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Il calice della verità: Freud, il vino e i misteri dell’anima

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Sin dai tempi antichi, l’umanità ha cercato di svelare i misteri dell’anima attraverso riti e celebrazioni iniziatiche.

I culti orfici e bacchici dell’antica Grecia rappresentano alcuni dei più affascinanti tentativi di esplorare le profondità dell’inconscio umano attraverso la vite e il vino.

Il vino ha radici ancestrali, che risalgono alle prime civiltà agricole del Caucaso in Asia Minore, culla della viticoltura, dove la coltivazione della vite rappresentava non solo una fonte di nutrimento, ma anche un legame mistico con le forze della natura e della fertilità. Le cerimonie legate al vino celebravano la rinascita ciclica della vita stessa.

Nel cuore di questi riti, in Grecia c’era Dioniso, la divinità del vino, della follia, dell’estasi e del “disordine”. Le sue seguaci, conosciute come Baccanti e Menadi, si abbandonavano ad una sorta di trance estatica indotta dal consumo di questa bevanda, dalla danza sfrenata e da pratiche orgiastiche. Questo stato di “mania divina” mirava a liberare l’anima dai vincoli della ragione e della coscienza convenzionale.

Fu proprio questa ricerca di una verità più alta, al di là delle catene dell’io giudicante e della moralità imposta, che attirò l’interesse dei filosofi e dei pensatori dell’era moderna.

Nel XX secolo, giganti del pensiero come Sigmund Freud esplorarono il concetto del Superio, quella parte della psiche che incorpora le norme e i valori sociali.

Fu forse così che in uno dei suoi momenti di arguzia beffarda che lo psicanalista Cesare Musatti osservò:

Il Superio è solubile in alcool.

Un’affermazione che suggerisce come l’eccessiva razionalità e le inibizioni dell’Io repressivo possano sciogliersi nella liberazione indotta dal vino, rivelando, così, gli strati più profondi e autentici dell’essere umano.

In realtà, un’intuizione analoga, condensata nella locuzione “in vino veritas” risale ai filosofi greci e romani, che vedevano nel vino un mezzo per abbassare le difese e rivelare le verità nascoste nell’anima.

Questa idea che lo stato di ebbrezza possa fornire una finestra sull’inconscio ha affascinato molti pensatori, dai mistici sufi come Omar Khayyam al simbolista francese Arthur Rimbaud.

Hai spezzato la mia brocca di vino, Signore
Mi hai chiuso la porta del piacere, Signore
Io bevo ma sei tu che sembri ubriaco
Polvere sulle mie labbra! Sei forse ebbro, Signore?
Omar Khayyam

Eppure, c’è anche un lato oscuro in questo abbandono dionisiaco al disordine e all’irrazionalità. I racconti classici sono pieni di storie di Baccanti che, nella loro frenesia, commettevano atti di violenza e persino omicidi.

La ricerca di una verità ultima attraverso l’estasi sfrenata può portare a una pericolosa perdita del controllo e dell’equilibrio.

Probabilmente è qui che oggi entra in gioco, come elemento d’equilibrio, la figura del moderno Sommelier, colui che ha fatto dell’apprezzamento del vino una scienza e un’arte.

Attraverso la loro conoscenza raffinata dei vitigni, dei terroir e delle tecniche di vinificazione, i Sommelier sono in grado di guidarci in un viaggio sensoriale che svela le complessità e le sottigliezze nascoste in ogni bottiglia senza cadere nella dipendenza alcolica.

È un percorso che richiede disciplina e sensibilità, un equilibrio tra il rispetto delle tradizioni e la ricerca d’innovazione.

Proprio come nella vita, l’eccesso può portare alla rovina, mentre la moderazione e la consapevolezza, unite alla sana curiosità, possono rivelarci verità profonde e durevoli.

Come le penetranti parole dello scrittore Mario Soldati:

Il vino è per l’anima ciò che l’acqua è per il corpo.

Un ammonimento a rispettare e nutrire sia il corpo che lo spirito nel nostro viaggio di scoperta.

Tra i calici e i canti, tra il sacro e il profano, per fortuna il vino continua a essere un ponte tra il cielo e la terra, tra l’inconscio e la coscienza, tra il divino e l’umano.

Autore Raffaele Mazzei

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