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Il Natale e la Mangiatoia

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Il Natale e la Mangiatoia


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Mo’ vene Natale
nun tengo denare
me leggio ‘o giurnale
e me vado ‘a cucca’.
Mo’ vene Natale
nun tengo denare
me leggio ‘o giurnale
e me vado ‘a cucca’.
Renato Carosone – Mo’ vene Natale

La celebrazione del Natale si attua, in generale, nel momento delle riunioni di famiglia – simbolo di permanenza, memoria e tradizione, tanto amate dagli italiani – e le derivate sostanziose preparazioni culinarie, perlopiù casalinghe.

Il pensiero natalizio riporta, automaticamente, alla bontà, non solo degli animi, ma anche al senso di coccola affettuosa, di regali sì, e di cibi dedicati al periodo e alle immancabili trasgressioni alimentari.

Nella nostra tradizione il cibo ha un ruolo fondamentale, specialmente durante le feste, a maggior ragione in quella più importante dell’anno. Essendo in inverno, almeno da noi, questo si caratterizza di essere molto calorico, ma credo sia anacronistico per il periodo sottrarsi anche per gli incalliti della dieta.

I latini dicevano, infatti:

Semel in anno licet insanire

Una volta l’anno è concesso fare pazzie.

Tutti hanno foto scattate coi parenti. Sinceramente meglio quelle fatte all’inizio dei pasti sia per la visione di facce allegre e i piatti ancora pieni e intonsi e non tanto quelle fatte pietosamente dopo coi piatti vuoti e sporchi e coi visi spossati di chi sta pensando solo di rotolare via.

In specifiche occasioni, che si incentrano nella cena della Vigilia e nel pranzo di Natale e poi quella della notte di San Silvestro e in quello di Capodanno, le abbuffate diventano quasi d’uopo, trasgressioni giustificate da un avvenimento tradizionale della nostra cultura che coinvolge tutto lo stivale, isole comprese.

In Italia credo che abbiamo la più straordinaria varietà di prodotti al mondo; e da nord a sud le preparazioni diverse già a pochi chilometri di distanza si differenziano, esattamente come i nostri slang dialettali d’espressione parlata.

Il territorio cambia e le tradizioni pure; dipende dalla vicinanza del mare o della campagna o del lago e dei relativi prodotti o dipende se ci si trova in montagna o in città.

Agnolotti e gran bollito misto e, infine, torrone?

Ravioli, verdi o di carne, cappone magro oppure canederli e capriolo al forno con strudel o zelten finale?

Tortellini, passatelli, anolini e cappelletti, in brodo rigorosamente, o tagliatelle – conosco qualcuno che fa parte perfino della relativa Confraternita -, magari lasagne, se no tortelli di zucca o alle erbette, e l’immancabile prosciutto crudo, o meglio culatello?

Baccalà fritto o capitone?

Arrosto di faraona, di anatra o cappone ripieno?

Insalata di rinforzo, minestra di scarole, e poi struffoli e roccocò?

Pettole, calzoni ripieni e cime di rapa?

Culurgiones de casu, gli inevitabili malloreddus?

Oppure buccellati, cassate e cannoli?

Non vi offendete, non li posso scrivere tutti.

Quali sono i vostri?

Tanta varietà equalizzate da pochissimi tratti comuni, come ad esempio il Panettone Milanese, ormai diffuso ovunque in questo peculiare periodo, che, negli ultimi anni, ho potuto apprezzare in esperimenti di pasticcerie artigianali in tutta Italia fino all’estremo sud.

Dulcis in fundo per il lievitato invernale più famoso di tutti, ma senza scordare che, a partire dagli anni 80, c’è pure il salato, quello denominato ‘gastronomico’.

Ma anche il sentimento di preparazione che si consuma intorno alla tavola è una costante comune, specie qui da noi.

Affermava cantando una voce di bambina per una famosa pubblicità di vent’anni fa, che però mi riporta un po’ all’infanzia:

A Natale puoi fare quello che non puoi fare mai.

Questo giorno si incunea nella storia tra i 12 antecedenti e i 12 successivi che si aprono con il 13 dicembre, santa Lucia, e si chiudono con l’Epifania.

Dei secondi ne parlerò poi, dei primi giusto l’accenno al parallelismo della santa nostrana con la Lussi – lucente – scandinava.

La religione, nel corso dei secoli, si è appropriata di antichi simboli, modificandone le forme e le origini, perché il rifiuto degli elementi pagani era fondamentale per la supremazia del messaggio successivo.

Così il Dies Natalis Solis Invicti è diventato il Dies Natalis Domini.

Il termine Natale deriva dal latino natalis – nascita, che a sua volta ha delle consonanze con noscere, che significa conoscere.

Non abbiamo bisogno di sapere, abbiamo bisogno di conoscere. Sapere è aver sapore – sapio – conoscenza deriva da cum-nosco, consapevolezza da cum-sapio, coscienza da cum-scio.

