E con il 33° articolo siamo arrivati a fine anno. Il caso non esiste!
La domanda imperativa oggi è una sola: cosa fate a Capodanno?
Io, per la prima volta nella mia vita, sarò in un posto caldo all’estero, avendo accettato mesi fa l’affettuoso invito dell’amico fraterno Angelo, che mi porta via a casa sua assieme alle rispettive metà.
Anzi, io sono già lì mentre leggete ora.
Anno nuovo vita nuova.
Trent’un, dodici e uno, uno. Ultimo dell’anno e primo dell’anno. Una fine ed un inizio che si toccano per nemmeno un attimo.
E siccome ogni cosa l’inizio e la fine hanno grande importanza, vollero che Giano fosse il primo nei sacrifici, perché il nome è derivato da ire (andare), da cui i passaggi attraversabili vengono chiamati iani e le porte delle case private ianuae.
Cicerone – La natura divina
Fra passato, che non è più, e futuro, che non è ancora, il vero volto del Giano Bifronte, non è nessuno dei due visibili. Il terzo volto rappresenta il presente, invisibile, giacché, nella manifestazione temporale, non è che un istante sfuggente, posto esattamente nel mezzo tra le polarità di due volti opposti – uno anziano e l’altro giovane – inserito all’altezza delle orecchie, come il nostro senso dell’equilibrio, che ci fa procedere eretti e diritti.
Una data convenzionale sulla quale, dopo millenni di stratificazioni, si sono sovrapposti nuovi stili di vita, con una misurazione del tempo che si è basata, via via, su aspetti completamente differenti.
In antichità di ispirazione contadina arcaica erano i cambiamenti di stagione e le fasi lunari, quindi, l’importanza del passaggio di status, riguardo la fertilità dei campi e la rigenerazione della vita.
Ad esempio, al solstizio invernale si è sovrapposto il Natale cristiano, codificando anche la concezione ciclica e sostituendola con una lineare, la quale si fonda in un momento zero per procedere incessantemente verso un incerto futuro in direzione dell’infinito.
Il mondo va sempre, muovendosi in cerchio e partendo da sé stesso a sé stesso ritorna.
Ambrogio Teodosio Macrobio
Fuori attendiamo la mezzanotte coi botti e le luci dei fuochi d’artificio, dentro siamo prammaticamente con le gambe sotto al tavolo per un numero di ore che, quasi certamente, per molti, supererà di gran lunga la durata di qualunque altra occasione durante l’anno.
La scelta delle pietanze preparate ad hoc al fine di differenziarsi ed avere significati diversi rispetto ai pasti della quotidianità, ma anche rispetto a quelli di altre festività, soprattutto quelle natalizie di pochissimi giorni fa.
Quindi, il festeggiamento sta nella straordinarietà! Sia per quanto riguarda le pietanze festive sia per l’aspetto intangibile: la rituale compartecipazione per via alimentare.
Questo è l’aspetto cerimoniale, che non dovrebbe far decadere i cibi solo a elementi passivi, a consumazione ‘orgiastica’. Invece di apparire inerte e privo di efficacia magica, nella nostra tradizione, esistono funzioni attive del cibo.
Per la festa, i cibi inusuali servono a richiamare sui partecipanti la non quotidiana benevolenza della sorte, da condividere per vicinanza e solidarietà e che cela una morale che non può accettare, specie in piccoli gruppi e in particolari momenti, marcate differenze socio-economiche.
Ma qualunque festa, a prescindere dall’occasione, sottende l’idea di una simbolica rigenerazione d’essere – una ricreazione – e in questa occorrenza, rifonda annualmente il senso della fratellanza e dei vincoli di appartenenza ad uno stesso clima culturale.
Per le antiche genti contadine, la festività prevedeva il consumo di alimenti specifici, come i 7 legumi: ceci, fagioli, cicerchie, fave, piselli, lupini e le immancabili lenticchie.
In particolare, per quest’ultime, mia moglie, da buona campana, non transige: a mezzanotte devono essere mangiate assieme al cotechino. Urbe et orbi, non si discute! Anche se hai appena preso il digestivo per il mappazzone nello stomaco.
