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Il silenzio è la vera rivoluzione

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Emil Cioran


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Ovvero perché citare oggi Orwell è come citare Bukowski sotto la foto al mare

All’infuori del lavoro tutto era vitato,
camminare per strada.
Distrarsi, cantare, ballare, riunirsi…
George Orwell – 1984

In queste ultime settimane, con l’aumento esponenziale dei contagiati dal virus Covid-19, stiamo assistendo quotidianamente a misure di restrizione della nostra libertà individuale, atte a contrastare la diffusione del virus.

Tenendomi a distanza da esprimere la mia opinione qui, dove non ci sarebbe contraddittorio, in merito all’efficacia o meno di tali misure – dovremmo anche chiederci il perché si stia arrivando a tanto -, quello su cui mi piacerebbe porre l’attenzione è come il popolo del web, o più in particolare quello dei social, stia reagendo. Ovviamente parlo in qualità di umile osservatore attento della realtà, e non nel ruolo di chi si muove con tabelle e dati scientifici scritti su un foglio di carta improvvisato.

Negli ultimi anni i social si sono trasformati da semplice luogo di svago e condivisione di foto o canzoni, a vere e proprie agorà virtuali di dibattiti, per lo più sterili, che hanno l’unico scopo di infiammare il nostro animo, il merito di arricchire il nostro vocabolario con la parola “indignare” e poi farci tornare al solito tran tran, dopo ore di inutili dibattiti ricchi di nulla, perché al 99,9% si è rimasti sulla propria posizione, che, per qualche ragione sconosciuta, ognuno crede che sia stato Dio a fornircela.

Per qualche strano motivo quel “A cosa stai pensando?” che compare sulla bacheca si trasforma non più in una domanda fatta da un software ad un essere umano, ma ad un ordine che ci obbliga esprimere una nostra opinione su un argomento, spesso quello del giorno, pretendendo di imporre il nostro pensiero a chi commenta sotto il nostro stato, solo perché è presente sulla “nostra bacheca personale”.

Di conseguenza, chiunque si troverà a commentare il nostro post, pensiero, ha due scelte: o essere d’accordo, prendendosi un like o un applauso dal “proprietario” del profilo dai suoi adepti, o di esprimere un’opinione diversa, quindi pronto a meritarsi insulti quando gli va bene, o se gli va male, di essere bandito per sempre dalle sue amicizie come se fossimo ai tempi di Silla e le sue liste di proscrizione.

Questo succede, a parer mio, perché “i dibattiti” nati sui social hanno per assioma il nascere da due basi già di per sé completamente sbagliate: la prima l’abbiamo detta, l’assoluta certezza che quello che scriviamo ci sia stato dettato direttamente da Dio come se stessimo, in quel preciso momento, riportando le parole del Signore e scrivendo una secondo Bibbia; la seconda, che è quella fondamentale, l’incapacità di relazionarsi con l’interlocutore come normalmente succederebbe in un bar, in un’assemblea o tra conoscenti. L’amico non arrivi ad “eliminarlo” se la pensa diversamente da te su un argomento.

E, quindi in questo vortice di notizie lette alla rinfusa, di attacchi verso i poteri forti, verso lo Stato, gli amici, il vicino, gli alieni ci ritroviamo a citare scrittori con frasi scoperte ad hoc da libri che, molto probabilmente, chi riporta non ha mai letto, e magari mai leggerà, ma che in quel momento raggiungono l’effetto desiderato che è quello di stupire il lettore del post, preso alla sprovvista da questa dotta invocazione.

È capitato molte volte con tanti scrittori, ma su la piega che sta prendendo questa citazione di Orwell mi sono sentito gelare il sangue, se non fosse altro che tutto è partito da Salvini, o più probabilmente dallo staff – media dietro Salvini.

Tutto nasce dal DPCM del 13 ottobre quando lui twitta, esempio di uso dei social:

Non più di sei persone a casa di ciascuno… Perché sette porta sfortuna? Togliamo la Polizia dalle strade e trasformiamola in Psico-Polizia per controllare i condomini??? Neanche George Orwell sarebbe arrivato a tanto, siamo alla follia, rileggiamoci “1984”.

Ora per chi non ha letto o non sa di cosa tratti ‘1984’ di Orwell, di sicuro viene colpito dalle parole Psico-Polizia, controllare i condomini e follia. Ma vediamo, innanzitutto, di cosa tratta il libro di George Orwell.

Il romanzo è diviso in tre parti ed è ambientato in un futuro prossimo, il 1984. Il mondo è diviso in tre macro-nazioni che si contendono, in quella che viene chiamata “la Terza Guerra Mondiale”, una quarta fascia territoriale.

La storia si svolge a Londra, capitale dell’Oceania, retta da un regime di stampo socialista fondato sugli ideali del Socing, che è l’acronimo per Socialismo Inglese. Il potere è retto da un solo partito, che non ha rivali all’opposizione, al cui capo è posto il Grande Fratello, una figura carismatica che nessuno ha mai visto e che viene rappresentato con dei tratti che ricordano le fisionomie di Stalin e Hitler.

La vita degli abitanti dell’Oceania è costantemente spiata da telecamere, dette “teleschermi”, che sono presenti in ogni abitazione e in ogni punto delle città. Questi sono gli strumenti con cui il potere diffonde ininterrottamente la propria propaganda e controlla i cittadini anche nella loro vita privata, assicurandosi un controllo totale sulle loro vite.