E il luogo dove viene posto il Neonato è la mangiatoia!

Il messaggio, secondo l’interpretazione che posso pensare qui in questa Rubrica, è che la nascita dell’illuminazione avviene da dove si mangia?

E come se, sin dall’inizio, si volesse far intuire d’essere cibo celeste, sostituito a quello terreno, in presagio a ciò che fu Gesù prima di salire sulla croce, dando la sua carne e il suo sangue da consumare ai suoi discepoli prima di morire.

Poi viene in mente a tutti la stella riprodotta in cometa che, nell’ora delle tenebre, illumina la grotta – o la capanna – con il bue e l’asinello.

La luce della stella, che guida e conforta, potrà essere vista, però, solo da chi sa percepire e l’illuminazione è il tentativo riuscito dell’unione dei contrari, che si fa spazio tra animalità, umanità e divinità.

Lo spirito centrale rimane incastonato – in questo caso nella mangiatoia – fra intelletto e il principio generativo contrapposto alla natura e all’amore materno.

L’iniziato deve riuscire a metterli entrambi al suo servizio, per alimentarsi con il loro caldo soffio vitale.

L’uomo di Libertà preferisce l’albero di Natale. L’uomo d’amore preferisce il presepe.

Gli uomini di Libertà preferiscono farsi la doccia. Gli uomini d’amore preferiscono farsi il bagno.

La doccia è milanese, ci si lava meglio, consuma meno acqua e fa perdere meno tempo.

Il bagno è napoletano, è un incontro con i pensieri, un appuntamento con la fantasia.
Luciano de Crescenzo – Così parlò Bellavista

Tra parentesi, a me piacciono tutti e quattro! Ma, come mi dice spesso il Direttore di questo spett. Giornale:

La tua cicogna s’è sbagliata d’indirizzo!

avendo ragione solo per metà – ma non diciamoglielo.

Oltre al presepe, d’altra parte, l’albero, quello sempre verde, come gli abeti che ho di fronte in questo momento in montagna, mi riprende alla memoria la vita eterna.

E quelli che addobbiamo nelle nostre case con le luci, simbolicamente riprendono sia i corpi celesti, il sole, la luna, le stelle dell’albero cosmico, ma della conoscenza per una magica arrampica per raggiungere il mondo superiore più luminoso, fino alla cometa; sia le scintille, che riportano alla speranza di luce – a un sole interiore – che, rinascendo, squarcerà la fredda notte buia dell’anima, come rifarà alla natura del mondo quello intorno al quale ruotiamo con il suo potere germogliante.

Speranza di prosperità sono anche i doni del creato e della vita verso di noi e le manifestazioni d’affetto e vicinanza verso gli altri, in pace e fratellanza.

Allora, con le strenne, anche Babbo Natale, vestito come un’amanita muscaria, d’uso sciamanico antico, e trainato dalla slitta – ‘solare’ – da cervidi, con la peculiarità di mutamento, a partire dal palco di corna ogni inverno.

L’archetipo del divino vecchio saggio con la barba bianca, nel quale tutti dovremmo immedesimarci un po’, il più spesso possibile, per portare sempre bei regali, non dimenticando mai il senso della vita, i propri doveri nei confronti di sé stessi e del prossimo, in vista della propria epifania, come momento propizio per riunire i doni spirituali raccolti ed estrarne, quindi, l’essenza, risorgere, diventare in sintonia con l’universo e manifestare il nostro risultato per un rinnovato ciclo vitale.

Ci è stata donata una grande opportunità: avere tempo sufficiente per interrogarci sul perché dell’esistenza e approfondire la conoscenza di ciò che siamo veramente.

Comunque, vi immagino indaffarati a pensare, preparare, organizzare, in visione d’essere commensali riuniti intorno alla tavola, in rito di aggregazione, comunione e metabolizzazione.

Chiamateli lectisterni, chiamateli conviti o banchetti, chiamateli agapi o pasti d’amore, ognuno faccia le proprie feste! Ma possibilmente in buona compagnia…

E tanti auguri di buon Natale a tutti! Oh oh oh…

Il percorso dove ci porterà?

Stay tuned! Restate sintonizzati e direi anche sincronizzati!

Autore Investigatore Culinario

Investigatore Culinario. Ingegnere dedito da trent'anni alle investigazioni private e all’intelligence, da sempre amante della lettura, che si diletta talvolta a scrivere. Attratto dall'esoterismo e dai significati nascosti, ha una spiccata passione anche per la cucina e, nel corso di molti anni, ha fatto una profonda ricerca per rintracciare qualità nelle materie prime e nei prodotti, andando a scoprire anche persone e luoghi laddove potesse essere riscontrata quella genuina passione e poter degustare bontà e ingegni culinari.