Considerate un buon auspicio in antichità per la somiglianza in miniatura con le monete le prime e simbolo d’abbondanza il secondo, perché del maiale ‘non si butta via nulla’.
Al contrario del suino, ma sempre benauguranti, la frutta secca, simbolo di interiorità e di misticismo, a causa della durezza del guscio esterno contrapposto alla morbidezza del frutto interno.
Poi uva, con i numerati 12 acini, e melagrana, portatori di prosperità e fecondità.
Per tutti i significati relativi agli altri cibi sarebbe troppo lungo per un articolo solo.
Il menu di Capodanno sinceramente lo trovo più arduo, se non si dirotta l’idea su un’opzione non domestica, per due fondamentali motivi:
1. A Capodanno se c’è da cucinare, tra tutti tocca più certamente a me e a mia moglie. A differenza di Natale che, perlopiù, ci pensano i familiari.
2. La scelta delle pietanze ora ha un’ampiezza maggiore secondo me, senza quelle pietrificate certezze natalizie, ma è necessario differenziarlo da ciò che si è mangiato il 24, il 25, il 26…
Assorbendo queste due difficoltà per amore dei compartecipanti commensali, la soluzione casalinga l’ho sempre prediletta, perché uscire in quelle date in ristorante o simile significa, quasi certamente, rimanere insoddisfatti della qualità, accettare tempistiche insostenibili o, comunque, affrontare dei costi inutilmente esorbitanti.
Ergo, facciamo molto meglio a casa da noi medesimi! Tutti a tavola!
Minestra in brodo: cappelletti – Fritto: cotolette imbottite
Umido: bue alla brace, oppure cotolette con tartufi
Rifreddo; pasticcio di cacciagione – Arrosto (anatra domestica)
Dolci (gateau à la noisette).
Pellegrino Artusi – ricetta del pranzo di Capodanno – La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene
Ai tempi di Artusi, è evidente che il menu suggerito a partire dalla borghesia era alquanto sostenuto, ma c’è qualcuno che conosco (vero Pietro?) che si è permesso di fare addirittura tre Cenoni nello stesso Veglione, e poi a Napoli, che non è proprio un dettaglio.
Ma non è proprio il mio caso – perderei facilmente anni di vita, se non tutti insieme – e come dico ogni tanto emulando in parafrasi Jessica Rabbit:
m’hanno disegnato male!
Mi vi immagino a sollevar posate: aperitivo, antipasti, primo, secondo, contorni, formaggi
La bocca l’è minga stracca se la sa nò de vacca
predessert, nessuna deroga infine al panetùn; poi caffè, ammazzacaffè e malox. Al termine delle abbuffate c’è chi fa addirittura riti magici digerenti, che rasentano perfino preghiere e pratiche esorcistiche:
Cenone, esci da questo corpo!
Comunque, io sulla spiaggia davanti all’oceano, vi penso ancora indaffarati, in visione d’essere commensali riuniti di nuovo intorno alla tavola, in rito di unione e assimilazione. Stavolta, con una diversa compagnia, probabilmente più amicale che famigliare.
Avete preparato almeno una buona bottiglia di bollicine per l’irrinunciabile brindisi da stappare a mezzanotte esatta?
Solo in questa occasione è concesso il botto del tappo, anziché il leggero sfiato: il rumore, come quello dei fuochi d’artificio fuori, serve simbolicamente a scacciare i malevoli spiriti, ma, ancor di più, riporta al fatto che ogni nuovo periodo, che si produce dalla scintilla ignea, culmina nella sua distruzione attraverso il medesimo fuoco.
E se ne cade un qualche goccia sulla tavola basta toccarne una col polpastrello e portarsela sotto l’orecchio, per molti vuol dire che l’anno in ingresso sarà benevolo.
Esattamente come a chi cadrà addosso il tappo.
E metterete qualcosa di rosso addosso?!
In antichità serviva per ammortizzare la paura con il colore del sangue e delle guerre. Ma forse anche adesso potrebbe riprendere esattamente la stessa funzione simbolica, un modo per sfatare l’incertezza e proteggersi da un futuro che appare al momento effettivamente tenebroso per gli identici motivi.
