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Il tempo sospeso

Il tempo sospeso


La chiamano normalità. Questo stato di sospensione in cui stiamo trascorrendo i giorni post lockdown. Questo tempo di attesa, questo stare fuori alla porta o scrutare dallo spioncino per vedere cosa sta succedendo.

La normalità dell’attesa: come se stessimo tutti aspettando sotto lo stesso cielo un bagliore di luce o una tempesta infuocata.

Cosa succederà? Come se a settembre arrivasse un angelo a portarci una certezza, una verità: che sia la fine di ogni paura o l’inizio della fine.
Non è l’apocalisse, sia chiaro e speriamo.

Certo che tra vaticini funesti, inconsce sensazioni, premonizioni celestiali, questi giorni spiaggiati, per chi ne ha avuto la fortuna, stanno trascorrendo in uno stato di ibernazione, paradossale lo so, che forse si poteva immaginare.

Uno stato dell’anima che è combattuta tra il relax e il caos dell’agosto torrido con le inquietudini e le preoccupazioni settembrine. La ripresa narrerà una conferma, è una nuova epoca che si sta avvicinando, o una delusione, nulla è cambiato e cambierà al di là di una eventuale sconfitta della pandemia.

Eppure, in questi anni ne abbiamo viste di cose che mai avremmo immaginato sia nell’ambito politico, Trump e Brexit ad esempio, sia nell’ambito sociale, le innumerevoli migrazioni degli oppressi, ma come bambini immobili di fronte al regalo ricevuto, incerti se scartare o meno la confezione, con il timore di restare ingannati o con la presunzione di essere stati accontentati, ci apprestiamo a vivere questo tempo nell’illusione che tutto ancora scorra come prima.

Stiamo leggendo queste pagine della nostra vita con il dubbio di scoprire un finale che potrebbe deluderci.

Una delle considerazioni più avvilenti che possiamo fare è che ci siamo sopravvalutati e abbiamo sopravvalutato il nostro amore per la vita.

Abbiamo ritenuto di aver vinto ed è bastato un “fuori tutti” per reinventarci una vita nuova che astrattamente seguisse il filone di quella pre-Covid.

Le istituzioni hanno concesso per quieto vivere, per evitare sommosse, per scongiurare una pandemia economica che avrebbe mietuto comunque vittime: la riapertura è stata affidata al buonsenso dei cittadini, e si sa che in questi casi il fallimento è tutto nell’animo umano.

Un flop non ancora definitivo ma che chiaramente è degno figlio del nostro approccio alle regole, del nostro metterci in riga, della comune volontà di seguire accettare le restrizioni.

Qualcuno ha intravisto in diverse decisioni la volontà di una dittatura buia e viscida, sotterranea ed estrema, pronta ad attaccare la libertà: lo spettro di una tirannia che potesse sottoporre ad un controllo incollerito ha suscitato clamore infondato e ha resuscitato quella parte della politica e una fetta della società sempre in allerta, che, tendenzialmente pulsa solo quando c’è da affondare la propria idiozia in stato di agitazione complottistica.

Pensiamo che il “carpe diem” valga più della possibilità di vivere il resto che ci spetta: sfrontatamente, con troppa repentina incuria, abbiamo abbandonato le difese e le buone abitudini imparate coattivamente nei mesi del virus per dedicarci ad una più lasciva e spensierata ricerca della quotidianità smarrita.

L’immagine di questo stato di sospensione è il litorale italiano: esasperato, compromesso, morboso, asserragliato.

Un campo sterminato dove uomini e donne imparano a distanziarsi, ma comunque si avvicinano come lupi famelici gli uni agli altri, sentendo l’odore acre del tempo che maledettamente fugge via e condanna e avvertono la paura sconfinata che la certezza della normalità ora va patita, conquistata come un lusso accessibile ma non più scontato.

Sembra evidente che dovremmo acquisire una nuova consapevolezza: ovvero che la salute è un bene prezioso e fragile da difendere e che le neo-abitudini, acquisite anche in modo forzato in questi mesi di quarantena e dettate dalle regole impartite per la ripresa, potrebbero lasciare il segno e riscrivere il nostro stile di vita a lungo.

