Il male altro non è che assenza del bene, o non conoscenza del bene.
Sant’Agostino d’IpponaCome raggiungere il fine prefissatoci? Con tre cose: Buoni Pensieri, Buone Parole, Buone Azioni.
Spartaco Malatita
La riflessione di Sant’Agostino e il tema affrontato da Spartaco Malatita in una delle lettere inviate alla figlia, in merito al bene e al male, pur apparendo come una speculazione filosofica in realtà sembrano attenere alla distanza esistente tra l’individuo e il fine ultimo del perfezionamento interiore.
L’individuo, in generale, ma l’uomo che intraprende un percorso iniziatico, in particolare, mediante il pensiero, la parola e il comportamento caratterizza la sua vita. Il pensiero è invisibile, concettuale o meno, irreale o reale e può effettuare voli pindarici, la parola è immateriale, udibile ma non visibile, l’azione, invece, oltre a essere tangibile e materiale rende concreto l’idea e il carattere dell’individuo.
L’uomo, manifestandosi mediante l’azione e la comunicazione, è osservato, oltre che giudicato, dagli altri, da se stesso e dal proprio subconscio. Egli, sia attraverso la parola che l’azione, realizza nello spazio e nel tempo, che condivide con gli altri, la realtà del palcoscenico sul quale recita la sua vita. La compartecipazione dell’azione e della parola, sostenute dal pensiero, rende questi tre elementi anelli della stessa catena.
Spartaco Malatita, alias Spartacus, ritenendo che i tre elementi citati nella lettera, siano necessari affinché si raggiunga il fine prefissato, indirettamente certifica che siano anelli della stessa catena e che formino un triangolo equilatero dai significati simbolici rilevanti.
Il triangolo, infatti, geometricamente rappresenta il tre, incarna la perfezione divina, il viaggio dell’uomo verso trascendenza divina, il ritorno all’unità primordiale, la proporzione, la conciliazione, la traslazione del microcosmo in direzione del macrocosmo e viceversa. Nella tradizione giudaica simboleggia Dio, in quella cristiana la trinità, in quella dell’antico oriente la natura di tutte le cose, mentre per i pitagorici incarna l’ascesa dal molteplice all’Uno.
Raffigura, altresì, la mente, il corpo e lo spirito dell’iniziato che, tramite il discernimento, giunge a quell’equilibrio tra le parti, genera un nuovo Super-ego e manifesta esteriormente l’acquisizione di quei codici comportamentali che permettono con consapevolezza di scegliere tra bene e male, giusto e sbagliato, buono e cattivo.
Una consapevolezza che, senza reprimere l’energia istintiva, permette all’iniziato di contrapporsi alle pulsioni interne e agli impulsi irrazionali, prendere decisioni, controllare le azioni e gestire al meglio i rapporti interpersonali.
L’iniziato che intenda rimuovere gli ostacoli che frenano il cammino, ha bisogno che il pensiero, la parola e il comportamento abbiano una valenza positiva, manifestino equilibrio, comprensione, tolleranza e siano in armonia tra loro. L’individuo che intraprende il cammino iniziatico, se piuttosto che privilegiare la congruenza del buon pensare, parlare e agire, la misura e l’equità, la benevolenza, la carità e il desiderio di pace, predilige la contesa, il caos, l’intolleranza, l’ego, l’odio, il complesso d’inferiorità o superiorità, l’ipocrisia, l’ambizione, le pulsioni negative e distruttive dell’animo umano, innesca un meccanismo che altera l’equilibrio raggiunto.
Il meccanismo è cosi rilevante da adulterare il rapporto tra pensiero, parola e azione, anzi, produce un tradimento che si consuma nei confronti di se stessi, della ricerca spirituale, del cammino iniziatico e di chi percorrendo lo stesso sentiero condivide sia spazio che tempo. Anche se talvolta appare in modo differente, il tradimento degli ideali non sembra che corrisponda al libero arbitrio né all’ibernazione delle emozioni e non s’incarna nel processo evolutivo.
