Se l’ignoranza della natura ha dato vita a Dio, la conoscenza della natura è stata fatta per la sua distruzione.
Percy Bysshe Shelley
Si dice che fin dalla creazione del mondo, l’umanità sia stata accompagnata dalla Grande Dea Madre, che l’ha avvolta e protetta sempre col suo amore infinito.
La Dea è il volto femminile della sorgente del cosiddetto Amore Universale. Venerata in ogni tempo e luogo, si è manifestata con molti nomi e sotto tante forme, prendendo figura e sembianze a secondo del credo e della fantasia di quel determinato tempo e popolo.
Per questo, possiamo affermare che l’immagine primordiale, archetipica, della Grande Madre, è sempre presente nella psiche dell’uomo; la sua espressione si incontra nel rituale, nella mitologia e nell’arte dell’antichità, come pure nei sogni, nelle fantasie e nelle creazioni dell’uomo contemporaneo. Sconfiggendo la ruggine del tempo e la banalità di certi dogmi.
Negli ultimi anni, tra il fermento del calderone New Age e un certo uso trasgressivo e al contempo puerile del pensiero femminista, si è tornato a parlare con maggiore frequenza e curiosità della Grande Madre, non senza creare confusione e ridicole supposizioni.
Ma di cosa si tratta, esattamente? Di una divinità oggetto di culto solo in determinati momenti storici e in zone limitate?
Anche nota come Grande Dea o Dea Madre, essa è intesa come una divinità femminile primordiale che si trova in forme molto diverse in una vasta gamma di culture, civiltà e popolazioni in tutto il mondo, a partire dalla preistoria fino al periodo neolitico.
Durante il periodo Neolitico, che va dagli 8.000 ai 3.000 anni a.C., e l’Età del Bronzo, dal 3.000 al 1.000 a.C., era fiorita nell’area mediterranea, a partire dal bacino mesopotamico della mezzaluna fertile, e nell’Europa, nell’Anatolia e nel Vicino Oriente, una civiltà che affonda le sue radici antichissime nel Paleolitico, il periodo che va da 2.500.000 anni a.C. ai 10.000 anni a.C..
Questa figura simbolizza il potere materno della creatività, della nascita, della fertilità, della sessualità, del nutrimento e della crescita. E fin qui, diciamo che non c’erano dubbi.
La Grande Madre è stata venerata con vari nomi e attributi in diverse culture: Ashtoreth, conosciuta dai Fenici, Ishtar, nel contesto mesopotamico, Astarte, tra i Semiti, Afrodite, nella mitologia romana, Hathor, nell’antico Egitto.
In Cina è chiamata Quan-Yin, in India Durga. In Grecia fu identificata con Gea e Athena, in Italia con Cibele, Bona Dea, Minerva ed Uni e con l’antica Dea Mater Matuta degli etruschi, in Spagna e a Malta con la Dea Astarte, in Irlanda con la Dea Brigit, in Russia con la Dea Lada.
Viene connessa al culto della Madre Terra e rappresenta il ciclo infinito di nascita, sviluppo, maturità, declino, morte e rigenerazione che caratterizza sia le vite umane che i cicli naturali e cosmici.
In certi periodi storici e in certe società, le donne erano considerate e valorizzate e la società era di carattere egualitario, si evidenziava un particolare rispetto verso la Madre Terra come simbolo della Grande Madre.
Il potere della donna era inteso non come dominio, ma come capacità di illuminare e trasformare la coscienza umana: diciamo una specie di potere spirituale che si manifestava non solo nella conoscenza e nella saggezza, ma soprattutto nella verità, nell’amore e nella giustizia.
Queste qualità, come si può dedurre, verranno in seguito attribuite alla Vergine Maria, assumendo un ruolo significativo in molte mitologie, come ad esempio nella cultura andina dove è nota come Pachamama e tra gli aborigeni australiani come Kunapipi.
Ad oggi, per taluni studiosi, la Grande Madre viene identificata anche come il Femminino Sacro e lo si associa allo Yin, all’energia lunare e all’elemento dell’acqua, alle emozioni, all’intuito, alle premonizioni e alla innata ed inconscia – a volte – padronanza delle energie sottili.
È anche collegato idealmente alla custode del Fuoco Sacro, perché il femminile è indubbiamente custode della scintilla divina, della scintilla della Vita. L’energia del Divino Femminile è l’energia stessa della vita, della creatività, intesa come creazione della scintilla divina della vita, o come ispirazione artistica, è l’arte del creare a 360° ed in ogni senso che la nostra comune immaginazione riesca a partorire.
