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Il quadrato magico: SATOR – I parte

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SATOR


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Gioco Grafico, Mistero, Enigma, Messaggio Esoterico Criptato?

Le origini dell’arcano quadrato, presente nella storia attraverso i secoli e conosciuto come quadrato magico o SATOR, sono incerte e non databili, quindi impediscono di far chiarezza nel mare magnum d’interpretazioni e di significati esoterici. La genesi di questo palindromo, che sembra avere qualcosa di esotericamente rilevante da trasmettere, analizzando i ritrovamenti di epigrafi lapidee e graffiti, è intuibile ma non certificabile.

I palindromi sino a ora ritrovati iniziano generalmente con il termine SATOR, fuorché quelli di Pompei (NA) e di alcuni altri luoghi, dove incominciano con ROTAS e forse per questo sono conosciuti anche come Quadrato ROTAS. Il Mosaico pavimentale della Collegiata di Sant’Orso di Aosta si distingue dagli altri perché, oltre ad iniziare con la parola ROTAS, si presenta in forma circolare.

Mosaico pavimentale della Collegiata di Sant'Orso di Aosta

Anche se datare le origini di questo palindromo dai significati celati sembra essere un’impresa ardua, i ritrovamenti del 1932, in Siria, sulle rive del fiume Eufrate, a Dura Europos, arcaica città mesopotamica, sembrano attestarne gli antichi natali.

Gli storici stimano che la fondazione della città risalga al 300 a.C., che la prima conquista, di breve durata, per opera dei romani avvenga nel 115 d.C., che la successiva e durevole, risalga al 165 d.C. e che la sua distruzione per opera dei persiani sia databile al 256 d.C..

Alla luce della storia di Dura Europos, sembra ragionevole ritenere che l’evidenza archeologica fornita dal ritrovamento dei tre palindromi, più uno l’anno successivo, in versione speculare, ne indichi un periodo di realizzazione antecedente alla distruzione della città.

La sua presenza nella culla della civiltà, nella città multiculturale che vede coesistere il mondo ellenico, caratterizzato da una cultura che risente di un substrato aramaico, siriaco, medio persiano ed ebraico, con il bagaglio culturale dell’Impero romano, appare significativa e ne incrementa la valenza. I ritrovamenti di Dura Europos, nonostante sembrino accreditare l’ipotesi formulata di alcuni studiosi, i quali fanno risalire la nascita del quadrato magico del SATOR tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., non sembrano poterne certificare l’esatta riconducibilità, che risulta difficile come una corretta interpretazione, anche perché tra gli scavi archeologici di quest’antica città multietnica, sono presenti: un Mitreo di età romana; una Sinagoga; una domus ecclesiae paleocristiana con annesso battistero, vasca per il battesimo e una pittura che riproduce Cristo il Buon Pastore, databile al 232 d.C..

Alla luce di questi ritrovamenti e tenendo conto che la cultura letteraria pagana fa corrispondere alla parola SATOR il Creatore dell’Universo, sembra verosimile ritenere che l’origine sia romana e che inizialmente non risenta delle influenze giudaiche o cristiane. Sembra, inoltre, verosimile che non sia slegato dal culto della morte e resurrezione, che la cultura cristiana lo usi in seguito per trasmettere messaggi occulti e dissimulare verità sacre mediante stratagemmi matematici e letterali.

Alcuni studiosi riconducono il quadrato bifronte del SATOR al cristianesimo, ritengono che vesta i panni di un segno distintivo e che indichi un luogo dove i cristiani possano trovare riparo. Mostrando, infatti, di essere in linea con il modus operandi utilizzato dai primi cristiani per celare elementi del culto di Cristo, sembra indurre chi lo osserva, a sposare la tesi di chi ritiene che si utilizzi per proteggere la religione cristiana dalle persecuzioni pagane. L’elemento che lo fa ritenere un simbolo integralmente recepito in ambito cristiano consiste nel ritrovamento, nei secoli seguenti, di reperti in cui il quadrato è accomunato a invocazioni o preghiere.

Chi lo riconduce al cristianesimo ritiene, altresì, che l’interpretazione cristiana faccia riferimento all’Apocalisse di Giovanni, alle espressioni

Io sono l’Alfa e l’Omega, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente.

Io sono l’Alfa e L’Omega, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine.

Il parroco tedesco Christian Frank, lo scandinavo Sigurd Agrell e il pastore evangelico di Chemnitz, Felix Grosser, tra il 1924 e il 1927, intuendo che in esso si nasconda il PATERNOSTER anagrammato, consolidano la teoria che vede l’esistenza di una consistente correlazione tra il quadrato magico e il Cristianesimo.