Il famoso psicoanalista e filosofo Carl Gustav Jung ritiene che un’energia psichica, presto o tardi, si trasformi nel suo contrario, che, alla lunga, la troppa razionalità sfoci a livello inconscio in una sorta di compensazione opposta in una consistente irrazionalità. Questa tesi sembra dimostrare che pensare e vivere per un determinato fine può trasformarsi in un tradimento dovuto a meccanismi psichici considerevoli e ad alterazione dell’equilibrio che possono essere implementate dalle difficoltà insite nel percorso iniziatico o evolutivo, che dir si voglia.
Il tradimento prevede sempre la presenza di due attori, di un traditore e di un tradito. Il tradimento consumato nei confronti di se stessi è rilevante, subdolo, invisibile e difficile da percepire. Quello avverso gli altri è causa di scontri e battaglie che manifestano esteriormente pulsioni negative implementate dalle difficoltà dovute agli ostacoli che ostruiscono il cammino iniziatico-evolutivo. Le cause che innescano il tradimento, nonostante sembrino inalienabili possono essere azzerate grazie all’impegno all’armonia e all’equilibrio.
Il cammino iniziatico-evolutivo sembra essere paragonabile a Hiram – Abiff, il costruttore del tempio di Salomone, tradito da tre suoi compagni d’opera, in preda a folli meccanismi psichici, all’ego, all’ambizione, alla sete di guadagno immeritato, all’invidia, alla fretta di giungere all’apice della scala di Giacobbe, senza scalarne ogni singolo gradino, all’ignoranza e al desiderio di raggiungere il traguardo della conoscenza senza possederne ancora talento e merito.
L’assenza o la non conoscenza del bene, di cui parla Sant’Agostino, sembra che manifestandosi come tradimento, rappresenti compiutamente l’interruzione del processo iniziatico-evolutivo dell’uomo. Questa interruzione vive la sua acme con il tradimento consumato nei confronti di se stessi, degli altri e di Hiram, inteso come percorso iniziatico, come costruzione del tempio interiore. Detta interruzione allontana l’individuo da buoni pensieri, parole e azioni, lo avvicina al male primigenio e implementa le difficoltà insite nel percorso evolutivo e di perfezionamento.
L’uomo che intraprende il cammino inteso a realizzare il perfezionamento interiore, decide di emulare di Hiram perché conscio che facendo questo può giungere alla meta desiderata. Emulare Hiram significa vivere il processo di morte e rinascita, ambire all’evoluzione personale, alla libertà di coscienza, al libero arbitrio, al rispetto di se stessi e degli altri. Emulando Hiram si debella, altresì, sia la propria ignoranza che la mera ambizione, si privilegia la parte migliore di se stessi, il bene, l’etica, i valori morali e spirituali, la crescita interiore, la verità e l’amore fraterno. Riuscendo a sconfiggere la parte peggiore di se stessi, ossia, il male, è possibile annientare l’individualismo, disvelare il vero io e proseguire verso l’ambita e anelata meta.
La vera meta, spesso, sembra non essere rappresentata dalla luce, dal punto d’arrivo, bensì dai processi catartici, dal cammino che conduce al target cioè dal processo alchemico che genera la trasmutazione individuale. Icona di questo cammino sembra essere Hiram perché la sua leggenda indica che l’uomo, privilegiando il bene piuttosto che il male, visitando ed edificando il tempio interiore, può essere salvifico per se stesso, essere il proprio redentore e giungere alla Grande Opera.
Il tradimento di Hiram pur sembrando assimilabile ad una tragedia cosmica capace d’implementare le difficoltà, d’interrompere o alterare il cammino individuale, può essere superato riprendendo con maggior vigore la scalata del sentiero. I tre compagni di Hiram, ovvero, il vizio, le tentazioni e la corruzione, infatti, non mettono fine alla vita del grande costruttore e forgiatore di opere definitivamente, bensì, solo temporaneamente.
