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Il silenzio degli innocenti

Innocente


La più profonda definizione della giovinezza è vita non ancora toccata dalla tragedia.
Alfred North Whitehead

La fragilità è invisibile, una perla nera nel sudore dei giorni stanchi. Quel masticare quotidiano gesti che non hanno più impulsività ma sono automatici, figli di un insulso vagheggiare nelle ore ombrose. Ti senti spossato e vuoto, vorresti ma non riesci a proferire nemmeno una parola di conforto.

Forse, in questi quasi due anni di pandemia, una di queste sensazioni le hanno provate i nostri bambini. Il pensiero di un avvertimento impercettibile ma concreto, propagato ovunque, è ansiogeno e stressante per tutti, figuriamoci per i più piccoli.

Ancora di più in un contesto contraddistinto da una forte indecisione sotto vari punti di vista, oppressa da una comunicazione giornalistica e istituzionale spesso ingarbugliata e contraddittoria.

In età particolarmente delicate come quella infantile e adolescenziale le ripercussioni di questo scenario possono diventare serie, soprattutto per chi già presenta delle sensibilità segnate.

Le conseguenze psicologiche del Covid-19 sono ancora visibili in molti bambini e adolescenti, soprattutto per quanto riguarda i mutamenti nella vita e l’alterazione dell’equilibrio emotivo. Ed è chiaro che l’impatto riscontrato nei più piccoli avverte della modalità attraverso cui i genitori hanno vissuto il periodo di lockdown e le sue conseguenze, della loro gestione dello stress e della loro risonanza emotiva.

Maledetta pandemia, che ha lacerato ogni tessuto di vita sociale, compromettendo le certezze con cui si stava provando a far crescere una nuova generazione. Paure e fobie hanno avuto gioco facile: tra queste, le ansie collegate ad una socialità tanto anelata quanto compresa come virtualmente minacciosa, ma alcuni indizi spingono anche a temere che si possa divulgare un eccesso di germofobia e paura delle malattie presso le nuove generazioni, cresciute nel clima dell’emergenza sanitaria.

La completa assenza di ordinarietà è proprio la condizione che, ormai da tempo, grava notevolmente sulle vite dei più giovani, con effetti diversi a seconda della funzionalità del loro contesto di vita. E gli elementi che rappresentano questa “straordinaria ordinarietà” sono diversi e tutti molto importanti per l’assestamento di bambini e adolescenti.

Per questi ultimi poi, la situazione, paradossalmente, potrebbe essere stata più dura: difatti, l’adolescenza è una fase evolutiva delicata, caratterizzata da cambiamenti fisici e psicologici. È, per antonomasia, l’età dell’instabilità ma anche dell’esplorazione, delle esperienze e della socialità.

Le misure restrittive, di fatto, hanno improvvisamente troncato la quotidianità, contenendola in una bolla sospesa. Il confinamento obbligato ha modificato, subitamente, molti aspetti dell’esistenza, rendendo indispensabile una riorganizzazione della routine e, quindi, di una nuova quotidianità in una dimensione di tempo enormemente dilatata.

Nel caso dei ragazzi, in particolare, si assiste al coincidere di aggiuntive inasprimenti: in primo luogo, se il clima familiare non è sereno i figli, inevitabilmente, assorbono tutta la disperazione più o meno esplicita che aleggia per la casa. E, lo ripetiamo, la televisione, i giornali, in generale ogni fonte di informazione e di notizia, veicolano questo: incertezza e disordine.

In secondo luogo, c’è stata e c’è la DAD. La mancanza del contatto, vedere i propri compagni banco, sfiorarsi, essere visti ed essere toccati, sono tutti aspetti principali nella crescita di un adolescente, che vede il suo corpo in trasformazione e percepisce il bisogno di intessere relazioni sociali, che sente la necessità di attestare la sua individualità. E tutto questo, in condizioni di normalità, accadrebbe proprio tra i banchi di scuola.

