Il regista campano adatta e dirige la commedia settecentesca di Marivaux
Buio. Si accendono le luci su una scenografia essenziale e dalle linee pulite, come la recitazione dei giovani ma talentuosi attori. Nell’ambito della V edizione della rassegna Classico Contemporaneo, iniziata il 30 luglio, va in scena un piccolo gioiello del drammaturgo settecentesco Marivaux, ‘Il gioco dell’amore e del caso’, rappresentato a Parigi per la prima volta dagli attori della Comédie Italienne il 23 gennaio 1730.
Lo scenario monumentale del Chiostro di San Domenico Maggiore di Napoli incornicia e accompagna magistralmente la recitazione frizzante e naturale dei cinque protagonisti, Antonio Buonanno, Antonella Liguoro, Tommaso Sabia, Alessia Thomas e Gabriele Savarese, la maggior parte dei quali giovanissimi ma molto promettenti.
Il regista Mirko Di Martino, mi ha confidato, a quattr’occhi, di aver effettuato qualche piccolo intervento sulla sceneggiatura originale, necessario ad attualizzarla rispettando lo spirito della kermesse, che si ripropone di rivisitare i classici in chiave moderna.
Troviamo, dunque, l’inserimento di qualche battuta più adatta ai nostri tempi, la soppressione di un personaggio e la trasposizione della vicenda in un’epoca stilisticamente ideale, collocata tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60. In quel periodo, ancorché ancora abbastanza vicino alla nostra sensibilità, era tuttavia presente una netta separazione tra le diverse classi sociali, molto sentita anche nel 1700 di Marivaux, che rendeva difficili, se non impossibili, alcuni approcci; tematica, questa, che tanto sapore dona alla vicenda rappresentata sul palco e che si è andata progressivamente rarefacendo fino ai nostri giorni.
Tema apparente della commedia sembra essere l’amore.
L’amore universalmente ricercato e temuto.
L’amore come motore per il cambiamento e azzeratore di distanze altrimenti invalicabili.
L’amore come avventura, anche in un salotto, sotto gli occhi benevoli di un padre.
L’amore declinato dalle donne, con la loro capacità dialettica, la loro innata pragmaticità e la loro abilità nell’ingarbugliare perfino la più ordinata delle situazioni.
L’amore degli uomini, molto più semplice e a tratti fisico, la differenza di comportamento tra i due sessi, nonostante il fatto che entrambi alla fine desiderino le stesse cose: regalare il proprio cuore a chi li sa amare sinceramente per quello che sono, senza trucchi né inganni.
Ed è buffo che si parli e si desideri tanto la sincerità in una pièce teatrale dove tutto ruota intorno al travestimento e dove tutti fingono di essere qualcos’altro.
Ma noi tutti sappiamo che l’abito difficilmente fa il monaco: questa non è una storia d’amore o, perlomeno, non soltanto, ma di cambiamenti sociali, della necessità del sovvertimento di regole sentite come obsolete, a meno di non intendere anche l’amore come forza in se stessa rivoluzionaria, in grado di mutare l’ordine stabilito delle cose.
Nonostante la palese predominanza di temi sentimentali e nonostante si presenti come leggera e scacciapensieri, abbigliata con vesti apparentemente fresche e colorate come un cocktail estivo, ‘Il gioco dell’amore e del caso’ nasconde, invece, una tematica sociale fortemente illuministica.
Non dimentichiamo che all’epoca in cui la commedia originale fu concepita i rapporti di forza tra i servitori e loro padroni non potevano essere sovvertiti. Le distanze sociali erano incolmabili e le convenzioni incontestabili. Molte unioni matrimoniali lasciavano poco spazio al sentimento, ma erano combinate sulla base dell’opportunità economica.
Il cuore difficilmente sposava la ragione. I nobili vivevano al riparo dagli affanni terreni ma anche ingabbiati dai loro schemi culturali. Non era previsto sconfinare in altre realtà a meno della gogna e dell’esclusione dal gruppo di appartenenza che, in alcuni casi, poteva essere peggiore della morte stessa.
Marivaux, sotto la forma dello scherzo tanto caro alla tradizione della commedia dell’arte, solleva temi importanti cari alla miglior commedia illuministica, nonostante debba pagare dazio egli stesso alle forme culturali vigenti, dipingendo, infatti, i servitori in maniera caricaturale e non esentandoli da rozzezze e prosaicità, attribuendo, al contrario, ogni nobiltà d’animo agli aristocratici di casata, rispettando la tradizione secondo cui l’appartenenza ai diversi ceti sociali debba trasparire anche al riparo di un travestimento.
Ulteriore tocco di raffinatezza è costituito da una colonna sonora d’antan, anch’essa anni ’50, che, oltre a permettere agli spettatori l’immersione totale nel periodo scelto dal regista per la trasposizione teatrale, rimanda ed ammicca essa stessa al tema del mascheramento, alle cose familiari che si presentano a noi sotto mentite spoglie, ma che comunque non ci dispiacciono.
Mi è bastato, infatti, ascoltare ‘Ventiquattromila baci’ in olandese, ‘Tintarella di luna’ in finlandese, ‘Tu sei romantica’ in giapponese e molte altre “nostre” canzoni declinate sotto altre latitudini e trovarle comunque bellissime, per adorare assolutamente questa piccola grande commedia.
Foto Giancarlo de Luca
Autore Floriana Narciso
Floriana Narciso, napoletana. Un cuore sospeso tra Napoli e la verde Irlanda. Mediterranea nell'aspetto ma "Irish"nel midollo, vive costantemente in bilico tra due culture e pensa in due lingue fin dal primo vagito. Laurea in lingue straniere europee, dottorato in linguistica per scopi speciali su tematiche di politica internazionale, vive e lavora tra varie realtà. Pensa a buon diritto che i libri e i gatti siano i migliori amici dell'uomo. Nel suo sangue scorre prevalentemente un buon tè nero, forte e bollente anche sotto il solleone. Scrive perché non riesce a farne a meno.