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Industriali dell’oro si ‘appellano’ ai politici

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Klaus Davi


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‘Intervenite o settore rischia’

Riceviamo e pubblichiamo.

Sei miliardi di fatturato, oltre 100.000 addetti, marchi noti in tutto il mondo. Eppure gli industriali dell’oro e della gioielleria si sentono in gran parte abbandonati dalle Istituzioni e dalla politica. Il documentario di Klaus Davi, on line in queste ore su YouTube, raccoglie rivendicazioni, aspettative e critiche, spesso anche molto energiche della filiera rivolte al mondo politico girate nel corso dell’ultima edizione di VicenzaOro, la fiera di riferimento per il settore.

E nella galleria raccolta figurano i brand più importanti. C’è Roberto Coin, proprietario dell’omonima azienda veneta di gioielli, conosciuto a livello internazionale per la grande creatività, in grado di lanciare tendenze nel mondo della gioielleria, che fa un’affermazione forte:

I governi italiani sembrano a volte odiare i loro industriali. È complicato lavorare in Italia; l’impresa italiana deve essere completamente rifatta. La parola « odio » è un po’ brutta, ma è la verità.

Per Riccardo Renai, amministratore delegato Annamaria Cammilli, brand di riferimento nel gioiello di design toscano, la grande oreficeria italiana sopravvive soprattutto perché gli italiani sanno ancora creare delle vere e proprie opere d’arte, riuscendo a compensare la competitività degli altri Paesi.

Spiega Renai al microfono di Klaus Davi:

Il settore dovrebbe essere maggiormente tutelato nel riconoscere le cose fatte al 100% in Italia. I nostri gioielli vengono tassati in Cina a circa il 40%, mentre le loro creazioni in Italia lo sono del 2%.

Secondo Bruno Crivelli, fondatore della piemontese Crivelli Gioielli di Alessandria, segnala lacune legislative nella formazione:

Il made in Italy nel mondo è la cosa più importante che ci sia, perché abbiamo delle capacità che gli altri non hanno; e dobbiamo farle vedere in quanto è l’unico modo che possediamo per poter uscire da questo periodo di crisi e combattere la concorrenza.
Io cerco di dare il massimo, ma non so se lo Stato ci aiuta.

Della stessa idea anche Pasquale Bruni, a capo dell’omonimo marchio di gioielli, calabrese di nascita ma piemontese di adozione, che parlando del futuro dei giovani punta il dito contro le istituzioni:

È la politica che deve fare qualcosa per loro. Nella mia azienda, che ha sede a Valenza Po, ho assunto designatori, orefici bravissimi, e altri ne ho formati nella mia piccola scuola interna. Sono ragazzi che hanno veramente la voglia e l’entusiasmo di imparare questo mestiere.

Uno dei problemi che lo stilista di gioielli evidenzia e che danneggia, secondo lui, l’industria italiana è la burocrazia:

Per fare una cosa dobbiamo aprire mille pratiche; e questo non va bene.

Tra gli intervistati da Klaus Davi anche l’imprenditore Rocco Pizzo, Leo Pizzo SpA, azienda piemontese di Valenza che da 45 anni crea gioielli artigianali di alta gamma, il quale non può non elogiare il made in Italy in quanto

Presenta uno stile, un design che è impossibile oggi ritrovare in un altro mercato. La qualità del manifatturiero è una nostra garanzia ma va tutelata.

Secondo Enrico Fabris, AD dell’azienda vicentina Chiampesan Fabris Gioielli, si rivolge direttamente alla classe politica chiedendo la defiscalizzazione internazionale, vale a dire il rapporto di reciprocità di regole a livello globale:

In Sud America, in Cina c’è un dazio altissimo, cosa che altri Paesi non hanno; o se ce l’hanno è inferiore.

Sul tema formazione interviene anche Giuseppe Gullo, ad Stefan Hafner, Gruppo Leading Italian Jewels basato a Valenza:

C’è un’assenza della scuola tecnica manifatturiera nell’ambito giovanile. In Svizzera, gli adolescenti tra i 14 e i 18 anni frequentano le aziende di orologi, qui da noi no.

Sulla stessa linea anche Chiara Carli, mente creativa della maison vicentina Pesavento, che ha saputo reinterpretare in chiave moderna il gioiello:

Meglio che stiano lontani, siamo completamente abbandonati dalle istituzioni, la politica ha fallito in tutto per quanto ci riguarda. La fortuna è che tutti noi, il nord est soprattutto, siamo abituati ad arrangiarci, a darci da fare, per superare tutti i problemi.

Non meno tenero Fabio Godano, CEO di Alfieri & St John, caposaldo della gioielleria lombarda contemporanea:

Proprio per una conclamata assenza legislativa abbiamo assistito alla distruzione del comparto manifatturiero, ora non deve succedere con il nostro.

Nel documentario figura anche Roberto Giannotti dell’omonimo marchio campano, che suggerisce cosa si potrebbe fare concretamente per aiutare l’industria italiana:

Serve nazionalismo, difendere il nostro mercato con mosse economiche che devono portare benefici. Sicuramente ci sono delle difficoltà che non provengono solo dal mercato italiano ma anche da situazioni non facili nella politica. Però sono ottimista.

Laconico il patron del brand Casato Gioielli Federico Gauttieri:

La classe politica fa molto poco per attrarre investimenti, ci aspettiamo incentivi.

Segnali di apertura arrivano da Guido Damiani, presidente del Gruppo Damiani di Valenza in Piemonte:

Con il Ministro dello Sviluppo Economico dei passi si sono visti ci sembra di capire che i governi stiano iniziando a prendere in considerazione quanto importanti per il Paese siano le industrie come le nostre. Abbiamo bisogno di un Paese che sia meno burocratico, di un aiuto negli investimenti magari non in produzione.

David Ragionieri, direttore generale della toscana Rebecca, spera in maggiori incentivi a disposizione delle aziende:

Vorrei che ci fosse meno pressione fiscale, un costo del lavoro diverso. Non ritengo giusto soprattutto esportare all’estero pagando il 30-40% di dazio, mentre se devo comprare lo stesso prodotto e importarlo pago un 3-4%.

Vincenzo Giannotti, presidente del celebre centro orafo campano “Il Tarì”, individua nella burocrazia il male principale dell’industria orafa:

Ci crea problemi sul territorio e a volte condiziona anche la parte imprenditoriale. Servono le semplificazioni.

Apprezzamenti per il Ministro dello Sviluppo Economico Calenda:

Nell’ultimo periodo sta facendo un’ottima politica, aggregando ad esempio il mondo fieristico. La sua visione di compattezza e aggregazione è un buon messaggio.