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Il deputato che per onor fece il gran rifiuto

Francesco Marzio Proto Carafa Pallavicino


Francesco Proto Marzio Carafa, antiborbonico, si dimise da parlamentare dopo aver presentato una mozione contro il governo sabaudo che vessava il Sud

Oggi è più facile incontrare un marziano che un parlamentare che si è dimesso per difendere le proprie idee, eppure, in passato non era così.
Uno di questi fu Francesco Proto Carafa, Duca di Maddaloni, esule, nel 1849, insieme ad altre 800 persone, perché attivista antiborbonico ed eletto Parlamentare nel 1861, nella circoscrizione di Casoria.

Apriamo un piccolo inciso.

Il Regno d’Italia era stato appena costituito, per cui la legislazione avrebbe dovuto essere la numero 1 e, invece, Vittorio Emanuele II, che non aveva cambiato neppure il nome, non ne mutò l’ordine e, quindi, quella del 1861, che doveva essere la prima, risultava essere l’ottava. Ciò fa capire, ancora di più, quanto fosse profondo lo spirito patriottico dei ‘montanari piemontesi’.

Conosciamo meglio colui che fu definito da Achille Torelli, ‘l’ultimo dei napoletani’. Di nobili di origini, Francesco ebbe una formazione classica e coltivò due passioni, la letteratura e la politica.

Con l’apertura costituzionale di Ferdinando, nel 1848, seguendo l’esempio di Pio IX, fu eletto al Parlamento napoletano, nella circoscrizione di Casoria.

Appena un anno dopo il Parlamento fu sciolto e Carafa, condannato per aver partecipato ai tumulti, dovette riparare all’estero, ottenendo la grazia solo nel 1853.

All’inizio del 1861 venne eletto deputato al Parlamento italiano, nello stesso collegio. Si batté apertamente contro la propaganda protestante e la soppressione degli ordini religiosi, una ‘cambiale in bianco’ che lo Stato doveva pagare all’Inghilterra per l’appoggio durante il processo di annessione del regno borbonico.

La situazione man mano peggiorò. Morto Cavour, il governo venne affidato a Ricasoli, che non godeva affatto della stima del predecessore, il quale, in una lettera segreta a Vittorio Emanuele, lo aveva definito un ‘pascià’.

Ricasoli non smentì il conte e, da subito, iniziò a depredare le risorse del Sud, per ripianare il debito pubblico piemontese ed arricchire un comitato d’affari composto da molti parlamentari della destra storica, oltre che da se stesso.

Insieme al Ministro dei Lavori Pubblici, Bastogi, fondò addirittura una società per accaparrarsi la costruzione della linea ferrata nelle province napoletane.

Carafa, accortosi dell’errore commesso appoggiando i piemontesi, seppur convinto antiborbonico, ma strenuo difensore degli interessi del Meridione e del suo popolo, il 20 novembre 1861 presentò una mozione, che oggi definiremmo ‘Interrogazione parlamentare’, che attaccava i metodi del governo, sollecitando un’inchiesta che affrontasse i problemi della frettolosa annessione delle province napoletane.

Il governo, ovviamente, la ignorò e Carafa, a seguito di pressioni politiche e giornalistiche, il 27 novembre si dimise da parlamentare.

La mozione contava quindici pagine, ne abbiamo sintetizzato un passo:

Intere famiglie chiedono l’elemosina, il commercio è stato abolito, gli opifici sono chiusi e tutto si fa venire dal Piemonte, perfino le cassette per la Posta, la carta per i dicasteri e la pubblica amministrazione.

Per un uomo onesto è impossibile guadagnare qualche lira a meno che non sia piemontese.

I pubblici uffici sono occupati dai burocrati piemontesi, che sono più corrotti dei burocrati borbonici e portano in dote un’ignoranza e ottusità di mente che non sembra reale.

Per la costruzione delle ferrovie vengono chiamati gli operai piemontesi che ricevono una paga doppia rispetto ai napoletani e donne piemontesi si prendono a nutrici nei brefotrofi poiché anche il sangue del popolo napoletano non è bello e salutare.

Questa è invasione, non è né unione né annessione, è solo sfruttamento della nostra terra, una terra di conquista, il governo piemontese vuole trattare le province meridionali come Cortes e Pizarro trattavano i peruviani.

Naturalmente, niente di tutto ciò è sul sito storico della Camera dei deputati, ma l’interpellanza divenne un pamphlet dal titolo ‘Mozione d’inchiesta’ e fu tradotta in francese e in inglese.

Carafa, inoltre, più volte e a ragione, diede del criminale al generale Cialdini, visto il suo vizietto di sparare sull’inerme popolazione del meridione.

Tornato a Napoli, iniziò a frequentare i salotti letterari per poi recarsi a Roma per scusarsi con Francesco II. Dopo la prematura morte della moglie, la nobile inglese Harriett Vanneck, e del figlio Alberto, si legò al francescano padre Ludovico da Casoria, già in odore di santità, che sarà poi beatificato da Giovanni Paolo II nel 1993 e canonizzato da Papa Francesco nel 2014, abbracciando la regola del terz’ordine.

Nel 1883, Proto fu eletto nella lista cattolica al Consiglio comunale di Napoli, tuttavia la verve e l’irruenza politica che lo avevano contraddistinto in gioventù erano scemate.

Prima di morire, fondò la rivista Napoli Nobilissima insieme a due mostri sacri della cultura partenopea: Benedetto Croce e Salvatore Di Giacomo.
Morì a Napoli nel 1892 a 71 anni.

Autore Mimmo Bafurno

Mimmo Bafurno, esperto di comunicazione e scrittore, ha collaborato con le maggiori case editrici. Ha pubblicato il volume "Datemi la Parola, Sono un Terrone". Attualmente collabora con terronitv.

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