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Il Poggio Reale: la Villa che non c’è

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Poggio Reale


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Il Regno di Napoli è stato governato da più dinastie che hanno contribuito, in vario modo, ad accrescere la magnificenza della città, oltre a creare quel miscuglio di etnie ed idiomi che hanno determinato il modo di essere del popolo partenopeo: accogliente, inventivo, perspicace, premuroso…

Tra tutte, la dinastia degli Aragonesi ha un primato particolare, aver edificato ville faraoniche di cui non è rimasto nulla, con l’intento di riqualificare il territorio, allargando così i confini: La Duchesca, di cui ci siamo occupati nel precedente articolo, e Il Poggio Reale.

Di entrambe restano solo i nomi che caratterizzano la toponomastica degli attuali quartieri.

Siamo nel XV secolo, l’area ad est della città è particolarmente insalubre, terreni paludosi circondati da specchi d’acqua stagnante, fusari, adibiti per la macerazione della canapa e il lino, che, partendo dal margine della città, si estendono sino alle falde del Vesuvio. In questa zona sono presenti anche fonti che, se ben convogliate, possono soddisfare i bisogni del popolo. Per debellare la malaria, nel 1485, vengono realizzati il Fosso Reale e il Fosso del Graviolo, veri e propri canali di scolo, che hanno come pregio una spettacolare vista dell’incantevole golfo.

Re Ferrante, ovvero Ferdinando I d’Aragona, figlio di Alfonso I, decide di requisire tutta la campagna dove attualmente si trova il carcere di Poggioreale, il cimitero cittadino sino al quel ramo del fiume Sarno da cui verrà costruito l’acquedotto del Dogliuolo, derivante dal latino dolium, ovvero vaso. L’inventiva popolare, per praticità, lo soprannomina Bolla che, in napoletano, diventa Volla, ancora oggi comune dell’hinterland.

Alfonso, duca di Calabria, figlio di Ferrante ed erede al trono, desideroso di costruire un’ulteriore residenza suburbana, per meglio accogliere la nobiltà di passaggio nel suo regno, espropria altri possedimenti, tra cui quelli appartenenti ai Brancaccio, ambasciatori dei Sedili di Napoli che accoglieranno Carlo VIII di Francia ad Aversa il 21 febbraio del 1495.

Il progetto di questo particolare edificio viene affidato allo stesso Giuliano da Maiano, realizzatore di Villa la Duchesca e due nuove Porte, Capuana e Nolana, nel 1487, il famoso architetto fiorentino, però, nel 1490 passa a miglior vita e il suo disegno viene portato a termine da Francesco di Giorgio Martini e Fra’ Giocondo da Verona.

La pianta del palazzo, su due livelli, è quadrata, ai quattro vertici vengono inserite delle torri collegate tra di loro con un imponente loggiato a cui si accede da quattro porte collocate nell’attuale via del Campo, Santa Maria del Pianto, via Vecchia e Nuova Poggioreale. Le pareti sono affrescate con dipinti che ritraggono re Alfonso II o inneggiano a sue imprese, non mancano statue e bassorilievi che evidenziano la figura del mecenate.

Alle spalle del corpo di fabbrica vi è una larga zona boschiva, con relativo allevamento di selvaggina, che consente le battute di caccia organizzate per intrattenere gli ospiti regali. Da un lato vi è un grande oliveto, ma la maggior attrattiva è il considerevole giardino abbellito con fontane, piante e uccelli esotici che, con i suoi giochi d’acqua, statue e colonne accompagna dolcemente il visitatore verso il mare. All’immobile si accede percorrendo una larga strada, che parte proprio da Porta Capuana, sino all’ingresso principale.

Il sovrano, costretto a fuggire in Sicilia a causa della discesa nel Regno del re francese, non fa più ritorno nella capitale, poiché muore a Messina non prima di aver abdicato in favore del figlio Ferrandino.

L’ultimo discendente dei Valois apprezza notevolmente l’incantevole dimora, per cui, approfittando della lontananza del monarca, fa razzia di molti oggetti di valore e convince il regale giardiniere, Pacello da Mercogliano, a seguirlo Oltralpe.

Ferdinando II, al suo rientro, avendo un bisogno urgente di fare cassa, stabilisce di dismettere la dimora, vendendone alcune parti, oltre a restituire molte delle terre confiscate ai legittimi proprietari.

Nel 1528 vi è un’ulteriore offensiva francese che, desiderosa di arrecare danno ai sovrani spagnoli, distrugge l’acquedotto della bolla, in modo che sia la casa sia la città restano senz’acqua.

Malgrado tutto ciò, la residenza resiste per ulteriori due secoli, fino a quando, sul finire del XVIII secolo, re Carlo di Borbone incarica l’architetto Ferdinando Fuga di costruire su ciò che rimaneva del Poggio Reale il cimitero che viene però ultimato solo nella prima metà del 1800.

Immaginare che, dove oggi riposano i nostri cari, nei vialetti intervallati da cappelle gentilizie, un tempo dame e cavalieri si trastullavano in feste danzanti o si intrattenevano con battute di caccia e sontuosi banchetti, sembra profanare un luogo di culto.

Un solo attimo, poi tutto assume una connotazione diversa e ti viene quasi da sorridere immaginando, in una mescolanza di sacro e profano, che l’una non prescinde dall’altra, poiché appartengono entrambe al cerchio della vita.

Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.