Il protagonista, Winston Smith, è un funzionario di basso rango del Partito Esterno che lavora al Ministero della Verità: qui Winston modifica testi, libri e foto del passato alterando la verità e ricreandone un’altra più adatta e confacente ai desideri del Partito. Winston, nonostante le apparenze della sua esistenza quotidiana, mal sopporta la rigida dottrina e la presenza assillante del regime, ed è conscio, proprio in virtù del lavoro che svolge, delle mistificazioni in cui è tenuta gran parte della popolazione.

Come forma di ribellione personale, ha iniziato a scrivere un diario, in cui riunisce tutte le proprie critiche al Partito e alla realtà in cui è costretto vivere: quest’attività è di per sé molto pericolosa, perché è una manifestazione di libero arbitrio e libero pensiero, e non può essere repressa dalla strategia di propaganda e controllo mentale del governo. Il protagonista è infatti costretto a scrivere le sue pagine nascosto nell’unico angolo della casa dove il teleschermo non può registrarlo.

Apparentemente sembrerebbe che ci siano diverse analogie tra i tempi che stiamo vivendo e quelli descritti del libro, ma se andiamo oltre la mera citazione scopriamo che non è assolutamente così.

Nel libro si parla di dittatura in termini assoluti, concetto che spesso non comprendiamo realmente, ma che nella realtà di casa nostra non esiste.
Ad esempio tutti abbiamo il diritto di parlare – ahimè qualcuno dovrebbe pur star zitto – ma nessuno ci censura, nessuno ci viene a prendere a casa se diciamo una cosa contro il governo o un politico, nessuno ci impedisce di fare una manifestazione.

Nel nostro caso, il concetto è molto più complesso. Per non andare a ritroso troppo negli anni e non scendere in noiosi e contorti discorsi economici e sociali, diciamo che questo tipo di società oggigiorno ci porta ad ingabbiarci con le nostre stesse mani.

Un esempio su tutti è il documentario ‘The social dilemma’, messo in rete poche settimane fa da Netflix, in cui viene spiegato, tramite la voce di molti testimoni diretti ed ex dipendenti dei più popolari social network, come tramite accurate strategie, algoritmi e quant’altro, l’interesse del fruitore diventi IL mercato, condizionandone, come è successo con Facebook, accusato di aver “pilotato” il voto degli americani, fatto per cui Mark Zuckebenerg è stato convocato dal Congresso degli Stati Uniti d’America.

‘The social dilemma’ ha scatenato molta indignazione, ma in fondo niente di cui realmente non si sapesse, ma rimane un documento importante, perché prova, pubblicamente, che l’uso dei social è dannoso per la società perché è strumentalizzato: “Se il servizio è gratis, il prodotto sei tu”.

I social network sono semplicemente i mezzi più evidenti e di più facile consumo e, quindi, di maggior comprensione del problema, eppure, nel periodo storico in cui il genere umano ha potenzialmente accesso a tutto il sapere di tutte le epoche, non sono capaci di usarli. Stiamo regredendo verso un’epoca molto scura dove la storia sta riscrivendo, capovolgendoli, i normali termini di evoluzione dell’umanità.

Oggi chiunque si sente in grado di criticare chiunque, il titolo di studio è visto come un accessorio spesso superfluo, mentre la popolarità sui social è l’obiettivo di molti ragazzi della nuova generazione. Secondo i dati ISTAT nel 2019, 6 italiani su 10 non hanno letto nemmeno un libro in un anno e di quei rimanenti 4, ancor di meno più di un libro al mese.

Se facessimo un paragone con un Paese limitrofo come la Francia, faremmo una brutta figura: lì solo 1 cittadino su 10 non legge un libro in un anno, ciò alza di molto il livello culturale della nazione e ci aiuta a comprendere almeno uno degli aspetti del perché in certi Stati, alcuni mal di pancia popolari riescono ad avere una più felice espressione.

Quando si scrive qualsiasi post – pensiero sui social, bisognerebbe avere la consapevolezza di sapere di cosa si sta parlando, della capacità di discernere una fonte veritiera da una notizia scritta da un pinco pallo su un sito sconosciuto.

Ci siamo scocciati di leggere di istruttori di palestra che parlano come se fossero primari di virologia, della signora che ci vuole mettere in guardia verso tutti gli arabi che sono attentatori, e del signore che se la prende con gli sbarchi per la disoccupazione in Italia, mentre per lui lavorano a nero venti ragazzi senegalesi.

Forse la vera rivoluzione sarebbe provare a tornare, quando questo virus ce lo consentirà, alle chiacchierate ai tavolini dei bar, alle tavolate enormi con il vino a tavola, lasciando i telefoni a casa ed i social muti, senza sentir il bisogno impellente di dover far vedere al mondo che ci si sta divertendo.

Cioran diceva nei suoi quaderni:

Perché ogni silenzio è sacro?
Perché la parola, salvo in momenti eccezionali, è una profanazione. L’unica cosa che elevi l’uomo al di sopra dell’animale è la parola; ed è anche quella che spesso lo pone al di sotto. La parola – strumento dell’elevazione e della caduta dell’uomo. L’uomo dovrebbe avere la libertà di aprire bocca solo di tanto in tanto. E funzione primaria della società dovrebbe essere lo sterminio dei chiacchieroni. Verso una generalizzazione della Trappa.

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Autore Marco Trotta

Marco Trotta è nato a Napoli nel 1981. Laureato in Conservazione dei Beni Culturali con indirizzo Storico-Artistico alla S.U.N. con una tesi sul restauro del Duomo di Napoli. Ha conseguito un master regionale di “Rilievo architettonico per i Beni Culturali”. Restauratore di beni culturali e poi catalogatore per la Soprintendenza di Caserta. Attualmente è anche redattore per Campaniarock.it e per la prestigiosa Art apart of culture.