Dopo il precedente articolo, riprendiamo il nostro approfondimento sulla Grande Madre da un suo aspetto principale: ovvero, il suo carattere fortemente tellurico.
La Terra, infatti, incarna da sempre l’aspetto femminile e sacro della divinità, perché genera le piante, produce i frutti e permette alla vita di perpetuarsi. In questo, dunque, essa si oppone al Cielo, a cui è sempre stata attribuita una valenza maschile.
Ecco perché, nel simbolismo universale, un elemento orizzontale rappresenta il femminile, mentre quello verticale il maschile; il più elementare dei simboli, la croce, non è altro che, in prima analisi, l’unione di questi due aspetti fondamentali, il modo più semplice per esprimere il Dualismo insito nella Natura.
La terra, scura e umida, ricorda il grembo e, quindi, l’utero nel quale la vita viene generata; non fa meraviglia, dunque, il fatto che il simbolo che da sempre le è stato associato sia un triangolo equilatero che rivolge la punta verso il basso, che, in aggiunta, presenta un trattino orizzontale in corrispondenza del vertice inferiore.
Per lo stesso motivo, molti dei culti tributati alla Grande Madre si svolgevano in cavità sotterranee, ipogei.
Questo fornisce un’altra prospettiva, meno nota, ai culti della Grande Madre: il legame con le energie telluriche. L’argomento in questione è troppo vasto ed articolato per essere trattato in questa rubrica ma è bene tenere in mente, per il momento, che tali energie sottili, per molti studiosi, scorrono sottoterra e formano dei reticoli invisibili.
Nei punti nodali di tali reticoli le energie sono più forti e, quasi sempre, corrispondono, in superficie, a siti importanti, ritenuti sacri fin dall’antichità, nei quali sono stati edificati un tempio dopo l’altro, dalle culture che vi si sono avvicendate.
Colline, naturali o artificiali, grotte e specchi d’acqua contraddistinguono queste località, così come la presenza di rocce, come le pietre della fertilità, e sorgenti, pozzi e fonti sacre, dalle caratteristiche particolari e dalle proprietà taumaturgiche.
Uno dei tanti simboli da sempre utilizzato per indicare le correnti telluriche sotterranee è quello del serpente, ed è per questo motivo che in molte raffigurazioni delle dee madri compare questo animale.
Si noti ancora che esistono altri culti, non specificamente tributati ad una divinità femminile, che si ispirano alle stesse tematiche: il mitraismo, primo fra tutti, ma anche il culto di Sabazio.
Non è infrequente, perciò, che essi venissero celebrati insieme nelle stesse locazioni, come abbiamo avuto più volte occasione di rimarcare, sia a proposito dei mitrei di Ostia Antica, sia riguardo a quelli situati in Inghilterra lungo il Vallo Adriano, in particolare il mitreo di Carrawburgh.
Molti, difatti, sono i ritrovamenti in merito: immagini e simboli che richiamano la divinità femminili. Ad esempio, alcune fonti raccontano come un prototipo di queste immagini sacre fu portato in Italia, a Gela, da un uomo chiamato Teline, sacerdote delle due dee, Demetra e Persefone.
Persefone è la dea senza età, è la natura che ogni anno si rigenera in un ciclo di morte e rinascita che non ha fine. Venerata in due modi, come Kore, “fanciulla”, e come regina degli Inferi, Persefone è figlia di Demetra, dea dei raccolti e istitutrice dei Misteri Eleusini, cerimonie religiose che si tenevano in autunno e in primavera ad Eleusi e che garantivano agli iniziati una vita beata nell’aldilà.
In autunno si celebra il momento in cui Kore viene rapita dal dio dei morti, Aidone, e la madre per la scomparsa della figlia si adira nei confronti degli dèi e non lascia germogliare le sementi. In primavera, invece, la divina fanciulla fa ritorno sulla terra, per volere di Zeus, e i campi tornano a coprirsi di spighe. Insomma, è la donna a mutare le stagioni, una dea del tempo che detta legge e si impone.
In conclusione, la società del Paleolitico Superiore era probabilmente di stampo matriarcale: le donne tenevano le redini delle famiglie diventando il centro del mondo. Il culto degli antenati si è unito con l’immagine della donna capo clan e ha generato l’Antenata Divina, colei che ha dato vita a tutto, raffigurata in numerose statuette gravide trovate tra Europa, Medio Oriente e India.
Ma cosa è successo dopo?
Circa 5.000 anni fa, si passa da una cultura matriarcale ad una patriarcale. Tale cambiamento viene determinato da un nuovo elemento: le incursioni di un gruppo di civiltà guerriere, meglio note come Indoeuropei.