Hiram, mediante la sua leggenda, traccia la via maestra da seguire, da perseguire affinché si dissipino le tenebre che ostruiscono il percorso individuale. Preferendo la morte piuttosto che la vita, con il suo esempio insegna a non tradire la fiducia che il fine ripone nell’individuo desideroso di ascendere alla meta. È ragionevole ritenere che chi attraversi spontaneamente la soglia che introduce al cammino di perfezionamento, necessario affinché avvenga la trasmutazione individuale, debba seguire l’esempio di Hiram, permanere nella condizione di uomo giusto e retto, perseguire il buon pensare, parlare e agire, perseverare e non tradire se stesso, gli altri e il percorso intrapreso.
L’omeostasi comportamentale manifestata da Hiram dimostra quella rilevante saggezza che non lo disonora, né lo macchia di falsità, anzi, ne palesa rettitudine e virtù. Non tradisce, non si piega al volere altrui, non reagisce alle provocazioni e alle bramosie, non prova rancore, anzi, cerca di redimere coloro che si accingono a ucciderlo. La sua rettitudine è meritevole di essere cercata, avvertita ed emulata perché avvicina alla Grande Opera.
Hiram sicuramente s’immola per i valori umani e per la ricerca della verità delle cose, ma prima di divenire martire di vizi, bassi istinti, invidia e ambizione, scava oscure prigioni al vizio, fornisce un cospicuo esempio di sincerità nei confronti di se stesso e degli altri. Il suo comportamento, oltre a esteriorizzare grande benevolenza, fratellanza, libertà di pensiero, giustizia e tolleranza verso l’idea degli altri, è meritevole d’encomio perché tenta di ravvedere chi predilige il male anziché il bene, giacché, liberatosi dalle catene, uscito dalla caverna di Platone, percepita la Luce, decide di preferirla alla penombra o alle ombre.
Hiram pur sapendo che l’ego, i personalismi, i vizi e i bassi istinti, sbiadiscano la realtà, comprende che questi offuscano la forma ma non la sostanza delle cose. Si accorge che il bene deve occupare gli spazi dove il male la fa da padrone e che il libero arbitrio deve condurre a parole, pensieri e azioni buone. Si rende conto che la coltre che copre gli occhi deve essere rimossa affinché si possa guardare oltre le sembianze delle cose. Percepisce che il Supremo Creatore di ogni cosa, oltre ad offrire una candela, che ognuno decide come e in quanto tempo consumare, dona, altresì, a tutti, una scintilla per farla dimorare nella terra interiore.
Hiram non tradisce, resta fedele al compito affidatogli da Salomone; al contrario, il tradimento di Giuda Iscariota, nonostante sembri necessario affinché avvengano la morte e la resurrezione di Cristo, quantunque rivesta un determinato ruolo nella storia della salvezza, è così incisivo da determinare un pentimento dalle conseguenze devastanti perché degenera in disperazione e autodistruzione. Autodistruzione che, oltre a dimostrare che l’infedeltà sia deplorevole, evidenzia che il tradimento messo in atto da un iniziato rappresenta sempre un’azione che non si conforma all’ascesa della scala che conduce alla luce.
Il tradimento, in termini prettamente esoterici, corrisponde all’azione di venir meno ad un dovere, ad un impegno di fedeltà e lealtà verso il viaggio intrapreso, nei confronti della parola data e, soprattutto, nei riguardi del Supremo Artefice dell’Universo. Oltre a rappresentare la vittoria del male sul bene, è causa di auto condanna e innesca la caduta dal piano spirituale a quello materiale. Sia quello volontario che quello involontario possono essere considerati un vizio che, dal punto di vista esoterico e iniziatico, merita forse di essere imprigionato nell’antro più profondo delle oscure prigioni.
Tradire il percorso di perfezionamento e se stessi corrisponde ad una fermata inaspettata che frena l’uomo che ambisce ad uscire dal guscio e che desidera conoscere la verità delle cose. Il tradimento ostruisce la strada che conduce al perfezionamento e rappresenta un’azione priva di quei valori che pregnano il cammino iniziatico. Dimostra, inoltre, un’insita incoerenza, l’abbandono dei buoni pensieri, la vittoria del male sul bene e l’allontanamento dall’origine, dalla sorgente, dalla luce e dall’Uno.
