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Il mito di fondazione di Napoli

Tomba di Partenope nella Chiesa di San Giovanni a Mare a Napoli - foto Rosy Guastafierro

Tomba di Partenope nella Chiesa di San Giovanni a Mare a Napoli - foto Rosy Guastafierro



Il sacro ciclo del sangue, come rilevato in un precedente articolo, ha segnato un momento importante sin dagli albori della società nel tramandare il sapere, ma l’importanza del tributo verginale trova conferma e forza in tutti i miti di fondazione e, per una città come Napoli, questo continua ad ottenere riprova nel mistero del sangue sciolto, che i suoi patroni, Gennaro e Patrizia, ancora oggi rinnovano con cadenza regolare.

Andiamo con ordine: la città viene edificata su un sito abitato da popolazioni autoctone nell’VIII sec. a.C. da un gruppo di coloni greci e, dopo soli trecento anni, subisce una vera e propria neofondazione a causa di una rivoluzione urbanistica. Questa sua articolazione, probabilmente, è il fattore che ha determinato quella grecità di così lunga durata che l’ha caratterizzata, riuscendo a sopravvivere prima alla latinizzazione e poi alla cristianizzazione.

I racconti sulla sua fondazione sono rinvenibili in un intreccio continuo tra mito e storia che ha portato ad una storicizzazione del mito e, contemporaneamente, ad una mitologizzazione della storia a seconda della preminenza di eventi realmente accaduti oppure di quei racconti leggendari che riescono a trasformarsi in eventi storici.

La trama del mito si basa su precisi elementi con struttura elementare, ovvero: la fondatrice straniera, una natura duplice, la parthenia o voto di verginità, la sua morte, l’elevazione a nume patrio e, infine, il suo mausoleo come luogo simbolo della città stessa.

Demetra, piena di indignazione per la sparizione di Kore, muta le sue amiche Partenope, Ligea e Licosia in sirene affinché, librandosi in volo, possano ritrovare la figlia; queste, con la trasformazione, acquisiscono il dono della melodia che ammalia, il linguaggio degli dei. I loro versi, se non uccidono, accrescono la conoscenza, divinità sapienziali con un livello di coscienza che si fonda sull’estasi e la catarsi di cui la musica è un mezzo; l’oracolo, infatti, divina cantando.

Ulisse, legato all’albero della nave, ascolta il loro canto mentre i compagni, con le orecchie piene di cera, vogano senza sosta. Il golfo è avvolto da calma, l’eroe esce indenne dalla loro malia, le sirene, sconfitte, si lasciano morire, aprendo le ali sulle onde del mar Tirreno. Partenope spiaggia sull’isolotto di Megaride, dove verrà poi edificato il Castello dell’Ovo tanto caro a Virgilio.

La morte di uno è la genesi di un altro, dal suo corpo di divina vergine immolata, nasce il primo insediamento, Partenope, poi ribattezzato Palepolis, che si abbarbica sul monte Echia. Con il trascorrere degli anni, il sito attrae altre genti, che, con i legni, arrivavano da Calcidia, Negroponte. Ben presto vi è l’esigenza di edificare una città nuova nei pressi della vecchia che viene chiamata, appunto, Neapolis. Sono sì due città, ma con un sol popolo come afferma Tito Livio.

Il culto riservato all’antica tomba di Partenope diventa tanto importante da essere perpetrato ogni anno con libagioni, sacrifici di buoi e la corsa notturna con fiaccole ardenti, le antiche Lampadoforie.

I coloni greci sono attratti soprattutto dalla sua posizione ideale: mare, montagna, piano e soprattutto acqua, ma non trascurabile nella cultura greca è l’importanza posta alla presenza dei quattro elementi, ovvero acqua, aria, terra, fuoco. Piena di sorgenti curative, aria mite e salubre, ottima legna da ardere e terra fertile da coltivare oltre al comodo, sicurissimo e ricettivo porto posto al centro del golfo, che va da Miseno a capo Minerva, odierna Punta Campanella, formando un semicircolo dal nome Cratere per la somiglianza a una bella tazza ornata e colma.

Questa sua ubicazione l’ha privilegiata addirittura, come scrive Petrarca, nella scelta di San Pietro che la destina per il suo sbarco da Antinochia alla volta di Roma.

E in quel loco che poi fu detto l’altare di San Pietro, che oggidi si chiama San Pietro ad Aram.

Un mito pagano deve essere sempre soppiantato da uno cristiano, il racconto agiografico della vita di Santa Patrizia si confonde e si intreccia con quello di Partenope: viene dal mare, difende strenuamente la sua verginità, fugge dal patrigno perché promessa sposa ad un giovane, approda in una terra straniera rinunciando alla ricchezza, abile nel placare gli elementi e, infine, sacrifica la sua vita.