Tra 6.000 e 2.000 anni fa questi invasero l’Europa e l’Asia, abbattendosi sulle popolazioni pacifiche che vi abitavano, e portandovi la propria cultura, basata su ideologie maschili estremizzate, sulla fabbricazione delle armi e sul cavallo, sulla lotta e sulla violenza. E, soprattutto, sulla supremazia, cioè sul dominio sugli altri.
Per gli Indoeuropei fu facile dominare le donne: esse erano più piccole, più deboli e limitate dall’accudimento dei bambini. Non solo, con la scoperta del ruolo maschile nella fecondazione, la donna divenne un oggetto, una proprietà dell’uomo, in modo da garantire al padrone una certezza fondamentale, quella della paternità.
In tal modo i figli divennero simbolo di una discendenza patrilineare, che garantiva il passaggio dei bene posseduti al figlio maschio primogenito. Ovviamente, il cambiamento culturale non fu improvviso e drastico ma lento e graduale. Si iniziò passando da un’unica dea forte ad una serie di divinità femminili, minori e assoggettate ad un dio maschile più forte.
Non solo il dio maschio è preponderante, la divinità femminile copre un ruolo comprimario o subalterno. La gerarchia assume un compito preponderante nella costruzione del mondo divino: le dee sono esclusivamente mogli, madri, sorelle, amanti o figlie di un dio maschile sempre più potente di loro e ai cui voleri devono sottostare.
Nello sviluppo patriarcale, monoteistico e maschile, tendente all’astrazione, vale a dire anche nell’Occidente giudaico-cristiano, la dea, come figura femminile della saggezza è stata detronizzata e repressa.
I suoi simboli sono stati fagocitati dalla cultura cristiana dove hanno subito una drastica trasformazione nei rituali ‘maschili’, come, ad esempio, il battesimo, oppure sono stati posti ai margini della cultura dominante – si pensi al simbolo della Vergine in trono, all’uovo pasquale, al Graal – o addirittura trasformati negli opposti negativi, come, per l’appunto, la croce che da primitivo simbolo di fecondazione è diventato simbolo di morte.
Sembra un racconto fuori da ogni nostro tempo, eppure qualcosa oggi, seppure tenuamente, pare risvegliare arcaici furori e mai domi legami con l’eterno divenire della storia dell’umanità, intervallandosi con funeste ire patriarcali, che sapevano e sanno di vendetta e di rancoroso e angoscioso bisogno di primeggiare.
Inoltre, i nuovi dei sono portatori anch’essi di valori maschili, portati all’eccesso: impositivi anziché collaborativi, tirannici anziché autorevoli, violenti e sanguinari anziché forti e gentili. E si ispirano al Sole, anziché alla Luna, che aveva incarnato la Dea femminile. In tal modo il femminile divenne sempre meno importante, sempre meno divino, fino a scomparire definitivamente.
Ad oggi, però, come si può raffigurare nel nostro tessuto quotidiano la Grande Madre?
La Dea Madre nel contesto moderno continua ad essere un simbolo potente e significativo, anche se la sua venerazione e interpretazione possono variare notevolmente a seconda delle diverse culture, religioni e movimenti spirituali.
La Dea Madre è spesso vista come emblema di fertilità, nutrimento e creazione. Rappresenta la capacità della natura di generare vita e di sostenere la crescita.
Nella cultura moderna, questo simbolismo può essere associato alla maternità, alla cura delle madri e alla connessione con la terra come fonte di sostentamento.
Anche oggi si tenta di riscoprire questa grandezza: difatti, la Dea era considerata creatrice e legislatrice dell’universo, profetessa, artefice di destini umani, inventrice, guaritrice, cacciatrice e valorosa leader in battaglia.
Sfidando le regole cosiddette patriarcali, possiamo affermare che il tema centrale del simbolismo della Dea si dispiega nel mistero della nascita e della morte e nel rinnovamento della vita, non solo umana, ma di tutta la terra e anzi dell’intero cosmo.
Ecco perché la saggezza femminile e materna richiede partecipazione e non un sapere astratto e ‘imposto’. Alla struttura di una conoscenza piramidale e dogmatico ne fa fronte una universalmente condivisa e a disposizione di chi ne voglia fare ‘esperienza’.
Il ritorno della Dea è l’evoluzione e rivoluzione, che dal passato ancestrale del nostro inconscio, riporta attuale il potere insisto nel mistero profondo e divino dell’essere. La donna è chiamata dal divenire stesso dell’esistenza, ad essere la vera protagonista per una rinascita del nostro mondo. O, almeno, lo spero.
Autore Massimo Frenda
Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.