L’allontanamento dall’origine cambia la prospettiva di chi osserva dall’esterno e, in ogni caso, è ravvisato da chi esamina ciò che si pensa, si dice e si fa. Quest’esaminatore, definibile subconscio, rappresenta un giudice deputato ad emettere un giudizio insindacabile. Questo giudice è in grado di modificare l’immagine che si ha di se stessi, di percepire lo stato di sottomissione nei confronti degli altri, di osservare l’incapacità di manifestare una giusta autonomia e di sviluppare il pensiero soggettivo. In altre parole, questo giudice riesce a soppesare l’incapacità di vivere nel miglior modo possibile il libero arbitrio.
L’uomo che spinto dal subconscio comprende le sue debolezze, i suoi vizi e i suoi affanni può ambire a percorrere il sentiero impervio e costellato di rovi. Può sia liberarsi dal condizionamento messo in atto sia dagli altri che dalla paura di affrontare ciò che ostacola il percorso, sia sconfiggere il timore del giudizio di chi può influenzare e condizionare le azioni individuali. Questo individuo, prendendone coscienza, può esprimere se stesso, farsi valere, orientare le proprie scelte, ottenere l’autorealizzazione interiore, riprendere il cammino, passare dalle tenebre alla luce, da uno stato all’altro ed incamminarsi verso la Grande Opera.
Colui che intende realizzare la Grande Opera, che cerca la Pietra Filosofale, è conscio della necessità di sottoporsi alla morte mistica per rinascere rinnovato. Questa morte rappresenta l’abbandono del male e della quotidianità illusoria, l’eliminazione del desiderio di ricchezza e di dominio sugli altri, la putrefazione e purificazione delle scorie, il ritorno all’origine, ovvero all’Uno.
Sembra ragionevole ritenere che l’interruzione del percorso iniziatico-evolutivo e il tradimento, alla presenza di un reale ravvedimento, sfocino in una vita nuova conformata a differenti parametri. Questa nuova vita, a sua volta, oltre a consentire all’uomo di realizzare un Universo migliore, equilibrato e buono, gli accorda il raggiungimento dell’anelato Uno. Allo stesso tempo, appare plausibile pensare che in assenza di un reale cambiamento, il percorso, oltre a divenire effimero, inconcludente, senza scopo e privo di risultati positivi, presti il fianco ad un processo speculare in cui s’innesca il tradimento della vita.
Il processo, se spinge verso il cambiamento, il ravvedimento, può essere paragonato all’Uroboro, che personifica l’eterno ritorno. Invece, in assenza di cambiamento, si permane in uno stato di coscienza duale che non permette all’individuo di essere se stesso. Tale condizione non consente all’uomo di mostrare la sua vera essenza, anzi, tenendo conto che la mente influisce sulla vita, si vive l’allontanamento dalla consapevolezza di se stessi e si gestiscono, da irresponsabili, i pensieri, le emozioni, le parole e le azioni. In altre parole, il male, acquisendo gli spazi in precedenza occupati dal bene, innesca la proiezione della sua energia su di una parete riflettente che la fa ritornare all’origine. Questo tipo di energia vince la battaglia con la coscienza e questa, una volta sconfitta, genera pensieri negativi che influiscono negativamente sulla materia.
Alla luce di tutto ciò, sembra ragionevole ritenere che l’iniziato in grado di vivere nel modo corretto il processo che porta alla trasmutazione, oltre a liberare se stesso dal male, apra le porte al bene e rimuova gli ostacoli che s’interpongono tra lui e la meta desiderata. Facendo ciò, evita che il male viva a causa dell’assenza del bene, di cui parla Sant’Agostino, manifesta buoni pensieri, parole e azioni, di cui si occupa Spartaco Malatita, e convalida l’operato di chi, proseguendo nel suo cammino, prima di raggiungere il Padre, si fa crocifiggere allo scopo di riscattare l’uomo dal peccato.
Autore Domenico Esposito
Domenico Esposito, nato ad Acerra (NA) il 13/10/1958, laureato in Scienze Organizzative e Gestionali, Master in Ingegneria della Sicurezza Prevenzione e Protezione dai Rischi, Master in Scienze Ambientali, Corso di Specializzazione in Prevenzione Incendi. Pensionato Aeronautica Militare Italiana.