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Il sosia

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Sosia Putin


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Il sosia è tutto meno che se stesso.
Daniel Pennac 

Nei giorni scorsi abbiamo visto nei vari passaggi televisivi e su video sul web che sono diventati poi virali, le immagini del Presidente della Russia, Vladimir Putin, che, dopo aver lasciato Mosca, nei giorni successivi alla oramai famosa marcia di Wagner, ha vissuto un vero e proprio bagno di folla in Daghestan.

Qualcuno le ha definite immagini inusuali e ha lanciato seri interrogativi:

È proprio lui o un sosia?

Il Presidente della Russia, dopo il presunto tentativo di golpe di Evgheny Prigozhin, è partito dalla capitale per un viaggio all’estero e si è concesso agli ammiratori, tra strette di mano, baci e selfie, come documentano i video diffusi su Telegram dai giornalisti della TV di Stato.

Il suo comportamento è stato per certi versi sorprendente. L’assenza di ogni tipo di precauzione è ciò che ha di più stupito, soprattutto se si considera la rigidità dei protocolli che normalmente si adotta al Cremlino in caso di incontri tra il leader e interlocutori di livello assoluto, capi di Stato compresi.

Non è mancato, quindi, chi online ha sollevato dubbi sull’identità del Putin protagonista del bagno di folla. Su Telegram, spiccano i messaggi di Anton Gerashenko, Consigliere del Ministero dell’Interno ucraino.

Abbondano foto che accostano i volti di Putin immortalati in diverse circostanze, alla ricerca di elementi che supportino una tesi o l’altra. I dettagli del viso, dagli occhi al mento. I movimenti, l’atteggiamento, le andature.

Quanti sosia ha Putin? E soprattutto esistono davvero?

Secondo Andriy Yusov, portavoce dell’agenzia di intelligence militare ucraina, lo zar è solito utilizzare delle controfigure in determinati eventi.

Già nei mesi scorsi sono stati avanzati dubbi sull’autenticità di Putin in contesti pubblici, dalla visita a Mariupol e Kherson, oppure durante un incontro ravvicinato con gli studenti a Mosca. Per l’occasione la Bild pubblicò le immagini che mostrerebbero le differenze tra lui e i suoi doppi.

Il capo dei servizi segreti ucraini Kyryll Budanov, intervistato dal britannico Daily Mail, ne ha contati tre e sembra che si siano sottoposti ad interventi di chirurgia plastica per assomigliare all’originale. Il Cremlino, ovviamente, ha più volte negato le accuse.

Putin non è l’unico ad avere, probabilmente, usato un sosia. Possiamo ricordare la figura di Saddam Hussein: questi aveva un sosia che aveva subito più volte, per meglio avvicendare il dittatore, ad operazioni di chirurgia plastica e aveva il nome di Fawaz el-Amari.

Qualcuno scrisse che quello del dittatore albanese Enver Hoxha si chiamava Peter Shapallo e quello di Stalin aveva il nome di Rashid, ma il cognome rimase segreto.

Il primo sognava di fare il dentista, ma il destino gli riservò altro, facendogli vestire i panni del premier albanese a tempo pieno, per circa trent’anni. Il secondo, dopo la morte di Stalin, cancellò la sua rassomiglianza facendosi crescere una lunga barba.

Per non parlare dei probabili sosia utilizzati da Benito Mussolini e Adolf Hitler: ancora oggi c’è chi insinua che i cadaveri dei due, morti in circostanze assolutamente diverse, non siano altro che quelli di due poveri somiglianti.

Il primo appeso a piazzale Loreto, il secondo non è altro che quello rimasto in cenere dopo che il corpo del Führer venne bruciato come da sua volontà nei pressi del bunker a Berlino.

L’insinuazione è fanta-storia: i due sarebbero stati in vita ancora per diverso tempo, ben celati sotto altre false identità in qualche luogo sperduto del Sudamerica.

Ci sono poi quelle persone a cui la natura ha donato un’incredibile somiglianza con i potenti e che se ne servono unicamente per attirare l’attenzione della gente o cavarsela come lavoro.

Il sosia di Helmut Kohl, ad esempio, organizzava feste per bambini durante le quali impersonava, con molti lazzi, il cancelliere della Repubblica federale.