Il virus ha fatto da detonatore rispetto ad alcune angosce claustrofobiche e ha impedito l’attribuzione ai soli genitori della negazione delle loro ansie emancipatorie. Gli aspetti fobici e depressivi sono risultati in parte attribuibili al mostro inghiottente e, in parte, inesorabilmente a se stessi, essendo presenti anche nel caso di non oppressivo controllo dei genitori, costretti a difendersi da un male terribile e a farsi garanti di un’unità familiare forse forzata, ma unica garanzia di contenimento e vicinanza affettiva.

Il sommarsi di questi malesseri porta i ragazzi ad una problematicità che può essere risolutiva per il progredire del loro futuro: c’è un grande sforzo a riprendere le attività. È un meccanismo mentale per cui, dopo essersi trovati per un certo periodo in una sorta di bolla, nel senso di essere lontani dalle pressioni tangibili della società che si vivono nell’adolescenza, diventa poi molto difficile ritornare indietro alla consueta normalità. E questo, purtroppo, è un pericolo abbastanza tangibile.

Difatti, la freddezza dei ragazzi verso la scuola, la socialità, la perdita di motivazione originata dalla situazione di disagio e dal rendimento scolastico che peggiora, sono tutti fattori che, in un momento così delicato e decisivo come lo è la scelta della scuola superiore, possono avere conseguenze importanti.

Ergo, in ogni emergenza bisogna “fare presto”, bisogna correre contro il tempo, individuare subito su quali fronti concentrare le forze di “pronto soccorso” per dare velocemente aiuto a chi è più facilmente colpibile e colpito, per poi provvedere alla messa in sicurezza di quanto si può ancora salvare. O alla ricostruzione.

E se torniamo ai bambini il trauma collettivo è riuscito a far riemergere paure profonde, che, nel caso di famiglie a rischio di abuso, si sono riacutizzate, svelando la conflittualità profonda del nucleo parentale e richiedendo la presenza dei servizi sociali, a monitorare il rischio di degenerazione.

Sono riemerse paure di abbandono e di perdita, che nei soggetti fragili, hanno creato inibizioni sul piano dell’apprendimento, della produzione fantastica, della creatività e del gioco.

Abbiamo scoperto nel post Covid, bambini impauriti, chiusi in se stessi, meno capaci di usare il gioco come veicolo simbolico, ma trasformato in mezzo meccanico grazie all’aumento di video giochi e strumentazioni elettroniche varie che lo hanno isolato e gli hanno, altresì, consentito il rifugio in un mondo deanimato e anaffettivo, a protezione dal rischio di crolli psichici e dall’ingerenza genitoriale.

Hanno spesso consentito la creazione di uno spazio privato a difesa di un sé divenuto più fragile ed esposto, mancando anche il contenitore gruppale rappresentato dalla classe.

Cosa fare allora?

Serve dare fiducia e ricordare che da loro possiamo imparare molto. Anche con l’aiuto dei social network: i giovani che vengono spesso criticati per l’uso che ne fanno, ci stanno dicendo che c’è un nuovo linguaggio da utilizzare. Loro sono nati digitali ed è importante mostrarsi partecipi ed interessati al loro mondo invece di banalizzarlo.

Investire in un piano di crescita formativa per accrescere le loro competenze e capitalizzare nella tecnologia che può divenire il ponte verso il domani. Guardarli negli occhi non significa solo specchiare le loro angosce, ma dar loro una speranza, altrimenti è cecità pura.

Un altro strumento utile può essere responsabilizzarli per davvero, rispettandoli nelle loro difficoltà e nelle loro diversità. Ascoltarli, perché il futuro di questa terra passa attraverso la loro voce. Altrimenti, udiremo solo un silenzio lungo e drammatico: quello degli innocenti.

La più grande tragedia avrà inizio quando i giovani non vorranno più cambiare il mondo.
Vasile Ghica

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.

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