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Il cibo, surrogato di amore

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Seppure inconsapevolmente, scegliamo cosa mangiare in maniera compensatoria, non solamente seguendo l’appagamento palatale, ma a seconda del significato simbolico del peculiare alimento e del conseguente inconscio apprezzamento.
Stessa cosa per le quantità di cibo che aumentiamo per vie esterne secondo il conforto emotivo di cui abbiamo necessità: a compensazione di qualche mancanza o squilibrio temporaneo, finalizzato ad un nutrimento emozionale da digerire ed assimilare.

Noi siamo quello che abbiamo mangiato nella nostra storia e le emozioni e sentimenti che hanno condito quegli alimenti. Pensiamo a coloro che per primi ci hanno nutrito, con cibo e amore – i genitori – rappresentanti delle sorgenti relazionali primarie.

Le mancanze o gli squilibri possono avere conseguenze di vario genere e nel cibo si manifestano nelle associazioni con alcuni specifici alimenti: ad esempio latte e derivati collegano alla madre, da cui proviene il primo alimento, mentre il frumento, in particolare, e i cereali, in generale, rappresentazione di svezzamento, legano con la figura paterna.

Mi chiedo, allora, se allergie e intolleranze conclamate sono intenzionalmente o inconsciamente associate al cibo o alle bevande: è possibile abituarsi ad un dato alimento, in legame a qualche nostro stato d’animo o fisico, come la solitudine, la noia, oltre che alle chimiche relative, in modo fisiologicamente indipendente dalla nostra fame?

Un riempimento di un vuoto non chiaramente determinato, ma certamente rappresentativo di un bisogno: il cibo diventa anche surrogato di amore.

Da adulti, molto probabilmente, si tenderà a riprodurre quegli schemi impostati per trarre quelle risposte che ci aspettiamo rispetto a quell’abitudine associativa allenata da piccoli con effetti noti, come quelli di conforto, di sicurezza o di gesto affettivo in relazione proprio a quei bisogni relazionali che caratterizzano il nostro mondo espressivo.

La carica primaria, a mio parere, è spirituale e relazionale e siamo alla ricerca continua di un appagamento di questi aspetti, nutrimento di cui non può essere sicuramente immediato l’approvvigionamento.

Il risultato è la qualità della vita nella quale, ripeto ancora una volta, sta l’equilibrio di benessere che passa dal corpo, alla mente, all’emozione, ai pensieri e ai sentimenti.

I cibi, poi, sono in grado di riesumare ricordi, perché inconsciamente abbiamo attribuito loro un significato simbolico in base al nostro vissuto personale, magari risvegliati dal gusto e dall’olfatto, che hanno una colorazione emotiva più intensa, come dimostrato dalle neuroscienze.

Qui è necessario rammentare che gli esseri umani vivono in tre dimensioni: reale/materiale, immaginario e simbolico, ma la mente umana le unisce senza fare tante distinzioni e il nostro inconscio interpreta in modo simbolico e, quindi, reagisce al significato nascosto.

Come abbiamo visto fin qui, sin dall’antichità, il cibo è sempre stato un concetto sacro e per questo usato nei rituali. Infatti, la simbologia di alcuni determinati cibi è così influente che sono stati utilizzati per le consacrazioni divine.

Nei precedenti articoli inerenti alla coscienza poi, accennavo all’importanza dell’identificazione culturale legata al cibo attraverso la tradizione dei miti, di cui forse parleremo in un articolo futuro.

Ma, dunque, se corpo e mente sono influenzati dal cibo, l’Iniziato deve essere consapevole che la nutrizione fisica, quindi, finisce a contribuire a quella spirituale e, di conseguenza, l’alimentazione potrebbe essere strumento d’opera, mattoni di costruzione, con cui stabilire gli effetti che ha deciso d’apportarvi in termini di energie emozionali e di metamorfosi?

Se il corpo diventa ciò che mangia, il nostro sé diventa ciò che pensa e percepisce?

Allora il cibo può essere considerato un occulto veicolo di illuminazione?

Il percorso dove ci porterà?

Stay tuned! Restate sintonizzati e direi anche sincronizzati!

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