Il secondo e il terzo, senza sapere l’uno dell’altro e non informati della tesi di Frank, intuiscono che combinando e anagrammando le lettere nello spazio, si ottenga due volte la parola PATERNOSTER intersecante a croce sulla N, con l’aggiunta delle due residue A e O, interpretabili come Alfa e Omega, che rappresentano il simbolo mistico dell’inizio e della fine delle cose. L’intuizione dei tre studiosi fa, altresì, sembrare ragionevole la tesi di chi ritiene che le due lettere residue, associate alla N, significhino che l’inizio, A, e la fine, Ω, di ogni cosa è il Nazareno, N.

PATERNOSTER

Questa intuizione sembra attestare che la valenza sia sempre uguale nel tempo, che il suo significato non muti e che contenga un insieme di elementi evangelici tra i quali spicca la preghiera insegnato da Gesù, il Padre Nostro. Tenendo conto che la diffusione in Italia centrale dell’Apocalisse di Giovanni, si data tra il 120 e 150 d.C., ricordando, altresì, che l’eruzione del Vesuvio risale al 79 d.C., i significativi ritrovamenti dei graffiti palindromi, nell’antica Pompei, fanno ritenere che l’interpretazione dei tre studiosi, analizzata dal punto di vista cronologico, sembri essere inverosimile e lasci irrisolti alcuni quesiti.

Provando ad analizzare gli avvenimenti, nella loro interezza, la risposta al quesito riguardante la presenza dell’Alfa e Omega, nella cultura del momento, anche se non completamente esaustiva, sembra essere fornita dall’Antico Testamento, ovvero, dal Libro di Isaia, redatto nella regione della Giudea e databile, nella versione definitiva, al V secolo a.C.. La diffusione, infatti, dei versi biblici relativi all’Alfa e Omega, nella zona pompeiana non sembra essere inverosimile perché il profeta, mediante questo testo, presenta Dio come Primo e Ultimo.

Un secondo interrogativo appare, invece, liquidato dalla Didachè, in altre parole, dall’Insegnamento del Signore, predicato mediante gli apostoli e che alcuni studiosi datano tra il 50 e 70 d. C. Questo breve trattato o catechismo, redatto da un anonimo autore e conosciuto anche come “Dottrina degli Apostoli”, riporta al suo interno il Padre Nostro insegnato da Gesù.

Il SATOR sembra essere molto popolare nell’antica Pompei, infatti, un primo e interessante ritrovamento, si stima che sia quello datato 1846, ascrivibile al direttore degli scavi, l’archeologo Giuseppe Fiorelli. Un altro interessante ritrovamento, datato 1925, sul colonnato della casa di Publio Paquio Proculo, attribuibile all’archeologo Amedeo Maiuri, è quello di un graffito incompleto ma riconducibile al quadrato magico giacché contiene ENET, REPO e ATOR.

Il successivo e interessantissimo ritrovamento, datato 1935, imputabile all’archeologo Matteo Della Corte, di un graffito completo, su una colonna della Grande Palestra, nei pressi dell’Anfiteatro, sembra mostrare il fianco a diverse interpretazioni. La realizzazione del graffito in quell’ambito, anche se lo fa apparire come ludico passatempo, non sembra escludere un diverso e più articolato utilizzo quale potrebbe essere quello che si affida a un simbolo deputato a trasmettere un’occulta e codificata informazione in un luogo capace di garantirne un’ampia divulgazione.

Il rinvenimento del 1935, presso la Grande Palestra, è molto interessante sia perché potrebbe simbolizzare il culto delle origini di Roma, sia perché il graffito oltre a presentare le cinque parole nella loro interezza, è impreziosito da un Delta della Trinità, tracciato sopra ed è arricchito da tre lettere, ossia, una “A”, una “N”, e una “O” realizzate sotto.
Per interpretare correttamente questo graffito, sembra opportuno tener conto che leggere e analizzare uno scritto, un simbolo, ecc., è come osservare un’immagine riflessa nello specchio perché spesso i testi oltre a sintetizzare gli elementi culturali dell’autore, riflettono epoca e civiltà del momento.

Tenendo conto di questo tipo di lettura, inevitabilmente, si resta intrigati dalle lettere “A”, “N”, “O” perché queste sembrano rappresentare sia l’Alfa, l’Omega, che la N del tutto, del Nazareno, poste al centro e all’estremità della croce. Le tre lettere intrigano ulteriormente perché formando la parola “ANO” che ricondotto ad anello, sembra mostrare in modo tangibile la forma divina del cerchio, che non avendo ne inizio né fine, si ritiene che sia riconducibile all’eternità e all’infinito.