Santa Patrizia si insedia proprio dove vi era il sepolcro di Partenope perché, anticamente, rifondare una città aveva il preciso scopo di dare vita ad una nuova religione e il luogo sacro non poteva essere scelto, bensì trovato; solo in questo modo una vergine cristiana avrebbe potuto scalzare l’antico nume tutelare della città radicato nel popolo.

Patrizia, nata a Costantinopoli nel 340 d.C., figlia di Costante, nipote dell’Imperatore Costantino Magno, e pronipote di Sant’Elena, rimane presto orfana di madre per cui è affidata alla nutrice Aglaia, a sette ancelle e cinque eunuchi. Dotata di vivace intelligenza si dedica, senza sosta, allo studio delle più disparate discipline eccellendo in tutte. Sin da fanciulla digiuna e mortifica il suo corpo, cade sovente in estasi, ma la sua bellezza è tale da far ammalare d’amore un giovane patrizio figlio di un Senatore. Costante, non a conoscenza del voto di castità, la concede in sposa.

La ragazza, fingendosi consenziente, progetta di fuggire con Aglaia, le ancelle fedeli e gli eunuchi a cui ordina di acquistare in segreto una nave con equipaggio e viveri necessari per allontanarsi dal cattivo genitore e preservare la sua verginità. Il giorno della partenza si scatena una tempesta. Patrizia, con la sua mano, placa il mare; è il suo primo miracolo che la incorona regina degli elementi. Al termine del rocambolesco viaggio approda sull’isolotto di Megaride, lo stesso di Partenope e di San Pietro.

Diviene presto famosa per le sue elargizioni, non rivelando a nessuno la sua vera identità. Emblematica la sua visita al Monastero dei Santi Martiri Nicandro e Marciano, dove si leva in estasi e, vaticinando come una sibilla, rivela il punto esatto della sua sepoltura segnandolo con una P scavata dal suo dito nel duro marmo.

Indossa l’abito monacale insieme alle sue ancelle, ma presto, a causa di una profezia, fa ritorno a Costantinopoli per la morte dell’imperatore. Qui vende tutti i suoi averi e distribuisce elemosine, quindi decide di recarsi a Gerusalemme, ma la sua imbarcazione, in preda ai marosi, rischia di affondare.

La giovane ordina di lasciare che il vento guidi la nave senza nocchiero. Dopo otto giorni in balia degli elementi, approda nuovamente sull’isola del Salvatore sul quale vengono eretti prima il Castrum Lucullanum e poi il Castel dell’Ovo. I recenti restauri hanno portato alla luce, nel cuore dello scoglio, una scala in pietra che conduce all’antico oratorio delle suore, conosciuto come i romitori di Santa Patrizia. Lo stesso giorno del suo sbarco si ammala gravemente e muore alle età di 25 anni.

Il corpo esanime non si decompone, emana un soave profumo anche durante il rito della vestizione. Nessuno sa dove volesse essere sepolta, in sonno la nutrice riceve una premonizione. Il giorno successivo la Santa viene posta su un carro trainato da due tori non domati e senza conduttore, il popolo accorso inizia a riscontrare miracoli effettuati al semplice tocco delle vesti.

Il percorso tracciato, che da Megaride arriva a terra ferma, conduce lentamente il carro infiorato, dal vago sapore precristiano, sino al Monastero dei Martiri Nicandro e Marciano. I monaci cedono il convento ad Aglaia che lo dota di tutte quelle reliquie che, appartenute a Sant’Elena, erano destinate a Gerusalemme.

L’attestazione della sua potente santità avviene solo cento anni dopo la sua morte, attraverso un Cavaliere romano che, rimasto solo di notte nel sepolcro della Santa, decide di portarsi via una reliquia, ovvero un dente. Dalla gengiva scarna inizia a gocciolare sangue vivo in maniera copiosa, le monache accorse raccolgono immediatamente le preziose gocciole in due ampolline di vetro nelle quali si addensa.

Nel 1600, durante una cerimonia, nel monastero di Caponapoli, le ampolle vengono accostate al dente e tra la costernazione totale, il sangue si liquefa, da allora a tutt’oggi questo avviene con cadenza settimanale all’hora nona nella chiesa annessa al Monastero di San Gregorio Armeno dove, nel 1864, vengono traslate. Nel 1625 Patrizia viene nominata compatrona della città, proteggendola e difendendola insieme a San Gennaro, con il quale condivide il miracolo del liquido umor, emblema della potentia dei santi.

Le due vergini, Partenope e Patrizia, provenienti ambedue da Oriente, la prima per fondare la città greca, la seconda per rifondarla facendola rinascere cristiana, sono l’una il rovescio dell’altra, ma entrambe sono le registe del destino del popolo napoletano, che, per giungere a compimento, deve riuscire a superare le contrarietà e, come spesso accade, per rafforzare il mito, l’eroe lotta con se stesso per mantenere inderogabilmente il voto fatto. Partenope, quindi, è la fondatrice della polis pagana, mentre la vergine Patrizia diviene la rifondatrice della civitas cristiana.

Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.

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