Storie di ordinaria pandemenza
In articoli precedenti ci siamo interrogati circa le caratteristiche che dovrebbero distinguere un essere umano, o presunto tale, dagli altri animali.
In uno, in particolare, ci siamo soffermati su quello che dovrebbe essere il legame tra una mamma e la sua prole.
Nello specifico, avevamo preferito non fare riferimento a fatti recenti, sperando che la decontestualizzazione potesse riportare ad una universalità del discorso.
Stavolta, invece, prendiamo le mosse proprio da un episodio di cronaca di qualche giorno fa.
Abbiamo aspettato un po’ prima di scrivere.
Innanzitutto perché speravamo si trattasse di una delle tante bufale che ormai infestano la comunicazione mondiale. A partire da quella politica.
Sì, abbiamo sperato in una boutade alla Lercio.
Ma le conferme sono arrivate inesorabili, arricchendo la narrazione di dettagli.
Nomi, luoghi, foto.
Servizi di reti prestigiose come la ABC.
Il secondo motivo è che abbiamo preferito lasciar sedimentare la riflessione.
Scegliamo di non scrivere sull’onda emotiva, quando le emozioni potrebbero compromettere lucidità e analisi.
Lei si chiama Sara Beam, ha 41 anni e vive a Jersey Village, una tranquilla cittadina di poco meno di 8.000 anime alla periferia di Houston, nel Texas, USA.
Il giorno 3 gennaio Sara deve portare suo figlio tredicenne a fare il tampone per verificare se si è neutralizzato dal Covid.
Fin qui, tutto normale.
Per evitare la possibilità di essere contagiata, però, Sara, invece di far salire il ragazzino magari sul sedile posteriore, ha un ‘colpo di genio’.
Lo chiude nel bagagliaio!
Arriva al centro diagnostico, si mette in fila come tutti quanti gli altri.
Quando il direttore sanitario chiede dove sia il piccolo paziente, per eseguire il test, Sara, con tutta calma, come se sia la cosa più naturale del mondo, lo accompagna alla vettura e apre il bagagliaio.
Immediata la denuncia, con successivo arresto della donna.
Uno pensa, magari la poverina beve, fa uso di stupefacenti.
Nemmeno.
La ‘signora’ fa l’insegnante.
Sì, è una di quelle persone che dovrebbero formare le nuove generazioni.
E dall’articolo della ABC che abbiamo linkato sopra apprendiamo che ci sono state iniziative a suo favore da parte del vicinato e di allievi:
Video from the neighborhood shows a number of posters around her home, with messages like, “Don’t judge a book by it’s cover,” and “We appreciate you.”
Other signs list the ways in which Beam has helped her students, including helping them to learn English and making it to college.
Adesso, se la copertina dovesse essere veramente questa, non osiamo immaginare cosa troveremmo nel libro, qualcosa di raccapricciante, da intimorire anche Maestri del genere Horror come Lovecraft o Poe.
O meglio, ci sembra di ritrovare le dinamiche di alcuni romanzi di King, dove il terrore, oltre e più che legato ai mostri della narrazione classica, come vampiri, lupi mannari o comunque dal sovrannaturale, scaturisce da situazioni psicologiche.
A fare paura è il timido vicino di casa, o la placida professoressa che insegna inglese ai nostri figli.
A fare paura è quel We appreciate you.
L’aberrazione percepita come normalità.
Cosa sarebbe capace di fare ad un estraneo una madre che per paura di contrarre un virus, che ormai è meno letale di un normale raffreddore, si spinge fino a chiudere il proprio figlio nel bagagliaio dell’auto?
E ci chiediamo ancora, in che condizioni di isolamento lo ha tenuto durante la degenza?
Generalizzando, quante persone che fanno ipocritamente riferimento ad un fantomatico senso civico sono invece mosse da una penosa vigliaccheria di fondo?
Quale senso civico porta a chiudere un bambino nel cofano della macchina?
O far scrivere a medici ed infermiere di propositi, speriamo solo tali, di vendetta, nei confronti di chi legittimamente esercita il proprio diritto a non sottoporsi ad un farmaco che può avere reazioni avverse anche gravissime, fino a portare al decesso?
O a chiederne l’arresto, la deportazione.
Alla faccia del senso civico, ci viene da dire, pensando al grande Totò.
Per un virus, poi, che non ha mai avuto una letalità significativa e che è ormai endemica da mesi, come argomentano mirabilmente Andrea Sigfrido Camperio Ciani e Gianluca Musumeci nel loro studio che abbiamo pubblicato qualche settimana fa.
Quale senso civico può mai essere quello di chi, nonostante richiami vari, si richiude in casa evitando contatti, privandosi delle cose alle quali ha dedicato la vita fino ad appena due anni fa?
Ci vediamo solo tanto egoismo, che è l’opposto del senso civico.
Paura di ammalarsi. Di soffrire. Di morire.
L’estremo ed ottuso egoismo di chi, per una remota probabilità di morire, rinuncia a vivere.
Ci viene in mente una citazione, poi ripresa e parafrasate più volte.
I paurosi muoiono mille volte prima della loro morte, ma l’uomo di coraggio non assapora la morte che una volta.
William Shakespeare – Giulio Cesare
Quanto valgono queste non vite?
Sono convinto che paradossalmente la vita di un uomo abbia tanto più valore quante più sono le cose per le quali sarebbe disposto a morire.
Pietro Riccio – Eternità diverse
Ci siamo imbattuti in un video, girato in India, che riprende una cagnetta che difende i propri cuccioli dall’attacco di un pericolosissimo cobra.
La deriva della cultura occidentale ci sta, indubitabilmente, portando a vivere vite che valgono meno di quella della coraggiosa mamma del video.
Autore Pietro Riccio
Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.