In Italia, se andiamo indietro nel tempo, quando i bersaglieri entrarono a Roma il 20 settembre 1870, il Papa, sdegnato, si chiuse nel Palazzo del Vaticano. Soprattutto in ambienti cattolici francese, si diffuse velocemente la voce che il vero Pontefice fosse stato imprigionato dai piemontesi, con il contributo di un complotto massonico, nei sotterranei del palazzo e che sulla cattedra di Pietro sedeva un sacrilego sosia.

La leggenda piacque ad André Gide che se ne servì per edificare intorno ad essa, non senza una dose forte di ironia, uno dei suoi romanzi migliori, ‘I sotterranei del Vaticano’, pubblicato nel 1914. Il romanzo ebbe un grande risalto e un certo merito: aiutò a rendere risibile una storia in cui molti, sino a quel momento, avevano creduto.

Chiunque abbia letto il meraviglioso romanzo ‘Il sosia’ di Fëdor Dostoevskij, sa che è radicale la disarmonia tra la psiche sempre più frustrata di Goljàdkin, il protagonista, e il mondo esterno, indifferente o apertamente ostile.

Il capolavoro si impernia attorno al delirio di sdoppiamento del signor Goljàdkin che incontra il suo sosia in una notte di tempesta a Pietroburgo, che altri non è  che il prodotto deforme della sua coscienza, sintesi di arrivismo, volgarità e smania di affermazione che si scontra con l’io goffo e impacciato del reale.

In esso il grande scrittore russo è stato capace di esplorare le contraddizioni intrinseche all’individuo, prima ancora che queste fossero indagate dalla psicanalisi.

Attraverso la sua capacità di introspezione della psiche e grazie alle vicende universali a cui ha dato vita, il geniale autore ci ha lasciato in eredità degli strumenti di comprensione e decodifica delle nostre debolezze e precarietà.

E oggi appare più che mai importante ricordarcene, in una realtà sempre più polarizzata, che si ostina a classificare ogni persona o evento secondo le categorie antinomiche del bene e del male, e che ci porta a proiettare sull’altro la nostra stessa inadeguatezza, perché incapaci di orientare lo sguardo verso noi stessi e verso i limiti che ci determinano e che a volte ci annientano.

Sosia allora uguale ombra?

Secondo Jung, l’ombra è quella parte della nostra personalità di cui non siamo coscienti, che tendiamo a ripudiare perché la consideriamo poco desiderabile o addirittura ripugnante.

Nell’ombra, dice lo psicanalista svizzero, si celano i nostri istinti più primitivi, che durante l’infanzia sono stati censurati e sostituiti. Meno essa è incorporata nella vita cosciente dell’individuo, che se ne vergogna e la rifiuta, più questa si rivela nera e densa, agendo negativamente sulla strutturazione di una personalità solida e integrata.

Del resto, si dice che tutti abbiamo un noi stesso rovesciato rispetto alla nostra natura e sperduto in qualche angolo del pianeta. La cosa non ci stupisce finché resta astrazione e non intacca la nostra unicità.

Vedere se stessi può provocare immediatamente un senso di doppia presenza e di divina percezione. È un’esperienza che conduce immediatamente i “doppiati” in una condizione di coscienza alterata e di vissuto di alienazione della propria unicità. I

l sosia è un topos che ha dato tanto agli scrittori quanto agli studiosi di diverse specialità la possibilità di indagare più a fondo l’animo umano. Servendosi di un’immagine che, per la sua profonda radicazione nel nostro inconscio, si prestava a sviluppi assai ampi.

L’idea che, di punto in bianco, potesse apparire qualcuno capace di imitare o di possedere le nostre specificità oppure di esserne la precisa negazione è un evento considerato tanto assurdo quanto profondamente temuto. Radicato in una sezione della nostra coscienza che fa riferimento a paure, dubbi e tabù atavici.

Con il passare del tempo e con l’evolversi della società, il significato del sosia ha modificato la sua valenza, proprio a causa della molteplicità di riflessioni cui si presta e dei possibili sviluppi cui la sua apparizione è in grado di dare corpo.

Letteratura, fotografia, cinema, teatro, hanno attinto a piene mani dal concetto di doppio per dare vita ad una sua evoluzione che ci ha spinti a guardare sempre più dentro noi stessi.

La domanda, alla fine, che ci dobbiamo porre è: ci mette paura l’avere un sosia o è la nostra identità a farci vacillare perché ci riflette nei nostri abissi?

Cercasi sosia per pranzo di Natale
Anonimo 

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.