Allora siete pronti per la veglia?
Tanti auguri di buon anno nuovo! E divertitevi!
E vi auguro pure dopo la tavolata una digestione facile e la catarsi, magari attorno ad un falò con gli amici più cari, per scacciare le tenebre, anche interiori, e rompere il freddo.
10, 9, 8, 7…
Un attimo, un attimo, fermate il conto alla rovescia; sarò un romantico mieloso, ma ricordate questa vecchia pubblicità?
Vorrei cantare insieme a voi…
I’d like to build the world a home
And furnish it with love
Grow apple trees and honey bees
And snow white turtle doves
I’d like to teach the world to sing (Sing with me)
In perfect harmony (perfect harmony)
I’d like to hold it in my arms
And keep it company
I’d like to see the world for once
All standing hand in hand
And hear them echo through the hills
For peace throughout the land
(That’s the song I hear)
I’d like to teach the world to sing (Sing with me)
In perfect harmony
I’d like to teach the world to sing (Sing with me)
In perfect harmony
I’d like to build the world a home
And furnish it with love
Grow apple trees and honey bees
And snow white turtle doves
(That’s the song I hear)
I’d like to teach the world to sing (That’s the one thing for me)
In perfect harmony (perfect harmony)
I’d like to hold it in my arms
And keep it company
(That’s the song I hear)
I’d like to see the world for once (That’s the one thing for me)
All standing hand in hand (hand in hand)
And hear them echo through the hills
For peace throughout the land
(That’s the song I hear)
I’d like to teach the world to sing (That’s the one thing for me)
In perfect harmony (over and over)
I’d like to teach the world to sing
In perfect harmony (over and over)
I’d like to teach the world to sing/
Vorrei costruire una casa al mondo
E riempirla di amore
Crescere alberi di mele, fare miele d’api
ad allevare tortore bianche come la neve
Vorrei insegnare al mondo a cantare (Canta con me)
In perfetta armonia
Mi piacerebbe tenerlo nelle mie mani
E fargli compagnia
Vorrei vedere il mondo per una volta
Tutti si tengono mano nella mano
E sentire il loro eco tra le colline
Per la pace in tutti i paesi
(È la canzone che sento)
Vorrei insegnare al mondo a cantare (Canta con me)
In perfetta armonia
Vorrei insegnare al mondo a cantare (Canta con me)
In perfetta armonia
Vorrei costruire una casa al mondo
E riempirla di amore
Crescere alberi di mele, fare miele d’api
ad allevare tortore bianche come la neve
(È la canzone che sento)
Vorrei insegnare al mondo a cantare (È l’unica cosa per me)
In perfetta armonia (perfetta armonia)
Mi piacerebbe tenerlo nelle mie mani
E fargli compagnia
(È la canzone che sento)
Vorrei vedere il mondo per una volta (È l’unica cosa per me)
Tutti si tengono mano nella mano (mano nella mano)
E sentire il loro eco tra le colline
Per la pace in tutti i paesi
(È la canzone che sento)
Vorrei insegnare al mondo a cantare (È l’unica cosa per me)
In perfetta armonia (ancora e ancora)
Vorrei insegnare al mondo a cantare
In perfetta armonia (ancora e ancora)
Vorrei insegnare al mondo a cantare.
Bill Backer e The New Seekers – I’d Like to Teach the World to Sing
Il percorso dove ci porterà?
Stay tuned! Restate sintonizzati e direi anche sincronizzati!
Autore Investigatore Culinario
Investigatore Culinario. Ingegnere dedito da trent'anni alle investigazioni private e all’intelligence, da sempre amante della lettura, che si diletta talvolta a scrivere. Attratto dall'esoterismo e dai significati nascosti, ha una spiccata passione anche per la cucina e, nel corso di molti anni, ha fatto una profonda ricerca per rintracciare qualità nelle materie prime e nei prodotti, andando a scoprire anche persone e luoghi laddove potesse essere riscontrata quella genuina passione e poter degustare bontà e ingegni culinari.