Site icon ExPartibus

In mio potere

Potere


Molto potente è chi ha se stesso in proprio potere.
Seneca

Il potere è uno degli elementi alla base delle relazioni sociali ed è interconnesso con altri concetti come autorità, controllo, influenza. Esso viene esercitato nel pubblico e nel privato con modalità diverse e si articola secondo la stratificazione sociale.

Decidere chi comanda è sempre stato difficile. In democrazia, in tirannide e anche in oligarchia, come ci hanno insegnato Socrate, Platone e Aristotele. Ma forse è ancora più difficile decidere chi è il successore del Capo. Perché il Capo uscente vuole restare il più a lungo possibile o, comunque, influenzare in qualche modo la scelta di chi verrà dopo.

Ogni successione è diversa, eppure tutte hanno una cosa in comune: sono al tempo stesso l’ultimo atto di una manifestazione del potere e il momento originario di quella nuova. Fra l’una e l’altra può cambiare tutto: può avvenire la transizione dalla monarchia alla repubblica, per esempio. Può crollare una dittatura, si possono nominare contemporaneamente tre papi o quattro imperatori.

Le vicende della successione dei capi svelano snodi enigmatici e spesso poco visibili non solo delle istituzioni, ma anche della storia. Vista da qui, la politica si mostra nella sua dimensione più autentica, fatta di decisioni prese nel pieno di una guerra o nei palazzi, scelte fatali che ribaltano il corso degli eventi.

Si vedono i corpi e gli istinti che impongono la loro forma alle istituzioni, governando così la direzione di un’epoca. Il potere è una delle costanti più caratteristiche della storia umana e ha assunto forme assai diverse nel tempo, ma sempre sulla base di un tratto originario, che lo definisce: la capacità di ottenere obbedienza, se necessario con l’uso della forza, esercitando una coazione.

È, in pratica, una volontà che si impone. Ed è sempre, nella sua più intima essenza, potere omicida, possibilità ultima di dare la vita e la morte. Esso è tanto organizzazione istituzionale quanto discorso di legittimazione, tanto realtà di fatto quanto rappresentazione, tanto esperienza individuale quanto espressione collettiva.

Da un lato ha un rapporto strutturale e biunivoco con il diritto, che serve a limitarlo e regolarlo, ma ne ha anche bisogno per essere efficace, dall’altro incrocia le dinamiche psichiche e intersoggettive attraverso cui si costruiscono le identità che qualificano l’umano.

A livello teorico quello di potere è uno dei concetti più controversi e problematici della storia del pensiero filosofico, politico, sociologico e giuridico. Il punto di partenza della riflessione è che esso è stato quasi sempre ridotto ad una relazione causale diretta: chi detiene il potere si impone su chi lo subisce, determinandone il comportamento, a prescindere dalla sua volontà.

Tuttavia, se si sottolinea esclusivamente questa logica, si riesce a percepirne il lato violento e costrittivo, ma non si colgono le dinamiche più nascoste e complesse mediante cui agisce. Ampliando l’analisi, si può individuare proprio nella libertà il suo presupposto e comprendere che esso può essere esercitato non solo contro l’Altro, ma anche condizionandolo dall’interno, raggiungendo un grado di mediazione molto più elevato e assumendo forme estremamente articolate – meccanismi che, negli sviluppi successivi del suo pensiero, l’autore arriva a considerare come la chiave di volta della vita sociale e politica.

Il potere almeno del potere fondato sul fatto che non si sa esattamente cosa esso sia.
Byung Han Chul

Il potere non è altro che «un mezzo di comunicazione», in grado di produrre simboli tanto più efficaci quanto più riescono a persuadere spontaneamente chi vi è sottoposto. Il ricorso alla coercizione tramite la violenza, per quanto sia la sua espressione più appariscente, segna non già il suo successo ma il suo scacco.

E non capiremo mai la sua vera natura se continueremo a pensarlo come una corrente unidirezionale, che va dall’alto al basso, dal dominatore al dominato: è qualcosa che tutti noi produciamo, facciamo circolare e accresciamo esercitando le nostre libertà individuali. È anche difficile stabilire cosa si intende per avere ‘potere’.

Nella società avvengono cambiamenti continui, quindi anche gli strumenti che sono stati inventati nel corso della storia per limitarli devono mutare. È chiaro che se cambia radicalmente il sistema di comunicazione a causa del peso crescente della rete, questo obbliga a pensare nuovi sistemi che consentano di informare meglio una parte dell’opinione pubblica.

