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Il senso delle cose

Il senso delle cose


Le notizie si sovrappongono, come un puzzle infinitamente indefinito, dove i tasselli combaciano ma poi, improvvisamente, si rigettano l’uno con l’altro.

Ecco che devi ricominciare di nuovo a cercare quale sia la composizione corretta, quale è il primo che darà al secondo l’opportunità di incastrarsi e, da quell’innesto, sperare di dare origine a tutto, augurarsi di aver intrapreso la chiave giusta che porterà alla soluzione di quel rompicapo.

Le notizie scorrono su ogni binario informativo, tendono agguati alle nostre certezze, fomentano i nostri dubbi, cospirano alle nostre spalle mentre le leggiamo.

In questi giorni il sentimento che stiamo provando, temo sia di una nuova confusione che, tornando al puzzle, si incastra perfettamente con il senso mai pacato completamente di angoscia per i giorni vicini e per quelli che verranno.

Il vuoto liberatorio sta lasciando il posto ad un enfatico “ve lo avevamo detto”. Il terrore che gli sforzi compiuti per arginare il pericolo di una pandemia, ancora del tutto da debellare e, a quanto pare, ancora lontana dall’essere combattuta con un vaccino sperimentato, si rivelino inefficaci è seriamente alto.

Crescono di nuovo i contagiati, frutto di una politica isterica dell’uomo a cui è bastato che le istituzioni dessero lo stop al lockdown con il burocratico ma cauto “liberi tutti, ma con responsabilità” per ritrovare impetuosamente la lasciva e selvaggia sensazione di essere invincibile e, quindi, una volta riavuti i super poteri tornare alla vita di sempre, magari riprendendosi il tempo perduto, fregandosene completamente dei limiti e dei divieti, annullando lo spirito di prevenzione con un più epicureo godere dell’attimo che fugge. Un nuovo blackout mentale che potrebbe costarci caro.

Come naufraghi che tornano nella propria città, dimentichi del dolore trascorso, ci dedichiamo a vivere l’impossibile con la frenesia incontenibile ed incontentabile di chi ha conosciuto la morte o si è scoperto fragile nel fronteggiare le avversità della Natura, ed ora vuole ora tutta per sé la vita; viverla fino in fondo in un delirio di onnipotenza che guarda a chi ammonisce e richiama ad un’esistenza meno licenziosa ma più costumata come ad un sopravvissuto che ha la pretesa di tediare gli altri ricordando cosa è successo con ostinata e veemente morbosità.

Imparare a vivere è, forse, l’arte più difficile da apprendere.

Continuiamo a stare al mondo assumendo comportamenti barbari e autolesionistici, generando un vortice di instabilità che risucchia ogni buona intenzione e ci proietta in un futuro nebuloso. Con il forte rischio di rendere il senso della nostra vita sempre più precario, continuando a fare della nostra quotidiana esistenza un banale anelito che si disperde nel concerto dell’universo. Senza lasciare traccia alcuna, ma divenendo cenere che si alza e viene ingoiata dal buio celeste ed eterno.

Quello che ci sta accadendo, questa tormenta che imperversa, dovrebbe renderci deboli nelle paure che attraversiamo ma dovrebbe, anche, insegnarci a capire meglio il senso delle cose.

Le vicissitudini che questa società sta subendo, ora come non mai, sono frutto di una gestione irresponsabile degli eventi che si sono verificati: il virus corre ancora, la seconda ondata non si arresta.

Sono oltre i venti milioni i casi di infezione registrati a livello globale, stando al Coronavirus Resource Center della John Hopkins University.
I decessi attribuiti nel mondo al Covid-19 sono oltre i 700mila.
Questa triste evidenza ci porta ad una riflessione su quello che siamo e stiamo facendo oggi nel nostro vivere, nel nostro abitare questa terra.

A mio avviso, questo virus non è solo l’irruzione dell’altro, il non-umano, nella nostra realtà, è anche un annunciatore fedele, tangibile, del nostro modo di essere umani e di affrontarlo quando non si può accoglierlo, rafforzandolo o indebolendolo. Proprio quello che non riteniamo umano ha performato il drappo ideologico, accelerando, nel sogno dell’individuo autonomo, la realtà dell’appartenenza e dell’identità sociale.

La ricerca di una trama unica che contempli una sola rete a cui legarsi e da cui attingere; una visione che muove ansie e celebra la funzionalità di un corpus unico e dinamico, composto da tante razionalità e che addensi verità e bugie, finzioni e consapevolezze per arrivare allo stato in cui si può discernere il bene dal male e viceversa.

E intanto passa ignaro, il vero senso della vita, si cambia amore, idea, umore, per noi che siamo solo di passaggio.
Franco Battiato 

Qualunque siano i condizionamenti ricevuti nel corso della nostra vita, tra le cose che abbiamo avuto e che abbiamo dato, i bisogni affettivi e di considerazione non appagati, noi rimaniamo i “signori” del nostro destino. In qualunque momento possiamo tornare padroni di noi stessi.

