riusciva più a capire quale era la sua versione autentica, reale.
Quale era lui e quale solo un riflesso, uno dei tanti.
Fu preso da una profonda angoscia, il respiro divenne affannoso.
Aveva una gran voglia di piangere, di gridare.
Poi pensò che doveva mantenere la calma, che non poteva permettersi di farsi prendere dal panico, perché altrimenti non sarebbe più uscito da quella situazione.
Allora si stese di nuovo a terra.
Chiuse ancora gli occhi.
Anche con gli occhi chiusi all’inizio continuava a vedere l’infinità di sue immagini riflesse, ma soprattutto a sentirle reali.
Non riusciva a staccarsi da quella sensazione, anzi la portò con sé fino ad avere la consapevolezza che tutte avevano una componente di reale, perché riflettevano la realtà, ne erano semplicemente aspetti diversi.
Capì che non gli era possibile delimitarsi, perché era ognuna di quelle immagini allo stesso momento.
L’affacciarsi alla sua coscienza di questa conclusione lo aveva inizialmente sconvolto.
Adesso, invece, aveva intuito.
Non riusciva ad identificarsi perché non era nessuno di quei riflessi, né quello che pensava di essere in realtà.
Era tutti quei riflessi allo stesso tempo, oltre quello che immaginava in realtà.
Era riuscito, da quella molteplicità, a ricomporre tutto nell’unicità del suo essere.
Ogni malessere era scomparso.
Era pronto per proseguire. Si era visto da angolazioni e punti di vista che nemmeno credeva fossero possibili.
Riaprì gli occhi.
Ora riusciva a districarsi nella complessità di quello che vedeva. Dal tutto riusciva a tornare all’uno.
E come per incanto notò quello di cui non si era accorto in precedenza.
Verso destra, un po’ più avanti di dove si trovava, tra la miriade di specchi, scorse un’apertura.
Non poteva essere che così. Solo dopo aver compreso poteva vedere la prosecuzione del percorso.
Andò verso quel passaggio.
Era molto simile al primo, dei gradini, subito una svolta, ma stavolta verso sinistra.
Il cunicolo proseguiva in modo regolare, con delle rare piegate.
Quando era perso di nuovo nei suoi pensieri, scendendo meccanicamente i gradini, allora dietro un’ulteriore curva vide una nuova sala più ampia, anche se non delle dimensioni della precedente.
Allora affrettò il passo, scendendo più velocemente gli ultimi gradini.
Nel nuovo ambiente non c’era moltissimo.
Era sempre scavato nella terra viva, ma era di una regolarità impressionante.
Ad occhio e croce la pianta era un quadrato, come quadrate erano le pareti.
Appena entrato notò subito una pietra, l’unica asperità in quel luogo che sembrava perfettamente levigato da una sapiente mano.
La pietra aveva una forma vagamente cubica.
Ovvero, guardandola così di primo istinto pensò che lavorandoci, con molto impegno si sarebbe potuto tirar fuori un cubo.
Prese a lisciarla con le mani, diede una rapida occhiata.
Individuò le prime, evidenti irregolarità che avrebbe sgrossato nel volerla levigare, rendendosi subito conto che comunque non era il momento per svolgere quel lavoro.
Qualcosa gli diceva che avrebbe avuto tutto il tempo per farlo.
Poi rivolse la sua attenzione allo specchio che stava di fronte.
Rivide il suo riflesso, insolitamente vivido, insolitamente complesso.
Capì che questa era la conseguenza della nuova consapevolezza che aveva acquisito in quel percorso.
Scrutandosi nello specchio per degli attimi la sua figura divenne come traslucida.
Per qualche istante che tuttavia gli sembrò lunghissimo riuscì a vedere oltre se stesso.
Ci mise pochissimo a mettere a fuoco quella nuova visione.
Si trattava di un’altra pietra.
Questa, però, era perfettamente levigata, ed aveva la forma di un uovo.
Era di uno strano ed affascinante colore rosso, che gli diede l’impressione di essere cangiante.
A tratti l’avrebbe definita rossa come il fuoco, in altri momenti rossa come il sangue.
La visione così come di colpo era arrivata, di colpo svanì.
D’istinto si voltò di scatto.
Pensò che la pietra che aveva visto fosse alle sue spalle, al centro della stanza.
Però subito si rese conto che si era trattato di una speranza sciocca.
Rise per un attimo della sua ingenuità, in quel luogo una strana eco fornì una singolare musicalità, una particolare armonia al suono della sua risata.
Non era pronto per quella pietra. Forse non lo sarebbe mai stato.
In quel momento stava solo iniziando il cammino che forse un giorno l’avrebbe portato a quel traguardo che si trovava oltre quello che era e che conosceva.
Ma non si lasciò scoraggiare da quella ulteriore consapevolezza.
Anzi, vi trovò conforto.
Adesso sapeva almeno quale avrebbe dovuto essere il punto di arrivo del suo percorso.
Non importava che si potesse trattare dell’orizzonte, che questo ad ogni passo compiuto fosse destinato ad allontanarsi della medesima distanza percorsa.
Avrebbe continuato a camminare senza sosta verso la sua meta, gli bastava sapere che la direzione era quella giusta.
Poi non importava raggiungerla davvero, anche se cominciava a pensare che la volontà, unita alla costanza, al lavoro, può tutto.
Può anche portare, un giorno, ad arrivare oltre l’orizzonte.
Autore Pietro Riccio
Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.