Fare in modo, per esempio, che non cada vittima di notizie false, che vengono messe ad arte in giro per il web e rispetto alle quali certe persone hanno poche difese.

Si tratta di inventare nuovi strumenti che servono a dare stabilità alle democrazie e limitare i poteri in condizioni tecnologicamente diverse. Non c’è nulla di statico. Alcune istituzioni che hanno una storia che risale a due secoli fa continuano a funzionare. Altre no. Altre ancora lo fanno decentemente, ma poi bisogna fare anche le innovazioni, se ci si riesce, che tengano conto dei cambiamenti societari tecnologici e così via.

Insomma, il potere, ben lungi dall’essere dialetticamente opposto ad un astratto soggetto autonomo, penetra l’individuo, lo forgia, lo plasma, gli fornisce un’interiorità. Anche perché è moto perpetuo.

I suoi equilibri si modificano in continuazione. Mutano le regole, i rapporti di forza, il sistema dei controlli, gli equilibri degli interessi, le maggioranze e le minoranze, le violenze, le costrizioni. Ogni giorno o quasi.

I fenomeni e mutamenti di cui stiamo parlando chiamano in causa direttamente ogni potere sociale, in particolare quello politico, che serve, appunto, ad assumere decisioni collettive aventi forza vincolante e fornite di consenso.

Da questa angolazione, si può osservare subito che la sociologia del potere è sociologia del mutamento: il potere più alto è quello che è in grado, in base ai suoi principi, risorse, modelli, finalità, di regolare il flusso delle persistenze e delle trasformazioni – altrimenti caotico – e di costruire, intorno a questa attività regolatrice, un senso collettivamente condiviso.

Difatti, ogni potere, anche quello più rivoluzionario e innovativo, è sempre una costruzione sociale ancorata nel passato, per la precisione in quelle parti di esso che seleziona e da cui il potere stesso trae essenziali risorse materiali e simboliche.

La pandemia ci ha ricordato che essere governati è anche e soprattutto essere chiusi, tracciati, sorvegliati, controllati, certificati, distanziati, isolati. La domanda di sicurezza ha stretto gli ultimi bulloni residui del Leviatano. Ha spazzato via tutte le membrane, come la famiglia, la scuola, il lavoro, le associazioni, le chiese, che separavano l’uomo dal governo.

L’amministrazione delle cose si è sovrapposta a quella delle persone. Mai si è arrivati così vicini negli ultimi decenni a qualcosa di così simile allo Stato in guerra, ad un livello di interventismo del potere pubblico nella vita privata così penetrante. Potere duro, che interviene, regola, dispone, autorizza, rinchiude, isola.

Questo nuovo potere indurito, su cui la classe politica non ha potuto far altro che mettere le mani con indecisione per affrontare l’emergenza, ha rotto le illusioni di un ipotetico ritorno del politico. E allora, i silenzi e le maschere del principe, gli intrighi di corte, la corruzione nei giardini reali, gli assassinii di palazzo sono scenari che per secoli hanno animato il teatro politico.

L’avanzare della democrazia non ha certo espulso il ricorso al segreto e alla menzogna dalla scena pubblica. Tutt’altro. La tecnica dà oggi un volto nuovo al potere invisibile trasformandolo nella faccia nascosta del pianeta democratico, la zona d’ombra situata nel suo cuore.

Non si tratta solo di ripristinare adeguati diritti sull’informazione, ma, in un tempo di globalizzazione, di ridefinire il rapporto esistente tra politica ed economia, tra potere e società, tra potenti ed impotenti. Si può definire, quindi, il potere come una funzione sociale ‘neutrale’ e comunque necessaria non solo all’esistenza della società, della cultura e dell’uomo stesso, ma anche all’esercizio di quella libertà come scelta tra possibilità determinate da cui era partito il nostro discorso.

L’assenza di determinazioni culturali significherebbe infatti un vuoto insensato, nel significato letterale di privo di senso, in cui non ci sarebbe scelta ma pura casualità. La libertà come scelta può esercitarsi solo in presenza di determinazioni, così come l’attrito dell’aria è necessario al volo degli uccelli.

In conclusione, cos’è oggi il potere?

Una magnifica ossessione, un baluardo agli imprevisti sociali traboccanti di rancore o la seriosa necessità di possederlo per non essere logorati dall’esistenza?

A voi la scelta.

Dai potenti vengono gli uomini più malvagi.
Socrate

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.

Exit mobile version