Riflessioni di bio-etica ai tempi del Covid
Periodo difficile il 2020, difficile agire e difficile commentare, e tuttavia proveremo a farlo partendo da una citazione: nel 1934, in Italia, veniva pubblicata l’opera fondamentale di Julius Evola dal titolo ‘Rivolta contro il mondo moderno’ e tale testo avrà negli anni numerose riedizioni, sarà al centro del dibattito tra Evola e Guénon, e venderà migliaia di copie, che sono un discreto successo per un saggio di quelle dimensioni.
Un testo importante, dunque, e tuttavia giustamente definibile letteratura della crisi, ovvero includibile in quella corrente di pensiero del primo Novecento che auspicava un ritorno a metodologie e tradizioni precedenti e che insomma fortemente criticava il mondo moderno, già allora decadente. Ebbene, certo Evola molto lodava le teorie delle ere, una misurazione ciclica del tempo, ma non è nostro obiettivo l’analisi di un’opera che riteniamo lontana e ciò che vogliamo invece dire è che tale critica ci sembra applicata in questi giorni: costantemente.
Tale pensiero, tuttavia, spesso sfocia nella negazione delle doti del presente a favore di una fantomatica età aurea che risulta utopica. Il governo non ci ha governati. Abbiamo contrastato la natura e adesso lo paghiamo.
Il mondo moderno è il risultato di un maltrattamento e adesso ne veniamo puniti: per la nostra insufficienza, per la nostra inefficienza, e per l’incompetenza, per l’aggressività, per l’assenza di rispetto per la potente natura. Questa immensa natura animisticamente superiore.
Eppure, biologicamente, noi la sottomettiamo, lo facciamo da sempre, e forse per questo non la comprendiamo pienamente, ma fatto sta che stiamo vincendo: poiché lei prova a schiacciarci, lo fa da quando siamo nati, ma noi deviamo i suoi fiumi e resistiamo alle tempeste. Abbattiamo le montagne. Estinguiamo le sue specie.
Ma perché lo facciamo? E lo facciamo in maniera efficiente? E dovremmo smettere di farlo, o dovremmo farlo ancora meglio? Perché, vedete, se si vuole ridurre l’uomo ad elemento naturale, ad animale evoluto, allora bisogna anche, scientificamente, quantificare le sue doti: il suo oggettivo ruolo di squalo. Oggi, si contano i morti, ma non si contano i vivi. E si attende il bollettino di guerra, ma non quello di ricerca.
Si commisera Sua Santità, il Sommo Pontefice cristiano, che prega da solo a San Pietro, ma non si prega al suo fianco.
E allora io mi domando: ho mai pregato veramente? E so come si fa? E sarebbe utile farlo? Ma soprattutto: ho presente io, cosi piccolo ma fortemente criticante, e digitalmente iper-connesso, fortemente tuttologo, quanto è stato complesso costruire questo mondo in cui vivo? E di quali sistemi voglio dunque avvalermi per viverci ancora: di quello scientifico, o di quello trascendente? O necessito di entrambi in una rinnovata religio naturalis?
Vedete, pregare non è quello che pensano i più, altrimenti sarebbe tanto facile quanto inefficace e questo indifferentemente dai sistemi religiosi, perché lo si deve fare ogni giorno, alla stessa ora, con sacrificio personale, e si deve associare alle preghiere anche le opere giuste. E il lavoro scientifico, del resto, è per molti versi simile: tanta fede e tante opere giuste.
L’azione esoterica, poi, che ci appare la più efficace connessione tra il mondo spirituale e quello scientifico, al pari è densa di opere, ma cosa hanno tutte queste opere in comune? Ebbene due cose: lo sforzo dell’uomo e la sua atavica battaglia contro questa Natura.
E invece, lo stordimento mass mediatico oggi ci ingloba e ci porta al nichilismo, alla rinuncia alla battaglia, e alla riduzione di noi stessi, alla riduzione del conflitto naturale in una reazione: in parte criticata e in parte arraffazzonata.
Eppure, si è sempre tentato il contrario: ovvero si è tentato di reagire agli eventi negativi, subiti o eseguiti dall’uomo, con concetti positivi e questo sia nel tentativo di attribuire un valore trascendente a taluni avvenimenti, sia provando a fare di necessità virtù.
E tuttavia: se taluni non vogliono avvalersi di un valore trascendente proveremo almeno a percorrere l’altra strada, facendo di necessità virtù, e utilizzando la pandemia per qualche considerazione. Un bizzarro esperimento, insomma, in cui da laici scienziati proveremo ad escludere considerazioni di carattere spirituale, ma ci riusciremo?
Perché cosa dicono, in fondo, evidenze e quantificazione, cosa ne risulta se facciamo un paragone oggettivo di ruoli e gerarchie naturali? Ebbene, a nostro umile avviso, risulta che l’uomo moderno pare abbia dimenticato cos’era in precedenza e il suo più antico atteggiamento, il punto di vista dello squalo, ovvero quella particolare visione della lotta alla natura oggi sottovalutata, ma viceversa talmente importante da essere declinata in tanti sub-rapporti.