È la controparte compensatoria del Maschile Divino.
Queste due energie non sono nate per essere in opposizione, ma per bilanciarsi reciprocamente, nessuna delle due ha bisogno di sopraffare l’altra, non è la supremazia l’obiettivo finale, il vero ed unico fine della loro esistenza è la loro armonica complicità, la loro fusione sacra che fluisce e diventa equilibrio sacro.
È assai evidente, a questo punto, che la Grande Madre sia una potente simbolizzazione del femminile sacro e della connessione tra l’umano e il divino, incarnando la terra stessa e la sua capacità di nutrire e generare vita.
I suoi simboli più remoti, dipinti o incisi su pietra o rappresentati in manufatti di osso o di corno, riflettono la profonda credenza in una grande Dea Madre generatrice della Vita, che dalla sacra oscurità del suo grembo dà origine a tutta la creazione: si tratta della Natura stessa, che dona e toglie l’esistenza, che è sempre capace di trasformarsi nel ciclo eterno costituito da nascita, vita, morte e rinascita.
Le statuette dell’età paleolitica e neolitica ci pongono in uno spazio dove le Dee Madri o le Veneri steatopige – letteralmente ‘dalle grasse natiche’ – rappresentavano il Femminile come depositario della magia del ciclo della vita: in particolare, sin dal 25.000 a.C. i seni, la vulva e le natiche della Dea vengono rappresentati in modo evidente e sovra-proporzionato, a sottolineare i centri di emanazione della sua forza procreatrice e della sua saggezza.
Poiché nel mondo della natura la morte e la rinascita sono strettamente connesse tra loro, la Dea della morte e quella della rigenerazione sono in genere concepite come una sola divinità, a riconoscimento dell’unione ciclica di queste contrapposte polarità.
Venivano adorate molte dee o forse una sola Dea in molte forme, con raffigurazioni caratterizzate da un simbolismo assai complesso – bambina, fanciulla, adolescente, donna, madre, adulta, anziana -, riflettendo la ricchezza del Femminile nelle sue multiformi dimensioni, e ad ogni fase/passaggio evolutivo si arricchisce conoscenze, esperienze, vissuti, comprensioni, capacità.
Inoltre, prima di lppocrate, 460 – 377 a.C., padre della medicina in ambito mediterraneo/occidentale, il pensiero collettivo non aveva ancora chiaramente separato la comparsa delle malattie dall’intervento divino e, pertanto, le funzioni attribuite in seguito ai medici, erano comunemente di pertinenza delle figure sciamanico – religiose.
Pare che le donne si dedicassero a queste pratiche magico – terapeutiche molto più degli uomini, in particolare, le donne «sagge» della comunità, le più mature, che avevano terminato il ciclo biologico mestruale.
Nel sito neolitico di Çatalhöyük, in Turchia gli archeologi hanno recentemente portato alla luce una statuetta femminile, probabilmente parte di una deposizione rituale, e secondo Lynn Meskell, archeologa di Stanford, e i suoi colleghi, figure femminili come quella sono probabilmente rappresentazioni delle anziane del villaggio, ovvero donne molto rispettate e con molto potere nella comunità.
Da diverse fonti si evince che il ruolo della donna anziana veniva riconosciuto come fondamentale nella celebrazione rituale dei momenti salienti della biologia femminile: erano considerati di estrema importanza non solo il momento del sanguinamento mensile, ma anche gli altri momenti di cambiamento nella vita di una donna, quali il menarca, la gravidanza, il parto e la menopausa, termine che si preferisce tradurre in ‘Quattordicesima Luna’.
Insomma, la Grande Madre viene ad essere
magica autorità del femminile, la saggezza e l’elevatezza spirituale che trascende i limiti dell’intelletto; ciò che è benevolo, protettivo, tollerante; ciò che favorisce la crescita, la fecondità, la nutrizione; i luoghi della magica trasformazione, della rinascita; l’istinto o l’impulso soccorrevole; ciò che è segreto, occulto, tenebroso; l’abisso, il mondo dei morti; ciò che divora, seduce, intossica; ciò che genera angoscia, l’ineluttabile,
così Carl Gustav Jung, nel suo celebre saggio omonimo.
Autore Massimo Frenda
Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.