ROTAS

Pur tenendo presente che il cataclisma seppellisce Pompei nel 79 d.C., è possibile ipotizzare che i seguaci del Culto di Cristo utilizzino il Latercolo Pompeiano sin dai primi anni dell’Era Cristiana. Questa tesi sembra essere corroborata dagli Atti degli Apostoli giacché, mediante questi, Luca testimonia sia lo sbarco a Pozzuoli, nel 61 d.C. dell’Apostolo Paolo di Tarso, sia la loro permanenza, dalla durata di una settimana, previo invito dei fratelli del luogo. Tenendo conto che probabilmente con il termine “fratelli” Luca intenda la comunità cristiana di Pozzuoli e che detta città non disti molto da Pompei, sembra verosimile ritenere che i cristiani siano già presenti in zona.

Questa presenza sembra essere confermata sia da una croce di stucco ritrovata nel 1813, durante gli scavi all’esterno della Casa di Pansa a Pompei, sia dall’Archeologo Amedeo Maiuri che nel 1938 rinviene l’impronta di una croce durante gli scavi della Casa del Bicentenario a Ercolano. L’architetto ritiene, inoltre, che il solco cruciforme e l’inginocchiatoio sottostante siano riconducibili al cristianesimo e ipotizza che la croce sia stata rimossa a causa delle persecuzioni contro i cristiani.

Oltre questi due rinvenimenti, strettamente correlati al cristianesimo, il ritrovamento nel giardino della casa della Regio VIII, poi trasferito al Museo Nazionale di Napoli, di un affresco raffigurante, con ogni probabilità, il giudizio biblico di Salomone, sembra avvalorare la tesi della presenza di culti non pagani nella Pompei del periodo che va dal 30 d. C. al 79 d.C.

Anche la nota archeologa Margherita Guarducci si occupa della presenza cristiana nell’area vesuviana e i suoi studi la portano a pensare che sia gli Atti degli Apostoli che i rinvenimenti archeologici, dimostrino l’esistenza di comunità cristiane nella zona di Pompei. Mediante un suo saggio, divulga l’idea che una scritta, rinvenuta nel 1862 a Pompei, in cui si parla manifestamente dei seguaci del cristianesimo, sia «la più antica iscrizione con il nome dei cristiani».

L’archeologa occupandosi anche del Latercolo Pompeiano manifesta l’idea che l’artefice del graffito possa essere sia un cristiano di passaggio, sia un pagano che non conoscendone il significato celato, lo realizzi dopo averlo visto altrove.

La teoria manifestata dall’archeologa non sembra essere inverosimile, anzi è condivisa da altri studiosi i quali ritengono che le origini del palindromo siano da collocarsi prima della nascita di Cristo Redentore e che sia d’ideazione ebraica, seleucide o di altra etnia. Ovviamente l’ipotesi che vede i cristiani occultare verità sacre mediante artifici, in altre parole, l’utilizzo in modo criptato, per non destar sospetti di un simbolo già esistente e usato per altri scopi da culture precedenti quali, quella egizia, quella celtica, ecc., apre una vastità di scenari interpretativi e incrementa le difficoltà di chi si studia la formula palindromica che nel corso dei secoli riesce a permeare profondamente il mondo che la circonda.

Tenendo conto sia dei ritrovamenti che dei dati storici, utili per capirne l’origine e l’utilizzo, datandone o meno la nascita ad un’epoca antecedente al cristianesimo, la supposizione di un suo particolare uso lo innesta a pieno titolo nella cultura cristiana. Sembra, infatti, accreditata la teoria che vede i primi cristiani impegnati nel difendersi da delazioni e persecuzioni, dissimulare il simbolismo della croce, giacché è osteggiato dalle culture pagane dominanti. Ricorrendo ad un semplice e astuto artificio ermetico, mediante il TENET incrociato, celano la quintessenza, ossia il simbolo della fede cristiana.

TENET

Questa sorta di celato linguaggio mistico sembra avere una consistente valenza anche perché la parola “centrale” TENET, palindroma di se stessa, forma una croce palindromica ed evidenzia la presenza di quattro T che poste all’estremità della croce, oltre che richiamare il TAU, il simbolo della croce, è contornata dalla A e O di Alfa e Omega.
Ai profondi significati della T si aggiungono quelli della N, singola, che dislocata centralmente induce diversi studiosi a ritenere che rappresenti il Nazareno.

L’utilizzo di un palindromo già esistente e usato per altri scopi da culture precedenti, quali, quella egizia, celtica, ecc., dischiude un insieme infinito di possibili sfondi interpretativi e  accresce le insidie degli studiosi di questa formula palindromica, che, nel corso dei secoli, permea profondamente la quotidianità.

Autore Domenico Esposito

Domenico Esposito, nato ad Acerra (NA) il 13/10/1958, laureato in Scienze Organizzative e Gestionali, Master in Ingegneria della Sicurezza Prevenzione e Protezione dai Rischi, Master in Scienze Ambientali, Corso di Specializzazione in Prevenzione Incendi. Pensionato Aeronautica Militare Italiana.