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‘Il vecchio e il mare’ al Castello

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'Il vecchio e il mare'


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L’adattamento del capolavoro statunitense incanta e coinvolge

Domenica 9 settembre, alle ore 21:00, presso Castel Nuovo, è stato rappresentato l’adattamento teatrale de ‘Il vecchio e il mare’, di Ernest Hemingway, con Paolo Cresta e Carlo Lomanto in scena, nell’ambito della rassegna ‘Brividi d’Estate al Castello’.

Scenografia essenziale nei toni del grigio scuro. Voce recitante e chitarra classica.

Il protagonista, il magnifico interprete Paolo Cresta già apprezzato nella riduzione teatrale di Cent’anni di solitudine della stessa rassegna, interamente vestito di bianco.

Il musicista, un ispirato Carlo Lomanto, alla sinistra del palcoscenico, allacciato alla chitarra come se fosse la sua donna.

Entrambi, a cui ho fatto i complimenti al termine di questa bella riduzione teatrale, mi hanno svelato la sinergia che li unisce, in un ciclo continuo che prende ispirazione dai testi e alimenta e viene alimentata dalla musica, in questo caso in parte composta appositamente per questo dramma.

A tal proposito, e per rispondere ad una mia curiosità, il primo attore mi ha anche confidato il suo grande amore per i libri, da sempre capaci di fornire carburante per la sua ispirazione; passione che gli ha suggerito, unitamente alla regista Annamaria Russo, l’adattamento dei testi presenti nella rassegna.

E improvvisamente…. siamo a Cuba, negli anni ’50, accompagnati dal ritmo classico e dalle parole struggenti di melodie eterne, come ‘Quizas’, ‘Dos gardenias para ti’ e altre intramontabili.

Sediamo accanto al vecchio Santiago al tavolo di un bar del porto, il nostro sguardo incrocia il suo, pieno di rughe sul volto salato dal mare, e i suoi occhi blu indomiti, di chi non crede sia ancora i momenti di arrendersi al peso degli anni.

Il bravissimo protagonista improvvisamente è il vecchio e, come lui, si interroga sulle sorti della squadra di baseball degli Yankees, capitanati dal famosissimo Joe di Maggio, di cui è gran tifoso, ma, in realtà, freme dal desiderio di riprendere il mare.  E noi fremiamo con lui.

Apprendiamo con dispiacere che è stato lasciato solo dal suo giovane discepolo e compagno di pesca, Manolito. Ora, se vorrà continuare a pescare, dovrà farlo in solitudine.

Cresta riesce nella difficile impresa di farci assistere ai dialoghi tra il vecchio e il giovane, mediante sapienti cambi di tonalità, ritmo e atteggiamento. In un attimo siamo al cospetto di Manolo, della sua sollecitudine ed affetto nei confronti del suo maestro, un attimo dopo ecco apparirci Santiago, con la sua saggezza venata di malinconia.

E il nostro interprete ce la fa sentire tutta la sua malinconia; quella di chi sa di avere ancora tanto da dare, ma che per dinamiche economiche bastarde è relegato ai margini e considerato vecchio, tema purtroppo tornato di grande attualità nella nostra società oppressa dalla crisi.

E ancora, ci sembra di avere davanti a noi il giovane e poi di nuovo il vecchio, e la musica a ci avvolge e rende possibile l’incanto.

Anche noi spettatori salpiamo con Santiago per il mare aperto, sentiamo nelle vene lo stesso fremito di eccitazione quando, finalmente, abbocca al nostro amo un pesce gigantesco, un Marlin.

I due interpreti della pièce, attore e musicista, ci trasportano su quella barca e noi lottiamo, soffriamo, speriamo insieme al vecchio, nella concitazione dell’azione, in una lotta per la sopravvivenza in cui non mancano la lealtà e il rispetto per la natura e le sue regole.

La melodia in punta di chitarra sottolinea e accompagna azione e pensieri del vecchio, solo e orgoglioso nella sua lotta improba.

Viviamo la sua ansia, l’alternanza di speranza e disperazione. Il vecchio si impadronisce totalmente dell’attore, che vediamo completamente trasfigurato. Si soffre con lui, bravissimo nell’utilizzare come unici ausili voce, espressione del viso e gestualità del corpo.

Viviamo attimi struggenti mentre ricorda episodi di battute di pesca passate. E poi, di nuovo a sperare e pregare con lui nelle ore infinite, sulla via del ritorno con il Marlin a rimorchio della barca.

Paolo Cresta narra e impersona. Ci fa trattenere il fiato. Il ritmo è serrato e non conosce cedimenti.

Arrivano i pescecani e la delusione quasi ci uccide, ma avvertiamo l’orgoglio nella disperazione e ci rianimiamo, in una catarsi finale, al capezzale del vecchio che, infine, riposa, vinto ma fiero.

Il vecchio sognava i leoni.

Esaltante.

Autore Floriana Narciso

Floriana Narciso, napoletana. Un cuore sospeso tra Napoli e la verde Irlanda. Mediterranea nell'aspetto ma "Irish"nel midollo, vive costantemente in bilico tra due culture e pensa in due lingue fin dal primo vagito. Laurea in lingue straniere europee, dottorato in linguistica per scopi speciali su tematiche di politica internazionale, vive e lavora tra varie realtà. Pensa a buon diritto che i libri e i gatti siano i migliori amici dell'uomo. Nel suo sangue scorre prevalentemente un buon tè nero, forte e bollente anche sotto il solleone. Scrive perché non riesce a farne a meno.