Il cammino, a volte tortuoso, della vita potrebbe averci fatto smarrire. Perché, fin dalla nascita, dobbiamo imparare ad essere felici e a pretendere questa felicità. Non dobbiamo diventare paladini della felicità ma capire che spesso, quello che noi vorremmo essere, è troppo diverso da quello che siamo veramente.

Tra questo “Io ideale” e il “Sé reale” non dovremmo creare troppa distanza. Gestendo meglio il sentimento che rafforza il nostro dimensionamento nel mondo, sfigurando l’immagine che forzatamente vogliamo dare, sbagliando, e, invece, modellandoci sulle nostre primarie necessità e sulle nostre urgenze prioritarie. Siamo quello che vogliamo essere.

Il senso delle cose non è un fidarsi istintivo né una artificiosa costruzione di ambizioni poco concrete che nascono da un inquietante percorso intimistico o da un mero “copia e incolla” di strampalati miti last minute.

Il senso delle cose sta nel senso che diamo della vita stessa: che sia profondo o meschino, il senso di ogni cosa è nell’affido della nostra anima a quello che pensiamo, crediamo o a cui obbediamo.

Oggi, più che mai, passiamo da un letargico abbandono ad un mistico desiderio di ritrovarsi, sedotti, diabolicamente, dal superfluo o agganciati all’amo di un disperato carpe diem.

Per Adler il primo passo per trovare il senso della propria esistenza era nell’autoaccettazione, in quello che lui definì il coraggio di essere normali.

Eppure, per molti filosofi cercare una risposta alla domanda se esista un senso della vita è inutile, una debole necessità di dare un valore predefinito alle cose che viviamo, a cui crediamo e alle quali tendiamo.

Senso è una parola che nasce solo all’interno della popolazione cristiana: i cristiani concepiscono il tempo come escatologico – éskhatos è una parola che significa ultimo – dove, alla fine, si realizza quello che all’inizio era stato annunciato, allora il tempo acquista un senso perché iscritto in un disegno, in un progetto. Non è un convenzionale sentore, non è una trasversale ma caduca necessità.

I greci, invece, che pensavano che fosse ciclico, primavera, estate, autunno, inverno, e quindi gli uomini seguissero il destino della natura, che è semplicemente la ripetizione della sua vitalità, non si ponevano il senso della vita, perché il loro tempo non era iscritto in nessun disegno, ma incluso in un ciclo naturale.

Chiedersi, quindi, che senso ha la vita è superfluo, almeno per alcuni studiosi e per gli antichi greci. Ma vale ancora ad oggi una simile considerazione?

Tutti possiamo e dobbiamo trovare la nostra fonte di senso all’interno della vita stessa. Questa è stata la grande intuizione dei pensatori esistenzialisti come Camus. Gandhi scrisse che aveva trovato il senso nel “servizio a tutto ciò che vive”.

Come una missione: in effetti, la vita può essere letta anche in questa chiave. Correndo il rischio di vedere sempre il giorno che viene come se fosse l’ultimo, creando attese radicali che spesso espellano dalla nostra orbita sentimenti / aspetti come la meditazione, l’ozio o sentendosi parte di un processo sociale solo se estremizzato e magari caotico.

Quindi, in questo caso, l’essere felici, più che un senso vero e proprio, sembrerebbe una modalità, una meta ambita per cercare di vivere con pienezza la propria esistenza.

Poi, vi è il paradosso: c’è addirittura chi riesce a trovare nella potenziale inesistenza del senso della vita una ragione per vivere, come afferma il filosofo Emil Cioran:

Il fatto che la vita non abbia alcun senso è una ragione di vivere, la sola, del resto.

E a pensarci, l’evenienza che non esista un senso assoluto globale, non impedisce la possibilità che vi siano più sensi della vita, che non obbligatoriamente devono essere comuni a tutti.

Magari potremmo avere la possibilità di scegliere uno o più scopi, che potremmo scoprire con il nostro senso della vita, riuscendo così ad offrire un significato vigoroso ed originale ad ogni istante della nostra esistenza, poiché, così come ci ricorda lo psicologo Martin Kohe:

Il potere più grande che una persona possiede è la possibilità di scegliere, anche e soprattutto per quanto riguarda il senso della propria vita

abbracciando un valore intrinseco all’essere umano, ovvero la libertà.

Il senso delle cose, della nostra vita non può essere frutto di sola intuizione, ma di esperienze che intercettano il vissuto dell’amore e del dolore, così da farci capire chi siamo e cosa potremmo non fare.
Perché, a volte, è più importante riconoscersi negli sbagli che fingendosi nelle vanaglorie.

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.

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