Sub-rapporto dell’uomo con sé stesso. Sub-rapporto dell’uomo con le strutture di cooperazione da egli create (informazione, stato, società). Sub-rapporto dell’uomo con il tempo e con la morte. E, infine, addirittura, sub-rapporto dell’uomo con il divino e quest’ultimo non inteso in termini fumosi, dai quali abbiamo dichiarato di volerci distaccare, ma viceversa in senso pratico e di azione.
Ma spieghiamoci meglio e diciamo, ad esempio, che la prima declinazione di questo braccio di ferro ci appare il confronto di ognuno con se stesso, nella continua riscrittura di se stessi, e nel rapporto con i luoghi della malattia.
L’ospedale, ad esempio: un ambiente troppo spesso frainteso come benevolo, e viceversa oggi svelato nella sua reale identità. Ambiente, del resto, altresì frainteso come tecnico e che, viceversa, è sede di arte e umanità, conoscenza e sacrificio, ma soprattutto è l’emblematico centro della lotta alla natura, poiché cosa sarebbe, in sintesi, la battaglia a questo virus? E che sarebbe, poi, il costante tentativo umano di allungamento della vita?
Perché qualche anno fa si moriva per nulla, e non certo con i numeri di questa pandemia, e quindi è semplice: la specie umana sta vincendo, ma ciò nonostante l’atteggiamento imperante sembra essere di sudditanza, arrivando addirittura ad affermare che visto che l’uomo ha danneggiato il proprio ambiente esso oggi si ribella e non una punizione divina, attenzione, ma un effetto butterfly biologicamente giustificato.
Che direbbe lo squalo?
Ebbene, riteniamo che avrebbe un atteggiamento differente e semplicemente accetterebbe ciò che è, accetterebbe ciò che fa, resterebbe unito nel farlo e sfrutterebbe ogni arma in suo possesso, compresa la spiritualità, se potesse comprenderla. Iniziamo a capirci?
Ma andiamo avanti con lo squalo, che per fortuna non la comprende la spiritualità, e mantiene un atteggiamento molto pratico, naturale, e dunque pro-attivo, che non muta nel tempo, poiché lo squalo ricorda chi è: predatore e dominante, parassita addirittura, e che consuma l’ambiente circostante, ma chi è che lo batte in questa scala alimentare?
In tempi molto brevi l’uomo avrà divorato ogni cosa: ma è questo un male assoluto?
O è solo un destino naturale? Perché egli, se non si estinguerà, si rivolgerà ad ambienti differenti, creando multipli mondi moderni, e forse artificiali, o colonizzati presso altri pianeti ed è questa fantascienza?
Non troppo, poiché l’intelligenza artificiale, piuttosto che la modifica del genoma, e non ultime clonazione e ibernazione, spostano il limite di ciò che è permesso e questo ci porta ad una quarta evidenza, quarta ri-oggettivizzazione stimolata dalla pandemia: la dialettica dell’uomo con Dio.
Poiché, in soldoni, quale sarebbe il limite permesso? E come fare a non soccombere al volere naturale? E naturale, del resto, corrisponde anche a divino, o la natura è solo un ambiente in cui tanto l’uomo quanto Dio possono agire? E, infine, soprattutto, modificare la vita (genetica), piuttosto che prolungarla (ibernazione) e addirittura crearla (clonazione) non sono forse atti divini? E contrastare una qualsivoglia minaccia ambientale (pandemia, o terremoto) non è la medesima dichiarazione di potenza?
Più che una reazione dividente, dunque, di fronte a questa minaccia riteniamo si debba riflettere sul ruolo riunente che l’uomo debba avere, poiché vi saranno ancora cataclismi, ci sono sempre stati, e saremo noi passivi, o saremo dominanti? Ricorderemo di essere squali, o formuleremo altre strambe concezioni new age? E riusciremo a utilizzare anche il sacro tra le armi proposte?
Il Sommo Pontefice cristiano sarà sempre da solo a piazza San Pietro? O pregheremo affianco a lui, anche senza crederci affatto, e indifferentemente dalla lingua: in ogni lingua e in ogni fede? Poiché una potenza dominante, ogni scienziato lo sa, la si può tutelare unicamente nell’unione: altro elemento molto chiaro allo squalo, ma da noi dimenticato.
Autore Salvatore Luca d'Ascia
Salvatore Luca d'Ascia, medico chirurgo, scrittore, esoterista, autore RAI. Pubblicazioni: 'Il libro di nessuno', Croce, 2006, 'Partenope Pandemonium', Boopen Led, 2007, 'Questi fantasmi', Larcher, 2009. Nel 2010 scrive in team con autori Bonelli 'Nero Napoletano', Corriere della sera, premiato ai saloni Comicon e Romics e alla Semana Negra di Gijón. Nel 2012 vince il premio letterario 'La Giara' edizione campana, con il romanzo inedito 'Show me love'. Nel 2013 vince il medesimo premio nell'edizione nazionale. Pubblica il romanzo 'Supersonico', RAI ERI, 2014 e il saggio esoterico ‘Magia e Massoneria’, Edizioni Mediterranee, 2019, e il romanzo 'Black magic', Woijtek, 2019. Menzione: https://it.wikipedia.org/wiki/Salvatore_Luca_D%27Ascia