Ma abbiamo compreso fino in fondo che siamo tutti dentro ad una svolta della storia dell’umanità? I conflitti interni ed esterni, gli equilibri familiari, i sistemi sociali, il lavoro potrebbero essere vicini ad un nuovo anno zero.

Riporto fedelmente quanto dichiarato dagli analisti del laboratorio di BUV Doxa nel nuovo ‘Special report 2020: the new normal’, analisi sui trend emergenti che dettano le scelte di brand e imprenditoria a caccia di nuove strade per fare affari in questo momento così delicato:

I cambiamenti portati dall’attuale emergenza sanitaria legata alla diffusione del virus Covid-19 sono imponenti, e il nostro modo di fare business così come le nostre abitudini quotidiane sono stati rivoluzionati. Non è certo che sarà una rivoluzione duratura ma di certo stiamo ridisegnando la ‘normalità’.

Il momento di forte cambiamento ha già avuto ricadute dirette sui paradigmi che fino ad ora avevano guidato l’ideazione e la progettazione di prodotti e servizi da parte delle aziende.

Credo che con questo virus stiamo azzerando il presente, nostalgicamente stiamo immaginando il futuro modellandolo ad un passato che stentiamo a riconoscere.

È un processo che devasta e drammatizza, ma che potrebbe divenire la più grande opportunità per disegnare una società differente pronta a sentirsi diversamente abile in questo scorrere lento che chiamiamo normalità.

Non ci si può abbandonare all’idea che tanto se ne esce e che i processi spontanei ripristineranno quello che è stato interrotto. Quelli che si credono processi spontanei sono molto ben strutturati e guidati e sono quelli che hanno portato alle condizioni di restrizione dei redditi di questi anni e di una ridistribuzione della ricchezza che ha polarizzato le risorse in pochissime mani.

Sarà forse un confinamento che muterà il senso della parola umanità, con una apparente uguaglianza che esorcizzerà ogni nuovo ordine e ogni nuova trama sociale. Anche perché se la clausura ha congelato la normalità delle nostre inerzie e dei nostri automatismi, dovremmo aver imparato ad approfittare del tempo sospeso per interrogarci su inerzie e automatismi.

Non c’è normalità alla quale ritornare quando quello che abbiamo reso normale ieri ci ha condotto a quel che oggi abbiamo e che crediamo eternamente nostro, immutabile nel lento declino della nostra esistenza.

Siamo stati costretti a dire che non sappiamo tutto, che non dominiamo ogni cosa, che siamo finiti, che siamo persino fragili e vulnerabili. Il limite di questa nostra società è il limite che, intimamente, ciascuno di noi non ha mai ammesso di avere.

È l’impotenza del dio che abbiamo immaginato abitasse nella nostra anima: oggi ci siamo svegliati uomini soffocati o presi all’amo dalla nostra stessa ambizione di essere dei minori innamorati del proprio destino, infinite briciole del creato.

In questo tempo sospeso capiremo se il travaglio ci ha dato nuova linfa e ci ha costretti a ricrederci o se siamo all’ennesima nuova illusione di essere ad un punto di svolta della società, ma senza arrivare mai definitivamente allo start conclusivo.

Momenti storici come quello che stiamo passando sono opportunità uniche per immaginare nuove strade e dare forma collettivamente alla nuova normalità, con un dialogo significativo su priorità e trade-off che possa agire sulle scelte politiche man mano che andiamo avanti.

Tutto questo chiama anche ad una considerazione radicale del nostro approccio alle decisioni a livello collettivo, alla governance e al ruolo dei cittadini nel processo.

Qui è dove la partecipazione può giocare un ruolo prezioso e unico come strumento per appassionare attivamente persone, stakeholder ed altri attori, per dare forma ad un futuro sostenibile ed equo. Scongiurando diseguaglianze strutturali che potrebbero diventare una nuova bomba pronta ad esplodere in uno scenario che qualcuno troverà apocalittico, come lo era del resto una probabile pandemia.

La vita era davvero insopportabile, solo che alla gente era stato insegnato a fingere che non lo fosse. Ogni tanto c’era un suicidio o qualcuno entrava in manicomio, ma per la maggior parte le masse continuavano a vivere fingendo che tutto fosse normalmente piacevole.
Charles Bukowski  

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.

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